Giustizia

Bonafede vuole tornare a fare l'avvocato, i paletti dell'Agcm: per 12 mesi possibile conflitto di interessi

Per l'ex Ministro off limits gli enti di diritto pubblico e le società con attività nel settore Giustizia

di Francesco Machina Grifeo

La richiesta di parere all'Autorità Antitrust è arrivata direttamente dall'ex ministro della Giustizia lo scorso 8 aprile. Alfonso Bonafede ha chiesto all'Agcm se dopo essere stato il Guardasigilli sino al 12 febbraio scorso, possa riprendere o meno l'esercizio della professione forense. In termini tecnici, quale sia l'interpretazione da dare alla disciplina in materia di incompatibilità post-carica (art. 2, co. 4, secondo periodo, L. 215/2004).

E l'Authority guidata da Rustichelli gli ha risposto testualmente che per dodici mesi dal termine dell'incarico di governo, "non potrà esercitare l'attività di avvocato nei confronti di enti di diritto pubblico, anche economici, e di società aventi fini di lucro, qualora tali soggetti svolgano la propria attività prevalente in settori connessi con le funzioni istituzionali del Ministero della giustizia, così come disciplinate dalla normativa vigente".

Ma che in ogni potrà interpellare "in via preventiva questa Autorità relativamente ad eventuali problematiche o dubbi che dovessero presentarsi su specifici incarichi professionali che intendesse assumere nel periodo di vigenza dell'incompatibilità post-carica".

Una norma, quella prevista dall'articolo 2, co. 4, della L. n. 215/2004, ricorda l'Agcm, "essenzialmente intesa ad escludere in radice anche la mera eventualità che l'esercizio delle attribuzioni inerenti alla carica di governo possa essere influenzato o distorto dall'interesse del titolare a precostituirsi benefici futuri, ad esempio in termini di incarichi successivi alla cessazione della carica governativa".

In questo senso, prosegue la risposta, l'elemento di discontinuità introdotto dal legislatore nei rapporti tra gli ex titolari di carica e gli enti o le società che operino prevalentemente nei settori interessati dalle specifiche funzioni esercitate nel corso del mandato governativo, "è finalizzato a salvaguardare l'imparzialità dell'azione pubblica, che rappresenta il principio cardine della disciplina sul conflitto di interessi".

In punto di diritto, dunque la questione è stata risolta guardando al combinato disposto di cui all'art. 2, comma 1, lett. d) e di cui all'art. 2, comma 4, della legge 20 luglio 2004, n. 215. La prima disposizioni, infatti, preclude al titolare della carica di governo di "esercitare attività professionali o di lavoro autonomo in materie connesse con la carica di governo, di qualunque natura, anche se gratuite, a favore di soggetti pubblici o privati", mentre la seconda estende ai dodici mesi successivi alla cessazione della carica di governo, tra le altre, anche le incompatibilità, laddove tali attività siano svolte a favore di enti di diritto pubblico, anche economici, nonché di società aventi fini di lucro che operino prevalentemente in settori connessi con la carica ricoperta.

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