Civile

Riforma civile: in appello consigliere istruttore e trattazione scritta

Il disegno di legge delega modifica i giudizi di secondo grado e di legittimità

di Antonino Porracciolo

Torna il consigliere istruttore in appello e la trattazione scritta diventa stabile. Sono le novità per il giudizio di appello contenute nel disegno di legge delega sul processo civile destinate ad avere un maggiore impatto pratico. Ma non sono le uniche: il comma 8 dell’unico articolo della riforma (già approvata dal Senato e ora all’esame della commissione Giustizia della Camera) è tutto infatti dedicato a princìpi e criteri direttivi relativi al processo civile d’appello, che dovranno essere attuati entro un anno dai decreti legislativi del Governo.

Come già previsto nella riforma del Codice di procedura civile del 1950 (poi cancellata, sul punto, dalla legge 353/1990), la trattazione in corte d’appello tornerà a svolgersi davanti al consigliere istruttore, che avrà il potere di dichiarare la contumacia dell’appellato, di provvedere alla riunione degli appelli proposti contro la stessa sentenza e di procedere al tentativo di conciliazione. Rispetto al “vecchio”, il “nuovo” consigliere istruttore potrà ammettere mezzi di prova, assumerli e fissare udienza di discussione della causa davanti al collegio anche in base all’articolo 281-sexies del Codice di procedura civile.

Diventerà poi regola la trattazione scritta, prevista dalla decretazione d’urgenza per limitare l’accesso agli uffici giudiziari in tempo di Covid-19: il consigliere istruttore, esauriti i compiti che la riforma gli attribuisce, assegnerà alle parti termini perentori non superiori a 60 giorni per il deposito di note scritte con la precisazione delle conclusioni, e poi altri termini per comparse conclusionali e memorie di replica (non superiori, rispettivamente, a 30 e 15 giorni); quindi avanti a sé fisserà altra udienza, nella quale porrà la causa in decisione e si riserverà di riferire al collegio.

È destinato inoltre a essere rivisto il cosiddetto filtro in appello, inserito nel Codice dal decreto legge 83/2012. Stop, infatti, alla pronuncia di inammissibilità contenuta in un’ordinanza: l’impugnazione, in difetto di una ragionevole probabilità di essere accolta, sarà dichiarata manifestamente infondata con una sentenza succintamente motivata, resa a seguito di trattazione orale.

Arriva una precisazione sui termini per le impugnazioni: la riforma, secondo un principio ormai indiscusso in Cassazione (e riaffermato, da ultimo, nell’ordinanza 26427/2020), dispone che i termini stabiliti dall’articolo 325 del Codice di procedura civile dovranno decorrere dal momento della notifica della sentenza «anche per la parte che procede alla notifica».

Sarà ampliato il novero dei casi in cui l’impugnazione incidentale tardiva perderà efficacia: all’ipotesi di declaratoria di inammissibilità dell’impugnazione principale, già contenuta nel comma 2 dell’articolo 334 del Codice di rito, sarà affiancata quella della dichiarazione di improcedibilità del primo gravame.

Ancora, negli atti introduttivi dell’appello disciplinati dagli articoli 342 e 434 del Codice, le indicazioni stabilite a pena di inammissibilità dovranno essere esposte in modo «chiaro, sintetico e specifico».

La lettera d) del comma 8 rimette al decreto legislativo di individuare la «forma con cui, nei casi previsti dall’articolo 348 del Codice di procedura civile, l’appello è dichiarato improcedibile e il relativo regime di controllo». Attualmente la Cassazione afferma che si debba procedere con sentenza, essendo stato abrogato, dalla legge 353/1990, l’articolo 357 del Codice, che prevedeva il reclamo al collegio contro le ordinanze con cui l’istruttore dichiarava l’improcedibilità dell’appello.

Infine, il decreto legislativo dovrà intervenire sulle ragioni che possono bloccare la provvisoria esecuzione della sentenza di primo grado. I «gravi e fondati motivi», oggi previsti dall’articolo 283 del Codice, saranno sostituiti da presupposti dai contorni più netti: un giudizio prognostico di manifesta fondatezza dell’impugnazione (il “fumus boni iuris”) o, alternativamente, un grave e irreparabile pregiudizio derivante dall’esecuzione della sentenza anche in relazione alla possibilità di insolvenza di una delle parti (il “periculum in mora”). Inoltre, la richiesta di sospensione dell’esecuzione potrà essere proposta o riproposta nel corso del giudizio di appello, ma andranno indicati gli elementi sopravvenuti dopo la proposizione dell’impugnazione.

Per la trattazione della richiesta di sospensione dell’esecuzione, le parti compariranno davanti al consigliere istruttore designato dal presidente; sarà poi il collegio, al quale l’istruttore riferirà, a decidere sull’istanza.

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