Penale

Caso Parmalat: inammissibile la richiesta di revisione della condanna di Arpe

di Patrizia Maciocchi

E' inammissibile la richiesta di revisione della sentenza di condanna nei confronti dell'ex direttore generale di Capitalia Matteo Arpe, per il reato di concorso in bancarotta fraudolenta patrimoniale e bancarotta impropria da operazioni dolose nell'ambito del tracollo del Gruppo Parmalat. In particolare le contestazioni alla base della condanna, divenuta irrevocabile il 5 dicembre 2014, riguardavano la concessione di un prestito ponte di 50 milioni di euro da Banca di Roma a Parmalat Spa, e, da quest'ultima, dirottato per la maggior parte al sotto gruppo turismo , in condizione di default virtuale, per garantirne la sopravvivenza in attesa della conclusione di un accordo finalizzato alla ristrutturazione del debito con le banche. L'istanza di revisione era stata richiesta in presenza di nuovi documenti utili a far cadere l'impianto accusatorio nei confronti di arpe. Ad avviso della difesa Arpe, che all'epoca dei fatti rivestiva da pochi mesi la carica di direttore generale di Capitalia, si era sempre opposto al finanziamento del gruppo turismo di Tanzi. La lettera finita nel mirino dei giudici e ritenuta penalmente rilevante, non era, come dimostrato a parere della difesa un'autorizzazione al finanziamento Parmalat, ai sensi dell'articolo 136 del Testo unico bancario, ma solo la vincolata trasmissione di quanto deliberato dall'organo competente ovvero il Comitato creditori Capitalia. Per la Cassazione però quelle indicate come “nuove prove” si risolvono solo in una “semplice implementazione quantitativa, anche attraverso una diversa valutazione tecnico scientifica , di emergenze oggettive conosciute ed apprezzate nel processo”. Per la Cassazione la Corte d'Appello ha legittimamente considerato irrilevanti i documenti,” formati in seno al gruppo bancario, volti a confermare la tesi dell'equipollenza dei termini “assenso” e “parere” nella prassi comunicativa del gruppo. Ininfluente anche la documentazione proveniente da un organo terzo come la Consob, del tutto estraneo al rapporto fiduciario tra il Gruppo Capitalia e il Gruppo Parmalat. Un rapporto, sottolinea la Cassazione – ben delineato dalla sentenza impugnata “che aveva fondato il convincimento circa la consapevolezza dello stato di precarietà finanziaria del cosmos Tanzi non, come sostenuto, su dati sintomatici di conoscenza diffusa, ma su dati di conoscenza interna, compiutamente analizzati e logicamente apprezzati”.

Il banchiere Matteo Arpe, come appreso da Radiocor da fonti legali, sulla base di nuove prove, ha depositato nei mesi scorsi una nuova istanza di revisione davanti alla Corte di appello di Ancona della condanna irrogata dalla Corte di appello di Bologna, nel dicembre 2014, per bancarotta fraudolenta patrimoniale e bancarotta impropria da operazioni dolose nell'ambito del crack Parmalat. La Cassazione, con la decisione depositata oggi ma adottata la primavera scorsa, ha dunque definitivamente respinto solo la prima istanza di revisione.

Inoltre la Cassazione nel novembre scorso (si veda il Sole 24 Ore del 18 novembre) aveva investito la Consulta in merito ai dubbi di costituzionalità sulle sanzioni per bancarotta . Le perplessità, sollevate con l’ordinanza n. 52613 della quinta sezione, riguardano la durata delle misure accessorie, i 10 anni previsti di inabilitazione all’esercizio di una impresa commerciale e di incapacità a esercitare gli uffici direttivi presso ogni impresa. Una pronuncia emessa su ricorso presentato, tra gli altri da Cesare Geronzi e Matteo Arpe, proprio nel filone del crac Parmalat sulla compravendita delle acque siciliane Ciappazzi.

Corte di cassazione – Sezione I – Sentenza 8 febbraio n.6066

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