Professione e Mercato

È penalizzante farsi chiamare "avvocata"

Lo studio della Fondazione Bruno Kessler, commissionato dall'Ordine degli Avvocati di Rovereto evidenzia come ancora oggi, per una donna che esercita la professione forense, farsi chiamare al maschile ispira più fiducia

di Marina Crisafi

Una donna che si fa chiamare "avvocato" anziché "avvocata" ispira più fiducia. Presentarsi come "avvocata", infatti, pesa in negativo come se si avessero dieci anni di esperienza in meno. Sono alcuni dei risultati emersi dallo studio realizzato dalla Fondazione bruno Kessler e commissionato dal Comitato pari opportunità presso l'ordine degli avvocati di Rovereto.
L'indagine, dal titolo, "L'impatto della declinazione di genere del titolo professionale in avvocatura: un caso studio tra gli ordini professionali della provincia di Trento" evidenzia, nel complesso, come aldilà delle questioni grammaticali (sulle quali non sembra esserci dubbio, visto che la lingua italiana richiede la desinenza di genere e anche i titoli professionali vanno declinati al femminile) permangano ancora ad oggi degli stereotipi difficili da superare.

Obiettivo dell'inchiesta
L'inchiesta è stata realizzata dall'Istituto per la Ricerca Valutativa sulle Politiche Pubbliche (IRVAPP) della Fondazione Bruno Kessler (FBK) con l'obiettivo di "misurare la penalità associata all'utilizzo del titolo professionale declinato al femminile, es. avvocata invece di avvocato per le donne". Titolo, quest'ultimo, il cui utilizzo, nonostante esista e sia grammaticalmente corretto, rimane minoritario da parte delle stesse professioniste (15% delle avvocate secondo un'inchiesta condotta dal CPO Rovereto nel 2021).
Da qui il progetto che ha coinvolto un campione di circa 230 professionisti e professioniste trentine chiamati ad analizzato una serie di scenari dove, in una situazione ipotetica di bisogno, veniva chiesto loro di indicare la probabilità con cui si sarebbero rivolti ad alcune figure professionali (avvocati/e, dottori/dottoresse, ecc.). Di costoro erano indicati sia titoli professionali che caratteristiche (genere, età, esperienza, ecc.) e con riferimento alle avvocate donne, i titoli erano declinati al maschile (avvocato) o al femminile (avvocata). In tal modo, il team di ricerca è riuscito a rispondere, nello specifico, a questa domanda: "A parità di condizioni, quanto è probabile scegliere di rivolgersi all'avvocata Maria Rossi invece che all'avvocato Maria Rossi"?

I risultati dello studio
I risultati dello studio hanno mostrato, quindi, che l'impatto della declinazione femminile è potenzialmente molto grande: in sostanza, "presentare un profilo come avvocata pesa (in negativo) come presentarsi con 10 anni di esperienza in meno". Effetto che diventa ancora più negativo per le professioniste più giovani e con meno esperienza, "o senza segnali di ‘qualità' forti, come far parte di uno studio associato o aver passato l'esame di cassazionista".
Nello specifico, quando presentati con il termine ‘avvocata', i profili delle professioniste donne, a parità di caratteristiche (età, esperienza, studio associato, etc.), venivano valutati 0.4 punti in meno (su 10) sia da rispondenti uomini sia da rispondenti donne rispetto a quando presentati con il termine maschile ‘avvocato'. Le valutazioni diventano ancora più negative (-0.6) negli scenari "stereotipicamente più associati alle donne (quali il diritto di famiglia) e – in quelli - più associati agli uomini (diritto penale e commerciale)".
In definitiva, i risultati del report, evidenziano come "la corretta declinazione femminile, almeno nel campo dell'avvocatura e nel contesto della Provincia di Trento, comporta una penalità in termini di immagine verso potenziali colleghi/e o clienti". Per cui, il suggerimento offerto è quello di cogliere l'opportunità di realizzare "interventi aggregati e coordinati di politica pubblica, a livello di ordine professionale e/o amministrazioni pubbliche, per diffondere l'uso del termine declinato al femminile".

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