Società

La capitalizzazione dell'impresa a opera di terzi investitori finanziari

Nel corso degli anni, l'eccessivo ricorso al credito bancario ha indotto, in generale, una bassissima capitalizzazione dell'impresa, il che ha spesso prodotto nel tempo conseguenze indesiderate, tanto (e soprattutto) per gli imprenditori quanto (in realtà) per le banche stesse. Inoltre, l'imprenditoria italiana ha spesso mal valutato il rapporto tra capitali propri e capitali di debito, dando così luogo a una distorsione il cui effetto più nitido è il declino della creazione del "valore" dell'azienda

di Andrea Luciano, Sergio Corbi, Enzo Vailati*

Fino a pochi anni fa il fenomeno della quotazione in Borsa si presentava per lo più sconosciuto alla classe imprenditoriale italiana, mentre oggi la situazione è radicalmente diversa: quasi tutti gli imprenditori hanno una conoscenza, seppur in molti casi generica e a-tecnica, di tale strumento di crescita e sviluppo aziendale.

È ragionevole ritenere che tale mutato scenario sia il frutto del combinarsi di vari fattori tra i quali:

1 .la crescita in sé dei mercati finanziari, sempre più al centro della conoscenza e dell'esperienza imprenditoriale;

2. la maggior frequentazione dei mercati finanziari da parte dell'imprenditore per la gestione dei suoi risparmi liquidi, eccedenti gli investimenti nella propria azienda;

3.l a crescita professionale dell'imprenditoria italiana dal dopoguerra ad oggi che, se da un lato si è caratterizzata per un immutato istinto e capacità di "fare impresa", dall'altro ha visto crescere negli imprenditori cultura e preparazione finanziaria; e

4. una cognizione sempre maggiore da parte degli imprenditori del cosiddetto "valore" (in senso monetario) dell'impresa quale "risparmio" familiare che, in quanto tale, ha, come tutti gli investimenti, l'obiettivo della sua conservazione e crescita nel tempo.

Nel corso degli anni, l'eccessivo ricorso al credito bancario ha indotto, in generale, una bassissima capitalizzazione dell'impresa, il che ha spesso prodotto nel tempo conseguenze indesiderate, tanto (e soprattutto) per gli imprenditori quanto (in realtà) per le banche stesse. Inoltre, l'imprenditoria italiana ha spesso mal valutato il rapporto tra capitali propri e capitali di debito, dando così luogo a una distorsione il cui effetto più nitido è il declino della creazione del "valore" dell'azienda.

L'eccessivo ricorso al credito ha spesso ridotto, contrariamente alle aspettative, la redditività dell'azienda, e con esso il suo valore, aumentando peraltro il rischio del "capitale" già investito dall'imprenditore.

Si noti che, nelle aziende che hanno un ricorso al credito eccessivo e squilibrato, i veri proprietari sono le banche creditrici, che tra costi ed interessi percepiscono di fatto un "dividendo" in prededuzione su quello degli azionisti. Occorre altresì considerare l'effetto delle contingenze di mercato, che ha portato un declino della redditività aziendale molto più veloce della decrescita degli oneri finanziari complessivi erogati. In sostanza nel tempo il costo del credito si è progressivamente mostrato superiore alla redditività del suo impiego, cioè un risultato opposto alle aspettative iniziali.

Inoltre, osserviamo che per motivi propri di mercato sempre più (i) le imprese hanno necessità di avere a disposizione crescenti quantità di capitali per competere, sopravvivere e svilupparsi e (ii) il ricorso al credito bancario diventa progressivamente più inaccessibile, e falsamente meno costoso.

In questo scenario, agli imprenditori è rimessa la scelta tra (i) investire ulteriormente le proprie risorse liquide nell'impresa concentrando ed incrementando sempre più il rischio di investimento dei loro risparmi (ii) oppure allargare la compagine sociale aprendo l'ingresso nel capitale a terzi investitori: tramite la quotazione in Borsa e la capitalizzazione dell'impresa sui mercati finanziari o ad opera di investitori istituzionali.

La scelta di quotarsi e capitalizzarsi ad opera di terzi

Capitalizzarsi ad opera di terzi rappresenta certamente un momento ed una decisione strategica fondamentale nella vita dell'impresa e come tale è una scelta che deve essere valutata attentamente alla luce di numerosi elementi.

Le imprese ambiscono a svilupparsi, consolidarsi, rafforzarsi tecnicamente, commercialmente e finanziariamente, il che coincide con l'obiettivo e le aspettative degli azionisti, che sono interessati sia a consolidare che a veder crescere nel tempo il "valore" dell'impresa e con esso quello della loro partecipazione azionaria. Lo sviluppo della redditività aziendale rappresenta quindi il terreno comune tanto al management quanto alla compagine sociale.

La decisione di coinvolgere terzi nel capitale della propria azienda è spesso frenata ed abbandonata sul nascere dal convincimento diffuso negli imprenditori che la propria azienda possa essere "troppo piccola" in fatturato per interessare terzi. Il che è un preconcetto senz'altro errato.

In realtà, nessuna azienda è troppo piccola in assoluto per la quotazione: possono essere quotate e finanziate anche le start up, che concettualmente partono da fatturato pari a zero. Considerare il fatturato l'elemento dirimente in quanto tale è un errore. Ciò che deve avere il maggior peso e centralità nella decisione è l'attitudine a produrre reddito del fatturato, in altri termini la sua qualità: il fatturato in termini dimensionali darà conforto al raggiungimento e mantenimento dei valori reddituali attesi, ma l'elemento chiave resta la redditività.

Nell'ottica di quotarsi sul mercato finanziario, il primo quesito da porsi è quello relativo alla possibilità di aumentare la redditività attuale attraverso opportuni investimenti coerenti con la strategia di sviluppo: ad esempio per nuovi prodotti, approccio a nuovi mercati, creazione di nuove strutture e sistemi produttivi, utilizzo di nuovi materiali, lancio di efficaci azioni di marketing etc..

In secondo luogo, occorre comprendere la possibilità e capacità dell'impresa di perseguire l'obiettivo di sviluppo individuando e controllando nel proprio progetto (i) le condizioni interne eventualmente mancanti, (ii) le condizioni esterne che concorrono al raggiungimento degli obiettivi e a mantenerli nel tempo e (iii) le condizioni esterne che possono comprometterne il raggiungimento.

Il business plan

Il business plan è un documento di fondamentale importanza, non solo per descrivere e presentare ai terzi l'opportunità di investimento, ma perché "costringe" innanzitutto l'imprenditore ad approcciare l'argomento del progetto di sviluppo in modo sistematico e quantitativo, considerando tutti gli elementi che concorrono ad esplicitarlo: gli obiettivi aziendali, i prodotti, il mercato, la concorrenza, etc.. In esso saranno quindi sviluppate le assunzioni razionali quantitative quali: le quantità dei prodotti, la curva probabile dei prezzi di vendita e dei costi di acquisto, la loro composizione, le condizioni finanziarie connesse al circolante ed all'esborso per investimenti e così via. Il tutto confluirà nella definizione dei conti economici, patrimoniali e finanziari prospettici. Da questi ultimi si dedurranno le risorse finanziarie complessive necessarie per realizzare il piano stesso.

Dall'analisi complessiva del business plan devono emergere inoltre l'adeguatezza (i) delle risorse manageriali e organizzative per realizzarlo e (ii) del sistema di controllo di gestione, che è fondamentale per monitorare costantemente nel tempo costi e ricavi consuntivi, per valutare il raggiungimento degli obiettivi rispetto al business plan formulato (budget), rispetto all'effettivo andamento del mercato e delle assunzioni strategiche decise, eventualmente da modificare per il futuro.

Lo studio ed il progetto del business plan comporta una riflessione critica sullo stato strutturale dell'impresa, attuale e nel divenire. Esso, in quanto modello aziendale, costituisce infatti la base prima del controllo futuro dell'andamento aziendale e serve ad evidenziare in modo obiettivo eventuali difformità dei consuntivi rispetto al budget ed alle previsioni in generale. Inoltre, costringerà l'imprenditore, che decide di proporsi a terzi investitori, ad una riflessione circa l'opportunità di confermare o implementare, in quantità e qualità, l'assetto manageriale ed organizzativo aziendale nell'ottica di garantire al meglio la realizzazione del piano ed il successo dell'azienda.

L'accuratezza di queste riflessioni guiderà poi la scelta del mix delle fonti di finanziamento, in quantità e qualità. Inoltre, consentirà di stabilire un range ragionevole di "valore" entro il quale collocare l'azienda stessa prima del reperimento del capitale di terzi, che è l'aspetto fondamentale per le decisioni dell'imprenditore proponente e per la scelta sia delle fonti di finanziamento che della loro entità.

Per l'imprenditore, infatti, un tema fondamentale è la valutazione dell'entità della diluizione del capitale proprio posseduto per effetto della fonte finanziaria individuata. Su questi effetti spesso si avvia un processo interattivo ipotizzando obiettivi maggiori o minori, che richiedono maggiori o minori capitali, fino a definire un quadro accettabile dall'imprenditore per obiettivi, capitali ed effetti diluitivi conseguenti.

Occorre poi determinare la natura (se equity e/o debito) dei capitali da reperire e il loro ammontare specifico, nonché valutare l'impatto di tale combinazione sull'assetto patrimoniale/finanziario della società. In questo contesto, a supporto dell'imprenditore, un ruolo fondamentale sarà ricoperto dall'analista e consulente finanziario da lui scelto, che fornirà le necessarie competenze tecniche.

Il business plan sarà dunque alla base della valutazione delle decisioni degli investitori finanziari interpellati per la capitalizzazione, sia per le considerazioni economico finanziarie, e quindi di rendimento atteso dal loro investimento in azienda, sia per analizzare l'adeguatezza delle strutture organizzative interne atte a raggiungere ragionevolmente gli obiettivi del piano con il maggior controllo possibile dei rischi di situazioni avverse.

In ordine alle fonti di finanziamento, occorre distinguere tra (i) mercato finanziario "pubblico", cioè quotazione in borsa dei titoli della società e (ii) il mercato finanziario "privato", composto da investitori istituzionali finanziari o industriali, fondi comuni di investimento, banche d'affari, etc.

In ordine agli strumenti di capitalizzazione, distinguiamo in titoli di equity (capitale sociale) e titoli di debito (es. obbligazioni e titoli similari), questi ultimi ricordiamo con caratteristiche, filosofia ed effetti completamente diversi da quelli che sottendono il credito bancario ordinario (che peraltro possono sostituire direi integralmente). Una grande importanza sarà data dagli investitori finanziari al fatto che i titoli, qualsiasi sia la loro natura, siano quotati e negoziabili in modo parcellizzato, il che si tradurrà per l'imprenditore proponente l'investimento in maggiore valutazione della società ante capitalizzazione, e quindi minore diluizione del suo capitale post capitalizzazione.Infine rammentiamo che un adeguato assetto manageriale, organizzativo e di controllo dell'andamento della gestione, aumenta il valore aziendale ante ingresso di terzi nel capitale, per il semplice motivo che riduce il rischio di non raggiungere gli obiettivi in base ai quali è stata fatta la scelta di investire.

Quale che sia la tipologia di capitalizzazione, (pubblica o privata, in equity o debito) il processo di acquisizione dell'investimento di terzi passa attraverso le fasi sopra indicate, con particolare riferimento al business plan.

*a cura di Sergio Corbi, Enzo Vailati e Andrea Lucianopartner e consultant di LS Lexjus Sinacta, operano da tempo nel settore della corporate finance e del diritto finanziario e dei mercati regolamentati

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