Civile

Opere su commissione ed appartenenza dei diritti di utilizzazione economica

Nota sentenza, Cassazione n. 19335 in data 15 giugno 2022

di Elisabetta Berti Arnoaldi e Francesca La Rocca Sena*

Il tema delle opere dell'ingegno create da autori/prestatori di lavoro autonomo su commissione è stato ampiamente trattato in dottrina, soprattutto con riferimento ai diritti morali d'autore, che in quanto inseparabili dalla persona dell'autore, irrinunciabili e imprescrittibili, non possono essere attribuiti, né direttamente, né indirettamente al committente.

Molto si è discusso, inoltre, sull'acquisto a titolo originario o derivativo dei diritti di utilizzazione economica sull'opera dell'ingegno da parte del committente, oltre che, nel caso di rapporto di lavoro subordinato, del datore di lavoro.

Ci si è domandati se i diritti patrimoniali sorgano in capo al committente per il solo fatto della creazione dell'opera da parte del soggetto al quale è stato conferito l'incarico (lavoratore dipendente e lavoratore autonomo) o, invece, per effetto delle previsioni del contratto .

In questo quadro si inserisce la recente Cassazione n. 19335 del 15 giugno 2022 (Rel. Dott. Scotti) che parrebbe aderire alla seconda tesi ovverossia alla prevalenza delle clausole contrattuali nei casi di contratto di commissione di opera dell'ingegno.

La sentenza è resa in un caso di conferimento di incarico consistente nella (ri)elaborazione grafica di confezioni di prodotti medicinali, modalità di indicazioni terapeutiche, ecc…in qualche modo suggerite, ‘vincolate' dal committente.

La Cassazione ha, innanzitutto, affermato che si deve distinguere il diverso caso in cui un incarico abbia ad oggetto inequivocabilmente la creazione di un'opera dell'ingegno (quali il format televisivo, slogan pubblicitario come in due precedenti, uno del 2017 e l'altro del 2016 espressamente richiamati in cui i diritti di utilizzazione economica sono stati riconosciuti in capo al committente) da quello in cui, invece, la prestazione demandata non è una creazione, ma la consegna di files esecutivi realizzati su indicazione del committente.

Ritiene la Corte che in questo secondo caso (che è frequente nella pratica dei rapporti di commissione con i grafici), non possa operare il principio generale, ribadito recentemente dalla Cassazione n. 8433/2020, per cui " in materia di diritto d'autore il committente è titolare, a titolo derivativo o originario (secondo contrapposte tesi dottrinali), in via esclusiva, dei diritti di sfruttamento economico delle opere dell'ingegno realizzate su commissione dal lavoratore autonomo, ove quest'ultimo si sia obbligato, dietro compenso, a svolgere un'attività creativa affinché la controparte possa poi sfruttarne economicamente i risultati, spettando invece all'autore i diritti morali".

Presupposto di tale principio è infatti che l'oggetto dell'incarico sia inequivocabilmente la creazione dell'opera.

Nel diverso caso in cui oggetto dell'incarico sia l'elaborazione di esecutivi grafici, laddove si si possa configurare un'attività creativa i diritti di utilizzazione economica ad essa relativi rimangano in capo all'autore (il grafico, il designer incaricato) che, di conseguenza, ha diritto a non consegnare i cd. sorgenti e ad eventualmente disporne soltanto contro il pagamento di un prezzo ulteriore a quello pattuito per gli esecutivi.

La Corte ha specificato che nel caso di specie non trova applicazione l'articolo 12 bis l.d.a. Sia perché tale norma si riferisce unicamente alle opere dell'ingegno create dai lavori subordinati, sia perché, quanto all'oggetto, riguarda programmi per elaboratore o banche di dati, mentre, nel caso di specie, entrambe le parti escludevano che la creazione del commissionario fosse qualificabile come software.

Questa sentenza è particolarmente interessante anche perché menziona il c.d. Jobs Act del lavoro autonomo (legge 22 maggio 2017) recante "Misure per la tutela del lavoratore autonomo non imprenditoriale e misure volte a favorire l'articolazione flessibile nei tempi e nei luoghi di lavoro subordinato" che all'art. 4, in tema di "Apporti originali e invenzioni del lavoratore" prevede che "salvo il caso in cui l'attività inventiva sia prevista come oggetto del contratto di lavoro e a tale scopo compensata, i diritti di utilizzazione economica relativi ad apporti originali e a invenzioni realizzati nell'esecuzione del contratto stesso spettano al lavoratore autonomo, secondo le disposizioni dei cui alla legge 22 aprile 1941 n. 633 ed al codice di proprietà industriale, di cui al decreto legislativo 10 febbraio 2005, n. 30 ".

Già il Tribunale di Bologna con sentenza del Trib. Bologna 15 gennaio 2020 aveva richiamato tale disciplina affermando che "il principio per cui nel caso di attività inventivo-creativa del lavoratore autonomo i diritti di utilizzazione economica dell'invenzione/opera dell'ingegno spettano al committente se oggetto del contratto è l'attività inventiva/creativa e salvo patto contrario discende dalle regole del contratto d'opera e ora dalla normativa specifica del Jobs Act.».

Il principio per il quale non dovrebbe ritenersi automatica l'insorgenza del diritto in capo al committente nel caso di opera su commissione corrisponde in parte alla sentenza della Corte di Giustizia C- 32/08, ma mette in crisi la ratio della regola dell'attribuzione a titolo originario del diritto patrimoniale in capo a chi ‘finanzia' l'attività (all'imprenditore della ricerca).

E' in ogni caso interessante segnalare che nella recente pronuncia della Suprema Corte si trova un diverso spunto per riflettere sul tema generale dell'appartenenza dei diritti nel caso di opere dell'ingegno realizzate su commissione.

La Corte afferma infatti che "molto si è discusso sull'acquisto a titolo originario o derivativo dei diritti di utilizzazione economica sull'opera dell'ingegno da parte del suo committente; appare convincente al riguardo un'autorevole opinione che, dopo avere distinto tra carattere e modo dell'acquisto, lo ha qualificato derivativo, ma effetto del contratto con l'impresa committente, secondo uno schema concettuale analogo a quello disciplinato dal Codice Civile per la vendita di cosa futura ex art. 1472 c.c."

La sentenza è troppo recente per valutarne l'incidenza sul pensiero dottrinale e sulla giurisprudenza di merito, ma si può prevedere che la sua interpretazione sarà motivo di ulteriori importanti dibattiti.

*a cura di Elisabetta Berti Arnoaldi e Francesca La Rocca Sena, Studio Legale Sena & Partners

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