Responsabilità

Violenza sessuale, l'iniziale consenso non riduce il risarcimento

La Cassazione, con la sentenza n. 27016 depositata oggi, ha chiarito che il giudizio civile è autonomo e può portare ad un ristoro anche a fronte della assoluzione penale

di Francesco Machina Grifeo

Piena autonomia tra procedimento penale ed azione civile per il risarcimento del danno in caso di violenza sessuale, dove il giudice è libero di accertare senza vincoli la propria verità processuale secondo le regole civilistiche. All'esito della divaricazione dei giudizi, dunque, si può anche giungere a conclusioni opposte.

Per esempio, dopo l'accoglimento da parte della Cassazione della impugnazione, ai soli fini civili, della sentenza penale assolutoria di secondo grado, con rinvio alla Corte di appello civile, scatta un nuovo giudizio fondato sul regime probatorio del "più probabile che non" che può concludersi con la condanna al risarcimento del danno (o al pagamento della provvisionale). Nel frattempo, in caso di rinuncia al ricorso contro la sentenza assolutoria da parte del Pg presso la Corte di appello penale scatterà il giudicato penale sul fatto reato.

Nella definizione del quantum invece non si potrà applicare la regola civilistica (1227 c.c.) della riduzione del risarcimento per fatto colposo del creditore nella ipotesi di iniziale consenso da parte della vittima della violenza.

Sono gli approdi cui è giunta la Terza sezione civile della Cassazione, con la sentenza n. 27016 depositata oggi, con la quale ha respinto il ricorso di due uomini condannati a pagare una provvisionale di 30mila euro alla vittima di una violenza sessuale, dalla quale sono stati assolti in sede penale. (Alla condanna in primo grado, era seguita l'assoluzione in secondo grado, mai appellata dal Pg e dunque definitiva. La Cassazione accogliendo il ricorso della parte civile invece aveva rinviato alla Corte di appello civile che ha confermato la provvisionale decisa in primo grado. Proposto ancora ricorso, la Cassazione oggi lo ha definitivamente respinto).

In tema di violenza sessuale, scrive la Corte, nella determinazione del risarcimento, "l'eventuale consenso della vittima, pur se, in ipotesi, inizialmente prestato, non riveste alcuna efficienza con-causale rispetto al successivo comportamento degli autori dell'illecito tutte le volte che, a quell'iniziale consenso, abbia poi fatto seguito (come nel caso di specie) un successivo dissenso, degradando il consenso iniziale a livello di mera occasione, etiologicamente irrilevante rispetto alla successiva condotta del soggetto agente". Non può dunque farsi applicazione dell'articolo 1227 del c.c., secondo cui "Se il fatto colposo del creditore ha concorso a cagionare il danno, il risarcimento è diminuito secondo la gravità della colpa e l'entità delle conseguenze che ne sono derivate".

Ma è sui rapporti tra procedimento penale e civile che si dilungano le oltre 40 pagine della sentenza. In particolare, i ricorrenti – assolti dalla Corte di appello dal reato di violenza sessuale di gruppo – avevano contestato l'utilizzabilità della testimonianza resa dalla vittima nel corso del processo penale, dove era stata giudicata inattendibile. Un tesi bocciata dalla Cassazione che sul punto ha affermato i seguenti principi di diritto:

a) l'interrogatorio della parte lesa, assunto in sede di giudizio penale, è atto processuale morfologicamente valido, ma funzionalmente inefficace se trasposto in sede di giudizio di appello civile instaurato ex art. 622 cod.proc.pen.;
b)
quell'atto processuale, a seguito della trasmigrazione nel processo civile, non può assumere il carattere della prova civile o della prova atipica;
c) l'interrogatorio della parte reso in sede penale può, peraltro, avere efficacia – ed essere legittimamente utilizzato dal giudice civile - come argomento di prova, ex articolo 117 cod.proc.civ., a nulla rilevando che sia stato un altro giudice a raccoglierlo e senza escludere la facoltà del giudice del rinvio, ove lo ritenga necessario, di procedere autonomamente a disporlo nuovamente dinanzi a sé;
d) l'efficacia di argomento di prova del contenuto dell'interrogatorio trasmigrato nel processo civile consentirà al giudice, in ossequio al principio del suo libero convincimento, di porne, in parte qua, il relativo contenuto a fondamento della sua decisione, secondo i canoni interpretativi dianzi esposti, come verificatosi nel caso di specie.

"Del tutto correttamente, pertanto – scrive la Cassazione -, il giudice di appello ha valutato le dichiarazioni della parte lesa in guisa di argomento di prova, coniugandolo con ulteriori e significativi fatti indizianti, la cui efficacia probatoria, complessivamente considerata, lo ha condotto, sulla base di un altrettanto corretto ragionamento inferenziale, e tenendo altresì conto delle univoche indicazioni fornite dalla Corte di cassazione penale nell'accogliere il ricorso della parte lesa, alla conclusione della maggior probabilità positiva, rispetto a quella negativa, della consumazione della violenza sessuali ai danni della odierna contro ricorrente".

Il giudice d'appello, dunque, riepiloga la Suprema corte, "era tenuto a compiere una valutazione concreta, autonoma ed analitica degli elementi probatori disponibili, anche allo scopo di non vanificare la pronuncia della Corte di Cassazione penale che aveva ravvisato un grave deficit nel ragionamento della Corte d'Appello penale (di assoluzione degli imputati, ndr) anche con riguardo alla vicenda della crisi isterica di cui sarebbe stata preda la giovane nell''immediatezza dei fatti", a tale stregua infatti erano state derubricate le urla della ragazza in fuga".

La sentenza oggi impugnata, conclude la Corte, "ha convincentemente spiegato le ragioni per cui non ha ritenuto credibile la tesi della crisi isterica". Ed ha accertato "tanto l'esistenza dell'evento di danno, quanto del nesso di causalità materiale tra questo e la condotta dei responsabili, senza pronunciarsi, del tutto, correttamente, sul nesso di causalità giuridica che lega quell'evento di danno alle conseguenze dannose dell'illecito, ex art. 1223 cod.civ". Sarà dunque necessaria un'ulteriore indagine, in separato giudizio, "circa le conseguenze pregiudizievoli dell'evento (al fine di procedere alla relativa liquidazione), che andrà condotta sulla scorta del criterio presuntivo di proporzionalità diretta, alla luce del quale ad una più intensa gravità della condotta corrisponde una maggior efficacia probatoria della presunzione semplice, della massima di comune esperienza o del fatto notorio".

Ne deriva, conclude, che la liquidazione di una provvisionale e la sua quantificazione si fondano del tutto correttamente su una valutazione prognostica di quello che potrebbe essere l'ammontare del danno conseguenza.

Per saperne di piùRiproduzione riservata ©