Penale

Confisca per equivalente, legittima solo se i proventi dell'illecito non sono rinvenuti nel patrimonio del reo

La misura ablatoria - così come il sequestro preventivo ad essa funzionale - è legittima soltanto se i proventi dell'illecito non sono rinvenuti nella sfera patrimoniale dell'ente nel cui interesse il reato tributario è stato commesso (Corte di Cassazione, Sez. III Pen., Sen. 14 marzo 2022, n. 8557)

di Paolo Comuzzi

La decisione che si commenta in questa sede ( Cassazione 8557/2022 ) appare di interesse in quanto coinvolge numerosi profili e tutti meritano un commento (seppure sintetico).

Il caso è abbastanza semplice e si riassume nel dire che l'imputato ricorre in Cassazione avverso la decisione della Corte di Appello di Brescia che "…accogliendo il gravame proposto dal pubblico ministero, ha disposto nei confronti dell'imputato [Omissis] la confisca per equivalente del profitto del reato di cui all'art. 2 d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74, confermandone l'affermazione di penale responsabilità per aver il medesimo, quale legale rappresentante della [Omissis], indicato fatture per operazioni inesistenti nelle dichiarazioni presentate per gli anni d'imposta 2010 e 2011 …".

Il ricorrente propone 10 motivi di ricorso dei quali nove sono oggetto di completa bocciatura da parte della Corte di Cassazione.

Per quanto di interesse la Corte di Cassazione afferma una serie di principi che andiamo a delineare nel seguito.

Il primo consiste nel dire che "… quanto all'inutilizzabilità dedotta con il primo motivo, va rammentato che con riguardo alla disciplina applicabile, il consolidato orientamento di questa Corte è nel senso che, in tema di intercettazioni disposte in altro procedimento , l'omesso deposito degli atti relativi, ivi compresi i nastri di registrazione, presso l'autorità competente per il diverso procedimento, non ne determina l'inutilizzabilità, in quanto detta sanzione non è prevista dall'art. 270 cod. proc. pen. e non rientra nel novero di quelle di cui all'art. 271 cod. proc. pen. aventi carattere tassativo (Sez. 5, n. n. 1801 del 16/07/2015, dep. 2016, [Omissis], Rv. 266410; Sez. 6, n. 48968 del 24/11/2009, [Omissis], Rv. 245542) …".

A questo principio la Corte fa seguire l'affermazione secondo cui "… in tema di prova documentale, la copia fotostatica di un documento, per il principio di libertà della prova, quando sia idonea ad assicurare l'accertamento dei fatti, ha valore probatorio anche al di fuori del caso di impossibilità di recupero dell'originale, pur se essa sia priva di certificazione ufficiale di conformità e sia stata disconosciuta dall'imputato (Sez. 5, n. 8736 del 16/01/2018, [Omissis], Rv. 272417; Sez. 2, n. 52017 del 21/11/2014, [Omissis], Rv. 261627; Sez. 4, n. 18454 del 26/02/2008, [Omissis], Rv. 240159) …".

Quale terzo principio importante la Cassazione afferma che "…Il reato di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti sussiste sia nell'ipotesi di inesistenza oggettiva dell'operazione, cioè quando non sia stata posta mai in essere nella realtà, sia in quella di inesistenza soggettiva, ossia quando l'operazione vi sia stata ma per quantitativi inferiori a quelli indicati in fattura, sia infine nel caso di sovrafatturazione qualitativa, nel quale la fattura attesti la cessione di beni e/o servizi aventi un prezzo maggiore di quelli forniti, in quanto oggetto di repressione penale è ogni tipo di divergenza tra la realtà commerciale e la sua espressione documentale (Sez. 3, n. 1998 del 15/11/2019, dep. 2020, [Omissis], Rv. 278378; Sez. 3, n. 4236 del 18/10/2018, dep. 2019, [Omissis], Rv. 275692). In ogni caso, nella specie, sin dal primo grado, il reato è stato ritenuto limitatamente all'importo fatturato con riguardo alle "provvigioni" corrisposte ai soggetti che avevano emesso le fatture per operazioni inesistenti, vale a dire a erogazioni illecite ovviamente non deducibili, sicché non v'è alcun dubbio che, quantomeno in questi termini, la fraudolenta indicazione degli elementi passivi fittizi sia stata finalizzata ad evadere le imposte, con conseguente logicità e correttezza di quanto argomentato a pag. 27 della sentenza impugnata …".

Bocciati ben nove dei dieci motivi di ricorso la Corte di Cassazione indica che l'ultimo dei motivi addotti (il decimo) è invece un motivo che ha le sue ragioni e quindi afferma che
"… Nell'accogliere il gravame proposto dal Procuratore generale sull'omessa confisca del profitto del reato, articolato sia con riguardo alla confisca diretta del profitto, sia a quella per equivalente sui beni nella disponibilità dell'imputato, la sentenza impugnata si è limitata a disporre quest'ultima, senza nulla specificare in ordine all'impossibilità di confiscare il profitto nei confronti della [Omissis]. Neppure dalla sentenza di primo grado emergono ragioni che spieghino questa statuizione, la quale si pone dunque in contrasto con la disciplina legale applicabile …".

In conseguenza delle norme vigenti la Corte di Appello avrebbe dovuto tenere conto che la Cassazione "… ha già affermato il principio - peraltro consolidato - secondo cui, in materia di reati tributari, la confisca, anche per equivalente, dei beni che costituiscono il profitto o il prezzo di uno dei delitti previsti dal d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74, deve essere sempre disposta nel caso di condanna o di sentenza di applicazione concordata della pena, stante l'identità della lettera e la piena continuità normativa tra la disposizione di cui all'art. 12-bis, comma secondo, del predetto decreto (introdotta dal d.lgs. 24 settembre 2015, n. 158) e la previgente fattispecie, qui pure applicabile ratione temporis, prevista dall'art. 322-ter cod. pen., richiamato dall'art. 1, comma 143, I. 24 dicembre 2007, n. 244, abrogata dall'art. 14 del citato d.lgs. n. 158 del 2015 (Sez. 3, n. 50338 del 22/09/2016, [Omissis], Rv. 268386) …" ma, preso atto di questo cammino giurisprudenziale, la Corte di Appello doveva anche considerare che "… le disposizioni richiamate, tuttavia, ammettono la confisca per equivalente di beni di cui il reo ha la disponibilità, per un valore corrispondente al profitto del reato, soltanto laddove non sia possibile la confisca - c.d. diretta - dei beni che costituiscono il profitto del reato. La misura ablatoria - così come il sequestro preventivo ad essa funzionale - è dunque legittima soltanto se i proventi dell'illecito non sono rinvenuti, per quanto qui rileva, nella sfera patrimoniale dell'ente nel cui interesse il reato tributario è stato commesso, dovendo farsi ricorso alla confisca per equivalente soltanto in via subordinata (Sez. 3, n. 46709 del 28/03/2018, [Omissis], Rv. 274561; Sez. 3, n. 30930 del 05/05/2009, [Omissis]e a., Rv. 244934) …".

In conseguenza di questa erronea impostazione la Cassazione cassa la sentenza e "…limitatamente alla statuizione sulla confisca per equivalente, con rinvio per nuovo giudizio sul punto …".

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