Giustizia

Mini flat tax, il Mef smentisce l'ipotesi dell'aumento dal 15% al 23%

Per l'interrogante (Osnato, FdI): "La risposta è poco chiara e non univoca, temo preoccupazioni siano fondate"

di Francesco Machina Grifeo

Nella risposta data, nei giorni scorsi, in Parlamento, alla interrogazione dell'onorevole Osnato (FdI), il sottosegretario all'Economia Cecilia Guerra smentisce che via sia allo studio del Governo l'ipotesi di portare il regime forfetario agevolato per autonomi e partite Iva dal 15% al 23.

A fine marzo, il Direttore generale delle Finanze, Fabrizia Lapecorella, audita nel contesto della riforma dell'irpef, aveva affermato che i diversi sistemi fiscali agevolativi: la flat tax per le partite Iva, ma anche la cedolare secca, pur essendo utili per far emergere attività sommerse, hanno un modesto impatto sul gettito. Non solo, il regime forfetario, di cui nel 2018 avrebbe usufruito circa un milione di contribuenti (determinando un gettito Irpef di circa un miliardo), sarebbe un sistema sostanzialmente iniqu o, per cui, ricostruisce l'interrogante, pur riconoscendone l'utilità sul piano della semplificazione, Lapecorella avrebbe suggerito di limitare tale regime agevolato a coloro che iniziano un'attività o che hanno redditi modesti, applicandovi però l'aliquota Irpef base del 23 per cento.

L'eventualità era stata subito bollata come "assurda" dall''Associazione Italiana Giovani Avvocati (Aiga) che aveva proclamato il proprio "sconcerto" per la notizia del "possibile" aumento della aliquota della mini flat tax, annunciando di essere pronta a scendere in piazza. "Il regime forfettario – per il Presidente Antonio De Angelis - ha consentito a molte partite iva, ed in particolare ai più giovani, di sopravvivere in un momento così difficile".

Secondo la Sottosegretaria, tuttavia, Lapecorella "non ha suggerito delle linee di intervento, limitandosi a valutazioni che attengono alla minore o maggiore efficienza di alcune forme di prelievo e immaginando possibili forme evolutive di alcuni regimi di tassazione".

Mentre, prosegue Guerra: "in merito al paventato incremento dell'aliquota dal 15 per cento al 23 per cento per i lavoratori autonomi, occorre precisare che l'ipotesi di incremento non rappresenta affatto una proposta di lavoro, come affermato nell'interrogazione in oggetto".

"Piuttosto – prosegue -, sulla base di un determinato modello teorico di riferimento, ovvero quello della Dual Incoine Tax (DIT), in un passaggio dell'audizione si afferma che un disegno coerente dell'imposta dovrebbe suggerire di fissare l'aliquota dell'imposta sostitutiva al livello della prima aliquota dell'Irpef in luogo dell'attuale aliquota pari al 15 per cento (5 per cento per i primi anni di attività)».

In altre parole, spiega Guerra, sul piano strettamente teorico, il modello DIT dovrebbe prevedere l'uniformità di tutti i regimi sostitutivi e a tassazione separata dei redditi da capitale e l'armonizzazione all'aliquota più bassa dell'Irpef gravante sui redditi da lavoro dipendente. "L'ipotesi, pertanto, rientra esclusivamente tra quelle discusse nell'ambito di un dibattito teorico collegato alla possibilità di optare per un modello di tassazione duale dei redditi personali".

Al tempo stesso, ricostruisce Guerra, si afferma anche che, al contrario, «un ritorno dei piccoli lavoratori autonomi tra i soggetti cui applicare le aliquote progressive dell'Irpef», ovvero il perseguimento del modello contrapposto e onnicomprensivo (CIT) «comporterebbe il riemergere dell'Irap e della ritenuta d'acconto del 20 per cento. Si riattiverebbe – inoltre – il normale meccanismo dell'Iva. Sarebbero dovute le addizionali regionali e comunali».

Infine, si sottolinea che «in ogni caso, sarebbe opportuna una revisione dei coefficienti di redditività che non sono stati modificati in seguito all'innalzamento della soglia di ricavi o compensi per l'accesso al regime forfetario (da 25.000 euro a 65.000 euro), non sono coerenti con la struttura dei costi di imprese di dimensioni meno contenute", che però lascerebbe invariati i coefficienti di redditività, fra gli altri, delle attività professionali.

Una risposta che non ha però convinto l'interrogante. Secondo Osnato (FDI) "il Governo ha ritenuto di replicare senza offrire elementi di risposta". Ed ha così ribadito che resta "l'esigenza di sapere se il Governo intende o meno modificare tale regime, poiché la risposta ottenuta appare poco chiara e non univoca, ciò mi fa temere che le mie preoccupazioni siano fondate".

IL TESTO DELLA RISPOSTA DEL 21/4/21

05793: Tutela del regime forfettario agevolato per i lavoratori autonomi e i titolari di partite IVA.
   Con il documento in esame, gli Onorevoli interroganti richiamano le osservazioni svolte dal Direttore Generale delle Finanze durante l'audizione dello scorso 26 marzo alla Camera.
  Gli Onorevoli rilevano che nel corso dell'audizione la Professoressa Lapecorella avrebbe evidenziato che i diversi sistemi fiscali agevolativi, come la cedolare secca o la flat tax per le partite IVA, pur essendo utili per far emergere attività sommerse, hanno un modesto impatto sul gettito.
  Il Direttore generale delle Finanze avrebbe concluso il suo intervento dichiarando che il regime forfetario, di cui nel 2018 avrebbe usufruito circa un milione di contribuenti, determinando un gettito Irpef di circa un miliardo, è sostanzialmente iniquo, pur riconoscendone l'utilità sul piano della semplificazione degli adempimenti, suggerendo di limitare tale regime agevolato a coloro che iniziano un'attività o che hanno redditi modesti, applicandovi però l'aliquota Irpef base del 23 per cento.
  Tanto premesso, l'Onorevole interrogante chiede «se il Governo intenda attuare la previsione dell'abolizione del regime forfettario, aumentando al 23 per cento l'aliquota Irpef sui lavoratori autonomi».
  Al riguardo, sentiti gli Uffici dell'Amministrazione finanziaria si osserva quanto segue.
  Giova preliminarmente chiarire la portata delle osservazioni svolte dal Direttore generale delle finanze in occasione della cennata audizione.
  La Professoressa Lapecorella, in quella occasione, non ha suggerito delle linee di intervento, limitandosi a valutazioni che attengono alla minore o maggiore efficienza di alcune forme di prelievo e immaginando possibili forme evolutive di alcuni regimi di tassazione. In particolare, sono stati illustrati gli effetti sulla base imponibile Irpef delle varie forme di tassazione sostitutiva, tra cui le aliquote dell'imposta sostitutiva sui redditi da capitale finanziario ovvero dell'imposta sostitutiva sui redditi da capitale immobiliare soggetti a cedolare secca, oltre che l'imposta sostitutiva del regime forfetario e dell'imposta sostitutiva dei premi di produttività aziendale erogati ai lavoratori dipendenti, al fine di evidenziare che le possibili opzioni di riforma possono orientarsi alternativamente verso il modello dell'imposta onnicomprensiva, che attraverso un recupero dell'erosione della base imponibile, potrebbe consentire una significativa riduzione delle aliquote medie, ovvero verso il modello di imposta duale considerando, tuttavia, tra le opzioni di riforma la possibilità di far convergere le aliquote proporzionali applicabili alle diverse fonti di reddito alla prima aliquota dell'Irpef.
  In relazione al regime forfetario richiamato dagli Onorevoli interroganti, si evidenzia che si tratta un regime fiscale agevolato, destinato alle persone fisiche esercenti attività d'impresa, arti o professioni, e prevede, al ricorrere di determinati requisiti, l'applicazione di un'imposta unica, pari al 15 per cento, sostitutiva di quelle ordinariamente previste (imposte sui redditi, addizionali regionale e comunale, Irap), ad un reddito determinato forfetariamente attraverso l'applicazione di specifici coefficienti di redditività, differenziati in base all'attività esercitata, all'ammontare dei ricavi conseguiti o dei compensi percepiti da tali categorie di contribuenti. Il regime forfetario prevede, inoltre, una riduzione dell'imposta sostitutiva (dal 15 per cento al 5 per cento) per i primi cinque anni di attività. I contribuenti che aderiscono al regime forfetario godono, altresì, di ulteriori agevolazioni e semplificazioni, soprattutto in tema di imposta sul valore aggiunto e di esonero dalla fatturazione elettronica.
  In merito al paventato incremento dell'aliquota dal 15 per cento al 23 per cento per i lavoratori autonomi, occorre precisare che l'ipotesi di incremento non rappresenta affatto una proposta di lavoro, come affermato nell'interrogazione in oggetto.
  Piuttosto, sulla base di un determinato modello teorico di riferimento, ovvero quello della Dual Incoine Tax (DIT), discusso ampiamente nelle audizioni parlamentari sulla riforma Irpef, in un passaggio dell'audizione si afferma che «qualora si volesse salvaguardare la semplificazione degli adempimenti prevista dal regime ma ricondurlo al sistema di dual income tax "imperfetto" vigente in Italia, un disegno coerente dell'imposta dovrebbe suggerire di fissare l'aliquota dell'imposta sostitutiva al livello della prima aliquota dell'Irpef in luogo dell'attuale aliquota pari al 15 per cento (5 per cento per i primi anni di attività)».
  In altre parole, sul piano strettamente teorico, il modello DIT dovrebbe prevedere l'uniformità di tutti i regimi sostitutivi e a tassazione separata dei redditi da capitale e l'armonizzazione all'aliquota più bassa dell'Irpef gravante sui redditi da lavoro dipendente.
  L'ipotesi, pertanto, rientra esclusivamente tra quelle discusse nell'ambito di un dibattito teorico collegato alla possibilità di optare per un modello di tassazione duale dei redditi personali.
  Al tempo stesso, si afferma anche che, al contrario, «un ritorno dei piccoli lavoratori autonomi tra i soggetti cui applicare le aliquote progressive dell'Irpef», ovvero il perseguimento del modello contrapposto e onnicomprensivo (CIT) «comporterebbe il riemergere dell'Irap e della ritenuta d'acconto del 20 per cento. Si riattiverebbe – inoltre – il normale meccanismo dell'Iva. Sarebbero dovute le addizionali regionali e comunali».
  Infine, nella menzionata audizione si sottolinea che «in ogni caso, sarebbe opportuna una revisione dei coefficienti di redditività che non sono stati modificati in seguito all'innalzamento della soglia di ricavi o compensi per l'accesso al regime forfetario (da 25.000 euro a 65.000 euro), non sono coerenti con la struttura dei costi di imprese di dimensioni meno contenute. Sulla base di un'analisi preliminare effettuata dal Dipartimento delle finanze, l'adeguamento dei coefficienti di redditività per tenere conto dell'ampliamento della platea dei beneficiari del regime forfetario a attività imprenditoriali di maggiori dimensioni si tradurrebbe in una riduzione della base imponibile solo per i settori del commercio ambulante e delle costruzioni. Resterebbero invariati i coefficienti di redditività dell'industria alimentare e delle bevande; dei servizi di alloggio e di ristorazione, delle attività professionali, dell'istruzione, dei servizi finanziari e assicurativi e del commercio all'ingrosso e al dettaglio, mentre il coefficiente di redditività sarebbe superiore (e aumenterebbe di conseguenza la base imponibile) solo per gli intermediari del commercio».

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