Giustizia

Presunti colpevoli, il giusto processo fatto a pezzi dai media

di Patrizia Maciocchi

Giusto processo e presunzione di innocenza. Principi cardine sacrificati ogni giorno nel circo mediatico che mette in scena lo spettacolo della giustizia. Per arginare gli effetti di una narrazione della cronaca giudiziaria - da parte di giornalisti e non - che fa a pezzi insieme ai capisaldi del diritto anche le vite delle persone coinvolte, la Consulta (sentenza 150/2021) ha chiesto al legislatore sanzioni che tutelino effettivamente le reputazione individuale, evitando di intimidire i giornalisti. In attesa della norma interna, l’Italia ha recepito (Dlgs 188/2021) la direttiva europea che rafforza la presunzione di innocenza. Regole, in vigore dal 14 dicembre 2021 che, guardando ai magistrati non sempre indifferenti alle luci della ribalta, disciplinano la diffusione delle informazioni su procedimenti penali e atti di indagine. Ma il problema è essenzialmente culturale, come sottolinea Vittorio Manes, ordinario di diritto penale all’Università di Bologna e avvocato penalista che, al processo senza processo, ha dedicato il libro “Giustizia mediatica. Gli effetti perversi sui diritti fondamentali e sul giusto processo”(Il Mulino). «Le distorsioni innescate dal processo mediatico su quello reale sono tante e significative - spiega Manes - ne esce svilita la presunzione di innocenza , il diritto di difesa e molte altre garanzie. In generale il processo subisce una torsione colpevolista e meramente verificazionista dell’ipotesi accusatoria. Ma il problema è soprattutto culturale. E non basta una riforma legislativa per risolverlo, nessuna norma ha effetto senza il cemento sociale che la sostiene». Dei piani di azione sono però possibili. «Sarebbe necessario - afferma Manes - innanzi tutto decontaminare l’informazione dal lessico colpevolista e dalla cultura del naming end shaming, come spesso la definisce il professor Cassese, è un primo passo importante. E in questa direzione si è mossa la direttiva trasposta in Italia non senza aspetti di criticità».

Potrebbero essere utili anche dei premi. «Per i giornalisti si potrebbe pensare di introdurre un meccanismo di incentivi premiali per le testate e i redattori che si dimostrino rights-sensitive, e che facciano autentica informazione, in modo imparziale ed attento a diritti e garanzie degli indagati e dei terzi coinvolti. Infine - conclude Manes - bisognerebbe rimuovere la passività narcotica con cui l’opinione pubblica accoglie il discorso colpevolista e giustizialista: e questa è forse la sfida più difficile».

Ma i diritti fondamentali di cittadini e imputati non sono sacrificati solo sulla carta o in Tv. Perché il carrozzone del giustizialismo produce un effetto domino. I social sono un test importante per i “costruttori” di suggestioni, utile a misurare l’efficacia del prodotto dal numero e dal tenore dei commenti . Anche su questo fronte però il crinale sul quale muoversi è difficile. La Grande Chambre della Corte europea dei diritti dell’Uomo (richiesta n. 64569/09 ) il 16 giugno 2021, ha stabilito che devono restare anonimi i lettori che lasciano commenti sul sito di un giornale.

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