Il CommentoSocietà

Agroalimentare e pratiche commerciali sleali B2B, la nuova disciplina senza soglie al test fra divieti generali e sanzioni

Tra le misure introdotte con il Dlgs. 198/2021- di recepimento della Direttiva 633/2019 - la generalizzazione del divieto delle pratiche commerciali scorrette a prescindere dalla presenza, o meno, delle soglie di fatturato indicate in Direttiva; l'introduzione di sanzioni amministrative in percentuale sul fatturato, con riserva di reato; la previsione di una black list e di una grey list più ampia; l'abrogazione dell'art.62 e, implicitamente, la permanenza della disciplina dell'abuso di dipendenza economica

di Franco Guariglia, Sabrina Peron*

La direttiva 633/2019 , sulle pratiche commerciali scorrette nel settore agro alimentare ha lasciato ai singoli legislatori nazionali ampia discrezionalità di recepimento, soprattutto per quanto riguarda: l'individuazione dell'Autorità preposta al controllo; la tipologia e l'entità delle sanzioni; la definizione delle pratiche "black-listed" e "grey-listed"; l'integrazione delle normative statuali pre-esistenti; la definizione di "accordo".

Di tale discrezionalità si può dire che il legislatore italiano abbia indubbiamente fatto uso. Si vedano ad esempio: la generalizzazione del divieto delle pratiche commerciali scorrette a prescindere dalla presenza, o meno, delle soglie di fatturato indicate in Direttiva; l'introduzione di sanzioni amministrative in percentuale sul fatturato, con riserva di reato; la previsione di una black list e di una grey list più ampie; l'abrogazione dell'art.62 (e con esso le pratiche commerciali scorrette non agro-alimentari) e, implicitamente, la permanenza della disciplina dell'abuso di dipendenza economica. Tutto questo con un non trascurabile impatto sulla disciplina civilistica degli accordi e con un evidente impatto sul piano pubblicistico, che proveremo ad analizzare in quest'articolo.

Il Libro Verde

Come è noto, nel 2010 venne istituita, da un gruppo di esperti sulle pratiche contrattuali tra imprese, una piattaforma (la High Level Forum) sulle pratiche commerciali sleali nel settore alimentare.

Successivamente (e, più precisamente, nel gennaio 2013) fu elaborato il Libro Verde sulle Pratiche Commerciali Sleali nella Catena di Fornitura Alimentare e Non Alimentare fra imprese in Europa.

Libro Verde, peraltro, che non solo ha individuato le pratiche sleali nel settore agroalimentare, ma ha anche proceduto a mappare le pratiche sleali in settori che, pur diversi, appaiono collegati con quello agroalimentare giacché impediscono il buon funzionamento delle filiere compromettendone il potenziale economico.

Tra le varie pratiche scorrette enfatizzate nel Libro Verde - perché contrarie ai principi di buona fede e correttezza nelle relazioni commerciali – vengono soprattutto in rilievo gli squilibri lungo le filiere.
Questi, difatti, possono generare abusi, con conseguente impatto negativo sulla capacità, per le imprese più deboli, di investire ed innovare.

Il Libro Verde non ha neppure trascurato di analizzare il rapporto intercorrente tra le norme che vietano le pratiche commerciali scorrette e quelle sulla concorrenza: le prime, specificamente rivolte alla trasparenza delle relazioni contrattuali; le seconde, preordinate al buon funzionamento del mercato e alla repressione di condotte che lo compromettano in tutto o in parte.

Il Libro Verde, infine, ha efficacemente descritto le differenti discipline di repressione delle pratiche scorrette in essere al tempo tra i vari Stati Membri, che oscillano da: nessun intervento normativo; autodisciplina; legislazione specifica; recepimento direttiva sui ritardi nei pagamenti; introduzione di norme a livello civilistico che impediscono abuso di diritto.

E' così emersa, in via generale, la mancanza di uniformità all'interno dell'Unione e scarsità di controllo nei confronti del fenomeno pratiche commerciali scorrette in questo settore.

Fra i paesi citati dal Libro Verde che già avevano provveduto con specifiche normative interne, figura l'Italia che, come noto aveva nel frattempo promulgato il D.L. 1/2012 (L.27.2.2012) con particolare riferimento all'art.62.

La Direttiva 633/2019

Ai fini di un miglior inquadramento della ratio della Direttiva 633/2019, in materia di pratiche commerciali sleali nei rapporti tra imprese nella filiera agricola e alimentare, vanno preliminarmente esaminati i Consideranda i quali individuano alcune caratteristiche comuni delle varie pratiche scorrette.

Tra queste si segnalano: il trasferimento dei costi sostenuti e del rischio imprenditoriale sulla parte più debole; i ritardi nei pagamenti; pressioni eccessive e scarsa trasparenza nei contenuti e nell'esecuzione degli accordi commerciali.

Elementi, questi, che potrebbero causare impatti negativi nei processi decisionali; nonché contrarre i margini economici e ridurre la capacità delle imprese di investire ed innovare.

Ciò posto, la Direttiva, preso atto del modo multiforme con cui gli Stati Membri si erano già occupati della materia, ha inteso armonizzare la normativa degli Stati Membri con un livello minimo di tutela che presenta le seguenti caratteristiche generali:
• si focalizza sui rapporti commerciali lungo la filiera agroalimentare, evidenziando in particolare, la Comunità Agricola, come categoria maggiormente esposta alle pratiche commerciali scorrette;
• introduce soglie di fatturato per fornitori e acquirenti, volte a circoscriverne l'applicazione;
• fornisce una black list di pratiche comunque vietate e una grey list, di pratiche vietate salvo diverso accordo;
• evidenzia l'importanza di individuare un'Autorità preposta alla vigilanza, munita di poteri ispettivi, cui le parti lese da pratiche scorrette possano rivolgersi anche in forma anonima a mezzo di denunce;
• infine, last but not least, lascia ampia discrezionalità agli Stati stessi a integrare la disciplina con fattispecie ulteriori e maggior rigore, nonché ad introdurre norme specifiche inerenti la formalizzazione degli accordi.

La disciplina pregressa in Italia: il D.L. 1 / 2012 e L. 27/2012

Come accennato il nostro legislatore era già intervenuto in materia con l'art. 62 del D.L. 1/20212. Norma, quest'ultima, che regolamenta i ritardi nei pagamenti nel settore agro-alimentare ed altre pratiche scorrette del settore per le relazioni contrattuali applicabili anche al di fuori di esso: sembrerebbe, quindi, che il legislatore del tempo intese occuparsi delle pratiche scorrette in generale e non limitatamente all'agroalimentare.

Ciò posto, l'art. 62 indica alcuni comportamenti che sembrerebbero voler fornire una prima disciplina nazionale sulle pratiche commerciali scorrette, manifestando così il legislatore un notevole interesse alla materia, ben prima della Direttiva 633/2019.

Del resto, la L.192/1998, che come noto disciplina la subfornitura, introduce all'art. 9 la figura dell'abuso di dipendenza economica la cui disciplina (fu detto da subito anche in sede giurisdizionale) si applica alla generalità dei casi di abuso, ben oltre la fattispecie specifica della subfornitura.

Anzi, l'abuso di dipendenza economica, a ben guardare, sembra trattare tematiche quantomeno affini - si direbbe in parte coincidenti - alle pratiche commerciali scorrette, perché traspare dalla norma la volontà di tutelare la parte più debole nelle relazioni clienti-fornitori.

Riassumendo, al momento attuale il tema delle pratiche commerciali sl ali in generale conosce il seguente quadro normativo d'insieme:
pratiche commerciali sleali B2C (business to consumer): Codice del Consumo; competenza AGCM;
pratiche commerciali sleali B2B (business to business): D.Lgs. 198/2021; competenza Ministero delle politiche agricole;
abuso di dipendenza economica L.192/1998 art. 9; competenza AGCM.

Dunque, pur ponendosi il diritto della concorrenza in un angolo di visuale diverso rispetto alle pratiche commerciali scorrette non si possono escludere comportamenti che abbiano contestualmente entrambi i rilievi.

Il D.lgs. 198/2021

Il D.Lgs.198/2021 recepisce la Direttiva 633/2019, che – come accennato - lasciava al legislatore nazionale ampia discrezionalità nel recepimento, in particolare per quanto attiene: l'individuazione dell'Autorità preposta; la tipologia ed entità di sanzioni; la definizione delle pratiche "black-listed" e "grey-listed"; l'integrazione delle normative statuali pre-esistenti; la definizione di accordo.

Di tale discrezionalità si può dire che il legislatore italiano abbia indubbiamente fatto uso. Si vedano ad esempio: la generalizzazione del divieto delle pratiche commerciali scorrette a prescindere dalla presenza, o meno, delle soglie di fatturato indicate in Direttiva; l'introduzione di sanzioni amministrative in percentuale sul fatturato, con riserva di reato; la previsione di una black list e di una grey list più ampia; l'abrogazione dell'art.62 (e con esso le pratiche commerciali scorrette non agro-alimentari) e, implicitamente, la permanenza della disciplina dell'abuso di dipendenza economica.

Tutto questo con un non trascurabile impatto sulla disciplina civilistica degli accordi e con un evidente impatto sul piano pubblicistico, che andremo di seguito a esaminare.

• Impatto civilistico

Anzitutto esaminiamo brevemente la definizione di contratto contenuta nel D.Lgs. 198/2021. Tale definizione appare di complessa interpretazione, laddove il legislatore fa riferimento al "contratto quadro" (art. 2.1. lett. a), fattispecie conosciuta dalla normativa speciale, ma non dal codice civile. Non solo, ma dalla lettura della citata norma parrebbe che tali "contratti" quadro siano in realtà "accordi normativi" come definiti - peraltro non univocamente - dalla nostra giurisprudenza e dottrina (cioè condizioni di contratto applicabili a futuri eventuali accordi, della cui stipulazione però non consta obbligo).

Tanto è vero, che la norma pare riferirsi ad un accordo, in qualche modo, a formazione progressiva, cioè accordo-quadro con generali condizioni di fornitura, seguiti da "conseguenti contratti di cessione" con quantitativi, assortimento etc. ma soprattutto con la volontà espressa di vendere/somministrare e di comprare.
I contratti di cessione sono poi considerati uti singuli (contratto-cessione) o a consegna periodica e per questa ultima fattispecie nuovamente ricorre il concetto di contratto-quadro.

Si osserva in proposito che il D.Lgs. 198/2021 non utilizza le fattispecie contrattuali tipiche previste dalla disciplina del codice civile, ossia la compravendita (anche a consegne ripartite) e la somministrazione, la cui disciplina dovrebbe nondimeno trovare applicazione.

L'art. 3.1 D.lgs. 198/2021 afferma che le relazioni commerciali devono svolgersi secondo trasparenza, correttezza, proporzionalità e corrispettività. Non è chiaro se il richiamo a tali principi costituisca una mera specifica del generale principio di buona fede nell'esecuzione dei contratti di cui all'art.1375 c.c., o se invece introduca principi aggiuntivi specifici, proprio per il settore agroalimentare.

Trasparenza e correttezza paiono effettivamente costituire una specificazione dell'obbligo di buona fede; così come anche la corrispettività che, del resto, costituisce un'esplicitazione del sinallagma tipico delle fattispecie contrattuali (compravendita/somministrazione) interessate.

Meno chiara è la portata della nozione di "proporzionalità": fermo restando l'obbligo di buona fede citato, la disciplina civilistica non pare imporre tale requisito, tant'è che prevede la possibilità di contratti con bilanciamenti anche non necessariamente proporzionati, arrivando per esempio ad ammettere persino la vessatorietà, purché nel rispetto di requisiti di forma (v. artt.1341 1342 .c.c.), oppure offrendo rimedi per ipotesi affatto estreme (rescissione per lesione e per contratti conclusi in stato di pericolo).
Quindi, almeno per quanto attiene il principio di "proporzionalità", il generale obbligo di buona fede appare rafforzato, per il settore agroalimentare.

In relazione alla forma, l'art. 3.2 ne impone la forma scritta - si ritiene - ad substantiam come desumibile dal suo tenore letterale : questo, indubbiamente, è un elemento molto significativo, in un sistema in cui, per il resto, vige un sostanziale principio di libertà di forma, salvi i casi previsti dall'art.1350 c.c.

Il grave trattamento sanzionatorio per il mancato rispetto della forma scritta di cui al successivo art. 10 , impone una riflessione su un'ipotesi che, anche considerando l'applicazione pratiche che ha avuto l'art. 62 D.Lgs.1/2012, si ritiene, potenzialmente, tutt'altro che infrequente: quid se un contraente rifiuta la contrattazione per iscritto, anche quando le parti si trovino d'accordo sulle clausole contrattuali e intendano darvi esecuzione?

In particolare, non è chiaro se, in tale ipotesi, possa soccorrere l'art. 1327 c.c. (esecuzione prima della risposta dell'accettante) e in ogni caso occorre porsi il problema - non scolastico ma concreto - se il contraente compliant, che abbia, ad esempio, inviato il contratto finalizzato al contraente per la firma senza ottenerne la restituzione, sia comunque esposto alla sanzione che punisce la mancanza di forma scritta.

L'obbligo della forma scritta sembrerebbe essere temperato dall'art. 3.3, nella parte in cui prevede la possibilità di ricorrere a forme equipollenti (quali "documenti di trasporto o di consegna, fatture, ordini di acquisto con i quali l'acquirente commissiona la consegna dei prodotti"), a condizione però che gli elementi contrattuali siano stati concordati nell'accordo quadro.

Allo stesso modo, in merito ai ritardi nei pagamenti (art. 4.2), pare legittimo chiedersi quale sorte abbia l'eccezione d'inadempimento da parte dell'acquirente debitore, che contesti - ad esempio - la mancanza di qualità promesse, carenze quanti-qualitative, di assortimento o similari, tanto da sospendere o rifiutare la prestazione di pagamento.

Avremmo in questo caso ritardo a sensi della nuova normativa?
In merito, potrebbe soccorrere l'interpretazione dell'art. 4 L.689/1981, che esclude la responsabilità sul piano amministrativo per l'ipotesi di "esercizio di facoltà legittima"?

Sempre sotto il profilo civilistico, indubbiamente il D.Lgs. 198/2021 incide sul contenuto degli accordi, imponendo una serie di obbligazioni di non facere in parte applicabili in assoluto, in parte applicabili salvo non consti diverso accordo; ma tutte sostanzialmente riconducibili ai citati principi di trasparenza, correttezza, proporzionalità e corrispettività, che del resto paiono volte a specificarli in qualche modo.

Da notare che nonostante alcuni divieti potenzialmente repressivi di un'ampia serie di condotte, elencate a gli artt. 4 (black list) e 5 (grey list) , abbiano una portata molto generale pare applicabile il divieto di analogia di cui all'art.1 L.689/1981 (applicazione delle norme solo nei casi e per i tempi da esse considerate).

In generale, le obbligazioni di non facere di cui agli artt. 4 e 5 D.Lgs. 198/2021, sono riconducibili al divieto di abuso derivante da differenti posizioni di forza, che al tempo stesso concreti il venir meno dei citati principi, nelle relazioni contrattuali.

Come accennato il D.Lgs. 198/2021 e la L.287/1990 in materia di concorrenza perseguono diversi fini: ciò nondimeno, non si può escludere che un comportamento risulti illecito sotto entrambi i profili: tant'è che nel disciplinare "altre pratiche commerciali sleali" (aggiuntive rispetto a quelle indicate in Direttiva), il legislatore inquadra alcuni comportamenti traslati dalla citata L. 287/1990 (v. art. 5 lett. b), d), e) f)).

Ai sensi dell'art. 9 D.Lgs. 198/2021, le pratiche scorrette possono essere denunciate all'autorità competente (il c.d. Private recourse) da "soggetti stabiliti nel territorio nazionale" (art. 9.1) e dalle "organizzazioni di produttori, le altre organizzazioni di fornitori, le associazioni di tali organizzazioni nonché le associazioni di parte acquirente" su richiesta "di uno o più dei loro membri" o, di "uno o più dei soci" (art. 9.2).

Ebbene, qualora a seguito d'indagine del Ministero delle politiche agricole sia adottata una decisione in forma definitiva, con esposizione delle risultanze d'indagine e conseguente trattamento sanzionatorio, pare indubbio che i soggetti che abbiano subito le pratiche commerciali scorrette siano legittimati a vedersi riconosciuti i danni in sede civile da parte di chi le abbia poste in essere.

Al riguardo si osserva che sarebbe opportuno che il legislatore provvedesse a chiarire, come ad esempio ha fatto per le norme antitrust (D.Lgs. 3/2017 art.7 e ss.), quale sia la portata probatoria delle risultanze istruttorie del Ministero sotto il profilo civilistico.

Sempre a proposito del Private Recourse, pare astrattamente perseguibile la via di ricorrere ad un procedimento di class action, ovviamente qualora ne ricorrano i presupposti, di cui alla recente riforma del 2019 che ha introdotto gli artt. 840 bis - 840-sexiesdecies c.p.c.

Anche sotto il profilo concorrenziale, essendo in generale ammessa in giurisprudenza l'azione per concorrenza sleale ex art. 2598 n. 3, c.c., per violazione di norme pubblicistiche, non si può in principio escludere un'applicazione di tale norma anche in caso di violazione del D.Lgs. 198/2021, qualora un soggetto si ritenga leso dalle pratiche scorrette poste in essere da un suo concorrente.

Ultimo, ma non certo per importanza, l'impatto sulle acquisizioni e dismissioni, costantemente caratterizzate da un'attività di due diligence da parte del potenziale compratore, nel cui contesto la componente regolatoria va assumendo una crescente importanza (responsabilità degli enti, privacy, sanzioni internazionali etc.).

Considerate le più che rilevanti sanzioni previste dall'art. 10 D.Lgs. 198/2021, il compratore dovrà infatti verificare se il venditore abbia attuato quanto necessario per la prevenzione delle pratiche commerciali scorrette PCS e/o ottenere ampie garanzie in merito, se vorrà evitare rilevanti sopravvenienze passive derivanti dall'acquisto.

• Impatto Pubblicistico

Sotto questo profilo, emerge innanzitutto il profilo sanzionatorio. Come si è detto la Direttiva lascia ampia discrezionalità agli Stati membri quanto a tipologia e misura delle sanzioni. E' evidente che il nostro legislatore, imponendo un trattamento sanzionatorio in percentuale sul fatturato -speculare a quanto previsto in materia antitrust- abbia voluto introdurre una forte efficacia deterrente delle pratiche commerciali scorrette e al tempo stesso repressiva delle pratiche accertate.
Un primo profilo è la determinazione della sanzione in concreto, nell'ambito della forcella percentuale sul fatturato, oscillante fra 1% e 6% (cfr. art. 10).

Essendovi evidentemente lo stesso problema in materia antitrust, l'AGCM con le Linee Guida del 2014 ha indicato i criteri per la determinazione delle sanzioni in concreto, quali, fra l'altro: focalizzazione sul mercato rilevante; gravità dell'infrazione; la quota di mercato; l'impatto economico; la previsione di un moltiplicatore in funzione della durata; la recidiva; livello di cooperazione all'indagine e circostanze attenuanti come mitigazione degli effetti, e il risarcimento.

Anche ai fini dell'onere di motivazione tipico di ogni provvedimento amministrativo, si ritiene che analoghe linea-guida sia quantomeno auspicabili soprattutto in fase di enforcement della nuova normativa.

Vale appena sottolineare che, alle sanzioni amministrative di cui alla norma si applica la L.689/1981, incluse le norme-cardine in materia di illecito amministrativo mutuate, come noto, dal sistema penalistico: principio di legalità, principio di specialità, cause di esclusione della responsabilità, concorso di persone, concorso formale e, a supporto di quanto sopra esposto in materia di determinazione della sanzione, criteri generali in materia di determinazione della sanzione.

Un'ulteriore riflessione si pone sulla riserva di reato chiaramente indicata dall'art. 10 D.Lgs. 198/2021: proprio il settore specifico agro-alimentare prevede condotte che, ricorrendone i presupposti, delineano la possibile contestazione di reati ben delineati (vendita di prodotti contraffatti o adulterati, vendita di prodotti non genuini, frode in commercio, vendita di prodotti con segni mendaci, oltre a reati contravvenzionali da legge speciale). Nella normativa qui in commento, mentre la riserva di reato è sempre prevista, la pluralità di condotte PCS di cui alla black e grey list è talmente estesa da rendere l'ermeneutica penalistica particolarmente complessa.

_____

*A cura di Franco Guariglia, Of Counsel dipartimento Corporate & Business Law e Sabrina Peron, partner dipartimento Corporate & Business Law, Franzosi Dal negro Setti