Penale

Libertà di stampa e magistratura, prudenza nella critica ma attenzione al "chilling effect"

I confini sono stati delineati dalla Cassazione con la sentenza n. 34016/2021

di Pietro Alessio Palumbo

La Corte EDU ha stabilmente affermato che il ruolo fondamentale della stampa e quello di "cane da guardia" ("watch-dog") della democrazia: la libertà di espressione è presupposto e chiave di volta di una società democratica e libera. Allo stesso tempo la medesima Corte pur inserendo tra i motivi idonei a giustificare le limitazioni alla libertà di espressione, le necessarie garanzie di autorità e di imparzialità del potere giudiziario, è anche costante nell'affermare che il potere giudiziario non è per ciò stesso sottratto alla critica. In tal verso la speciale protezione dell'autorità giudiziaria attraverso possibili limitazioni alla libertà di espressione si giustifica per il fatto che concorre a tutelare la buona amministrazione della giustizia, di cui il "rispetto" e la "fiducia" del popolo sono una condizione. La tutela dei giudici e dei pubblici ministeri è necessaria anche in considerazione del particolare dovere di riserbo che li vincola a non reagire agli attacchi che vengono loro rivolti. E anzi la tutela per il rispetto del potere giudiziario implica che i magistrati pur godendo di libertà di espressione, hanno onere di prudenza e di continenza nell'esercizio della stessa. Ciò nondimeno – ha evidenziato la Corte di Cassazione con la sentenza 34016/2021 – in un ordinamento equilibrato e in una società a democrazia matura va anche evitato il cosiddetto chilling effect ossia la ritrosia ad esercitare un proprio diritto, una propria libertà o anche un ruolo, nel timore di sanzioni legali. E ciò nel caso della libertà di espressione giornalistica sarebbe un grave vulnus per la collettività.

I confini della "speciale protezione"
La Corte di piazza Cavour ha posto l'accento sul fatto che la fattispecie sottoposta al suo esame non rientrava nell'ambito della "speciale protezione" riconosciuta al potere giudiziario, e delle limitazioni ammesse per salvaguardare l'autorità dello stesso, in quanto la "critica" del giornalista coinvolto aveva riguardato la posizione assunta da un magistrato non nell'espletamento delle pubbliche funzioni, ma nell'esercizio di un incarico associativo di rilevanza nazionale, concernente l'attività "sindacale" e rappresentativa della categoria dei magistrati. Ciò nell'ambito di un contraddittorio dialettico svoltosi in una trasmissione televisiva a diffusione nazionale.

Il diritto di critica politica
In tema di diffamazione a mezzo stampa la configurabilità dell'esimente dell'esercizio del diritto di critica politica trova fondamento nell'interesse all'informazione dell'opinione pubblica e nel controllo democratico nei confronti degli esponenti politici e dei pubblici amministratori. Ma è necessario che l'elaborazione critica non sia avulsa da un nucleo di verità e non trascenda in attacchi personali finalizzati ad aggredire la sfera morale altrui. In particolare l'esimente del diritto di critica è configurabile quando il discorso giornalistico abbia un contenuto prevalentemente valutativo e si sviluppi nell'alveo di una polemica intensa e dichiarata su temi di rilevanza sociale; senza trascendere in accanimenti personali finalizzati all'unico scopo di "aggredire" la sfera morale altrui.
A differenza di quanto si verifica con riguardo al diritto di cronaca neppure si richiede che la critica sia formulata con riferimento a precisi dati fattuali, sempre che il nucleo ed il profilo essenziale dei fatti non siano strumentalmente travisati o manipolati. Il diritto di critica del giornalista non può essere svilito, limitandolo alla esposizione dei fatti e alla loro puntuale, esatta riproduzione, per cui non può negarsi al predetto, il diritto di ricercare e di riferire al lettore legami, rapporti e relazioni, dirette o indirette, immediate o mediate, quando questi elementi risultino oggettivamente sussistenti.
A ben vedere in tema di diffamazione a mezzo stampa, il rispetto della verità del fatto assume, in riferimento all'esercizio del diritto di critica politica, un rilievo più limitato e necessariamente affievolito rispetto al diritto di cronaca, in quanto la critica, ed ancor più quella politica, quale espressione di opinione meramente soggettiva, ha per sua stessa natura carattere congetturale: non può, per definizione, pretendersi che sia rigorosamente obiettiva o "asettica". Il limite fondamentale all'esercizio del diritto di critica è, pertanto, essenzialmente quello del rispetto della "dignità" altrui. E la verità del fatto non deve essere strumentalmente alterata o "ri-maneggiata".
Deriva che l'esimente non è applicabile qualora l'agente manipoli le notizie o le rappresenti in modo incompleto, in maniera tale che, per quanto il risultato complessivo contenga un nucleo di verità, ne risulti stravolto il fatto, inteso come accadimento di vita puntualmente determinato, riferito a soggetti specificamente individuati.
È in altre parole necessario che l'articolista, nel selezionare fatti accaduti nel tempo, reputati rilevanti per illustrare la personalità dei soggetti criticati, non "impasti" o rappresenti in forma incompleta le notizie, in maniera tale che, fermo un nucleo di verità, la sua operazione rappresentativa "sformi" il fatto.
Su queste basi la Corte di Cassazione ha affermato che le espressioni impiegate nella vicenda dal giornalista, pur senz'altro integranti una offesa alla reputazione del magistrato, rientravano tuttavia negli ampi limiti dell'esercizio del diritto di critica politica.

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