Professione e Mercato

Chat GPT, in bilico il delicato equilibrio fra piattaforme digitali ed editori online

L'approvazione del Regolamento sulla determinazione dell'equo compenso è stata salutata dagli editori con favore ma rischia di essere messo in discussione, nei risultati economici che può produrre, dal crescente utilizzo delle funzionalità basate sull'Intelligenza Artificiale Generativa

di Andrea Boscaro*

In due mesi Chat GPT ha raggiunto 200 milioni di utenti nel mondo e le risposte che offre, grazie al suo modello linguistico, sono in corso di integrazione in Bing, il motore di ricerca di Microsoft che è diventato l'azionista di maggioranza della società che l'ha sviluppato, OpenAI. Tale successo ha innescato l'inevitabile reazione da parte dei principali concorrenti fra i quali Google che ha annunciato un servizio, chiamato Bard, che andrà ad affiancare i più tradizionali risultati di ricerca, organici e a pagamento.

L'accostamento di assistenti virtuali, quelli che ha Microsoft ha definito i "co-piloti" della navigazione in Rete, consolida una tendenza già in essere da tempo. Ovvero la trasformazione dei motori di ricerca in "motori di risposta" e, con la loro diffusione, può influenzare significativamente la visibilità che gli annunci sponsorizzati godono nelle pagine di risultato e dunque la sostenibilità del modello di business di Bing e Google sulla base del quale è stato di recente approvato, da parte di Agcom, il Regolamento sull'"Equo compenso" dovuto da tali piattaforme agli editori.

Introdotto dal decreto legislativo numero 177 dell'8 novembre 2021 , che ha recepito la Direttiva Ue 790/2019 sul diritto d'autore e sui diritti connessi nel mercato unico digitale ("Direttiva c.d. Copyright"), il Regolamento dà forma ad una norma che si fonda sul meccanismo della cosiddetta negoziazione assistita a tutela della parte più debole del rapporto – gli editori - nel rapporto che possono intavolare con i prestatori di servizi digitali come Google e Facebook: grazie ad organismi di gestione collettiva dei diritti, anche le testate giornalistiche più piccole potranno dunque farsi assistere nell'individuazione del compenso da ottenere in virtù della pubblicazione e della condivisione delle notizie sui motori di ricerca, sui social network e nei servizi di news operati dalle piattaforme online.

Con il Regolamento pubblicato lo scorso 25 febbraio, Agcom – che può essere chiamata in causa in caso di mancato accordi fra le Parti – ha determinato l'equo compenso.

Calcolato sulla base dei ricavi pubblicitari realizzati dal prestatore di servizi in ragione della pubblicazione delle notizie degli editori al netto dei ricavi dell'editore attribuibili al traffico di reindirizzamento generato sul proprio sito web dalle testate giornalistiche, tale valore è oggetto di un'aliquota fino al 70% determinata, con rilevanza decrescente, dai seguenti fattori:
• numero di consultazioni online delle pubblicazioni di carattere giornalistico dell'editore sui servizi del prestatore, espresse in termini di visualizzazioni e interazioni degli utenti;
anni di attività dell'editore e sua rilevanza sul mercato, espressa in termini di audience online e rilevata su base periodica dagli organismi più rappresentativi del settore;
numero di giornalisti, inquadrati ai sensi di contratti collettivi nazionali di categoria, impiegati dall'editore per la realizzazione delle pubblicazioni di carattere giornalistico diffuse online;
• costi comprovati sostenuti dall'editore per investimenti tecnologici e infrastrutturali destinati alla realizzazione, alla riproduzione e alla comunicazione delle pubblicazioni di carattere giornalistico diffuse online;
• adesione e conformità a codici di condotta in materia di qualità dell'informazione e di fact-checking maggiormente riconosciuti.

L'approvazione del Regolamento sulla determinazione dell'equo compenso è stata salutata dagli editori e dal Presidente della FIEG Andrea Riffeser Monti con favore, ma rischia di essere messo in discussione, nei risultati economici che può produrre, dal crescente utilizzo delle funzionalità basate sull'Intelligenza Artificiale Generativa, soprattutto se integrate nei motori di ricerca, pregiudicando quindi la sostenibilità dei modelli di business degli editori online sotto almeno due profili.

Non solo i contenuti prodotti dalle testate giornalistiche e pubblicate online possono essere infatti utilizzati, senza alcun compenso, da parte dei modelli linguistici come Chat GPT per accrescere il loro patrimonio informativo e addestrarne la tecnologia, ma la restituzione delle risposte all'interno dei motori di ricerca può ridurre sia i ricavi che le piattaforme digitali possono generare dalla pubblicazione degli annunci sponsorizzati sia il traffico sui siti web editoriali.

L'opacità delle fonti a cui attinge Chat GPT non rappresenta dunque solo un elemento di incertezza della sua affidabilità, ma anche un fattore da considerare, nell'orizzonte di cambiamento che il suo avvento ha indicato, nell'ambito del delicato equilibrio fra piattaforme digitali ed editori online che, dopo anni di discussine, ha finalmente trovato un approdo con il Regolamento sull'equo compenso. Dopo aver trovato una provvisoria composizione nella norma, il futuro dell'informazione online è ritornato ad essere soggetto all'evoluzione della tecnologia e delle sue applicazioni.

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*A cura di Andrea Boscaro, Partner The Vortex

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