Penale

Critiche su Facebook, se le espressioni "velenose" sono dirette alle opini

Secondo la Suprema Corte, se attentamente contestualizzati, possono essere ammessi anche toni molto aspri

di Pietro Alessio Palumbo

Con la sentenza 17784/2022 la Corte di Cassazione affronta l'interessante disamina della "critica politica e sindacale" sui social network e sui blog. Secondo la Suprema Corte, se attentamente contestualizzati, possono essere ammessi anche toni molto aspri o persino "taglienti" non essendovi limiti astrattamente concepibili all'oggetto della libera manifestazione del pensiero, se non quelli specificamente indicati dal legislatore. Su queste basi persino parole come "letamaio" - nella vicenda usate su un blog - se inserite nel contesto di un contrasto di idee ed opinioni e quindi non riferite alla persona in quanto tale, non sono penalmente rilevanti.

La disciplina della diffamazione
Il bene giuridico tutelato dalla disciplina penale della "diffamazione" è individuato nell'onore e nel suo riflesso in termini di valutazione sociale: la reputazione intesa quale patrimonio di stima, di fiducia, di credito accumulato dal singolo nella società e, in particolare, nell'ambiente in cui quotidianamente vive e opera. L'evento del reato di diffamazione è costituito dalla comunicazione e dalla correlata percezione o percepibilità, di un segno, una parola, un disegno lesivo, che sia diretto, non in astratto, ma concretamente, a incidere sulla reputazione di uno specifico cittadino. Si tratta di evento, non fisico, ma, psicologico, consistente nella percezione sensoriale e intellettiva, da parte di terzi, dell'espressione offensiva.

Il diritto di critica
Il "diritto di critica" si inserisce nell'ambito della libertà di manifestazione del pensiero, garantita dalla Carta costituzionale e dalla Cedu. E proprio in ragione della sua natura di diritto di libertà, esso può essere evocato quale scriminate rispetto al reato di diffamazione, purché venga esercitato nel rispetto dei limiti della veridicità dei fatti, della pertinenza degli argomenti e della continenza espressiva. A differenza della cronaca, del resoconto, della mera denunzia, la critica si concretizza nella manifestazione di una opinione o di un giudizio valutativo. La critica postula fatti che la giustifichino, e cioè normalmente, un contenuto di veridicità limitato alla oggettiva esistenza dei dati assunti a base delle opinioni e delle valutazioni espresse, ma non può pretendersi che si esaurisca in essi. In altri termini la libertà di esprimere giudizi critici, cioè "giudizi di valore", trova il solo, ma invalicabile, limite nella esistenza di un "sufficiente riscontro fattuale"; ma al fine di valutare la giustificazione di una dichiarazione contestata, è sempre necessario distinguere tra dichiarazioni di fatto e giudizi di valore, perché, se la materialità dei fatti può essere provata, l'esattezza dei secondi non sempre si presta ad essere dimostrata. Ecco allora che il giudizio critico è necessariamente influenzato, e non potrebbe essere altrimenti, dal "filtro personale" con il quale viene percepito il fatto posto a suo fondamento; esso è, per sua natura, parziale, ideologicamente orientato e teso ad evidenziare proprio quegli aspetti o quelle concezioni del soggetto criticato che si reputano deplorevoli e che si intende stigmatizzare e censurare.

La continenza
Quanto al requisito della continenza, le modalità espressive attraverso le quali si estrinseca il diritto alla libera manifestazione del pensiero, postulano una forma espositiva "corretta" della critica; cioè funzionale alla "disapprovazione" senza trasmodare nella gratuita e immotivata aggressione dell'altrui reputazione. In ogni caso – evidenzia la Suprema Corte - essa non è incompatibile con l'uso di termini che, pure oggettivamente offensivi, siano "insostituibili" nella manifestazione del pensiero critico, per non esservi adeguati equivalenti. Deriva che per valutare il rispetto del canone della continenza, occorre "contestualizzare" le espressioni ingiuriose, ossia valutarle in relazione al contesto spazio-temporale e dialettico nel quale sono state profferite, e verificare se i toni utilizzati dall'agente, pur forti e sferzanti, non risultino meramente gratuiti, ma siano invece pertinenti al tema in discussione e proporzionati al fatto narrato e al concetto da esprimere. Sono, in definitiva, gli interessi in gioco che segnano la "misura" delle espressioni consentite. Occorre dunque verificare se il giudizio negativo di valore espresso possa essere, in qualche modo, giustificabile nell'ambito di un contesto critico e funzionale all'argomentazione, così da escludere l'invettiva personale volta ad aggredire personalmente il destinatario. Nella vicenda affrontata – secondo la Suprema Corte - emerge con chiarezza la connotazione politica della critica svolta su un blog dal suo autore; con una chiara correlazione ideologica alle idee politiche e in tema di diritti sindacali, espresse sul proprio profilo Facebook dalla persona "offesa". Viene così in rilevo non una offesa rivolta, senza alcuna ragione alla sua sfera privata, ma la "forte" critica di un atteggiamento politico e sindacale; di talché sono le idee a rimandare al "letamaio" non la persona come tale.

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