Comunitario e Internazionale

Sulla data retention i paletti della Corte Ue

di Giovanni Negri

La Corte Ue torna a mettere i paletti sulla data retention. E lo fa a pochi mesi dalla riforma approvata in Italia proprio per rendere la legislazione penale coerente con una precedente pronuncia della Corte di giustizia. Ieri, nella causa C-140/20, è stato infatti affermato, nelle disposizioni finali, che la disciplina comunitaria di riferimento impedisce misure legislative che prevedono, a titolo preventivo, anche per finalità di lotta a forme di grave criminalità grave e di prevenzione di serie minacce alla sicurezza pubblica, la conservazione generalizzata e indifferenziata dei dati di comunicazione elettronica (tabulati telefonici in primo luogo) relativi al traffico e alla collocazione geografica.

Via libera, invece, a interventi normativi che, sempre per casi criminali di forte gravità, prevedano innanzitutto la conservazione mirata dei dati, delimitata, sulla base di elementi oggettivi e non discriminatori, in funzione delle categorie di persone interessate o attraverso un criterio geografico, per un periodo temporalmente limitato allo stretto necessario, ma rinnovabile.

Ammessa poi anche la conservazione generalizzata e indifferenziata degli indirizzi IP attribuiti all’origine di una connessione, anche in questo caso per un periodo comunque circoscritto alle necessità investigative e quella dei dati relativi all’identità civile degli utenti di mezzi di comunicazione elettronica.

Per la Corte è poi giustificato il ricorso a un’ingiunzione rivolta ai fornitori di servizi di comunicazione elettronica, attraverso una decisione dell’autorità competente soggetta a un controllo da parte della magistratura, di procedere, per un periodo determinato, alla conservazione rapida (cosiddetta quick freeze) dei dati di traffico di cui sono in possesso. Serve però che, in tutti questi casi, le persone interessate dispongano di garanzie effettive contro il rischio di abusi.

Più nel dettaglio, la sentenza chiarisce che le autorità nazionali possono adottare una misura di conservazione mirata basata su un criterio geografico, come in particolare il tasso medio di criminalità in una data zona geografica, senza necessariamente disporre di indizi concreti relativi alla preparazione o alla commissione, nelle zone interessate, di atti di criminalità grave. Inoltre la Corte aggiunge che questa misura di conservazione concentrata su luoghi o infrastrutture frequentati regolarmente da un numero molto elevato di persone o su luoghi strategici, come aeroporti, stazioni, porti marittimi o zone di pedaggio, consente alle autorità investigative di ottenere informazioni sulla presenza delle persone che utilizzano un mezzo di comunicazione elettronica e di trarne conclusioni sulla loro presenza e sulla loro attività in questi luoghi o zone geografiche, per finalità di contrasto alla criminalità grave.

La Corte precisa poi che né la direttiva relativa alla vita privata e alle comunicazioni elettroniche né altro atto del diritto dell’Unione impediscono a una normativa nazionale di subordinare l’acquisizione di un mezzo di comunicazione elettronica, come una carta Sim prepagata, alla verifica di documenti ufficiali che provino l’identità dell’acquirente e alla registrazione, da parte del venditore, delle informazioni che ne derivano.

Le autorità competenti, ma la Corte precisa anche che mai il trattamento dei dati può essere affidato alle forze di polizia senza intervento dell’autorità giudiziaria, possono poi disporre una misura di conservazione rapida fin dalla prima fase dell’indagine su una minaccia per la sicurezza o un atto di criminalità gravi, e anche nei confronti di chi ancora non è stato ufficialmente sospettato di avere ideato realizzato il reato.

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