Penale

Il trattamento disumano del disabile fa scattare il reato di tortura

La Suprema corte avalla dunque una delle pochissime applicazioni del reato, introdotto nel nostro ordinamento con la legge 110/2017

di Patrizia Maciocchi

Un disabile tenuto alla catena, bastonato e costretto ad abbaiare.

Questo il «trattamento disumano», di «straordinaria gravità», che ha indotto la Cassazione (sentenza 18075) a confermare la condanna per il reato di tortura (articolo 613-bis del Codice penale) a carico della coppia di ricorrenti.

La Suprema corte avalla dunque una delle pochissime applicazioni del reato, introdotto nel nostro ordinamento con la legge 110/2017.

Una norma spesso invocata soprattutto in occasione di eclatanti fatti di cronaca, dal caso Cucchi alle violenze nella caserma Diaz durante il G8, ma raramente applicata non solo perché non retroattiva.

Una condanna per il reato di tortura, nella forma aggravata (articolo 613-ter del Codice penale) in quanto commessa da pubblico ufficiale c’è stata nel 2021. Difficile arrivare a sentenza anche nel caso della tortura come reato comune, inserito nella nostra legge, con una previsione più ampia rispetto alla definizione imposta dalla Convenzione Onu dell’84, relativa ai comportamenti tenuti in prima persona o istigati da pubblici ufficiali.

Nel caso esaminato, i giudici hanno riscontrato gli elementi per la condanna. Il ragazzo, privato della libertà, era incapace di reagire a causa di una sindrome molto rara. La sua sofferenza era stata portata ai massimi livelli sia dal punto di vista fisico, perché picchiato selvaggiamente, sia psicologico perché offeso «in modo terribile» e minacciato di morte. La Cassazione ha dunque seguito la via scelta dal legislatore italiano di non identificare la tortura solo con il reato proprio del funzionario pubblico, ma di includere anche le condotte di soggetti privati.

La Cassazione ha analizzato il reato di tortura, anche con la sentenza n. 8973/2022, relativa al ricorso del comandante della Polizia penitenziaria del carcere di Santa Maria Capua Vetere per la revoca degli arresti domiciliari. Una misura cautelare applicata nell’ambito dell’indagine sulle azioni commesse dalla Polizia penitenziaria in seguito alle sommosse dei detenuti ad aprile 2020 del 2020. In quell’occasione la Suprema corte ha escluso, che per integrare il reato sia necessaria l’abitualità della condotta criminosa, affermando che bastano anche «due sole condotte e anche in un minimo lasso temporale». Proprio sulla cosiddetta tortura di Stato si è recentemente concentrata l’attenzione, a causa di una proposta di legge presentata da alcuni esponenti di Fratelli d'Italia, con prima firmataria Imma Vietri.

Un provvedimento, assegnato in commissione Giustizia della Camera, che tende di fatto ad abrogare gli articoli 613-bis e 613-ter del Codice penale lasciando solo l’aggravante prevista dall’articolo 61 del Codice penale sull’abuso dei poteri da parte del pubblico ufficiale. Secondo i firmatari, infatti, l’incertezza applicativa della norma potrebbe comportare una sua applicazione al personale delle Forze di polizia anche quando autorizzate «a ricorrere legittimamente anche a mezzi di coazione fisica». Ma l’intenzione di passare un colpo di spugna sulla legge è stata smentita dal guardasigilli Carlo Nordio nel corso di un question time del 30 marzo scorso.

Per Nordio che - ha definito la tortura un reato “odioso” da mantenere - c’è solo da correggere la rotta su alcune “carenze tecniche”. Il primo neo riguarderebbe lo scollamento con la Convenzione di New York che limita la tortura alle azioni caratterizzate dal dolo specifico, mentre il legislatore interno ha scelto la via del dolo generico. La seconda carenza è individuata nella fusione in un’unica fattispecie delle figure criminose di tortura e maltrattamenti inumani e degradanti.

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