Lavoro

Per la reintegra non serve una previsione specifica

Si tratta di una importante modifica a precedenti orientamenti più restrittivi

di Angelo Zambelli

Con una importante modifica a precedenti orientamenti più restrittivi, la Cassazione (sentenza 11665/2022) ha affermato che «in tema di licenziamento disciplinare, al fine di selezionare la tutela applicabile tra quelle previste dall’articolo 18 commi 4 e 5 della legge 300 del 20 maggio 1970…, è consentita al giudice la sussunzione della condotta addebitata al lavoratore ed in concreto accertata giudizialmente nella previsione contrattuale che punisca l’illecito con sanzione conservativa anche laddove tale previsione sia espressa attraverso clausole generali o elastiche».

Il caso riguardava il licenziamento per giusta causa di un dipendente, assunto nel 2003, a seguito di un procedimento disciplinare per avere, in una conversazione via chat con una collega, criticato e denigrato il datore di lavoro; non aver denunciato l’aggressione con lesioni subita da una guardia giurata durante il servizio; aver omesso per cinque mesi di segnalare alla Questura competente i turni di servizio del personale, come imposto da precise direttive.

Nei giudizi di merito, i giudici concordavano sull’illegittimità del recesso per carenza della giusta causa, ma non sul regime di tutela applicabile: mentre, infatti, il giudice della fase di opposizione riteneva applicabile la tutela reintegratoria attenuata (articolo 18, comma 4 - reintegrazione e pagamento di un’indennità risarcitoria fino a un massimo di 12 mensilità), i giudici della fase sommaria e della Corte d’appello ritenevano applicabile la tutela indennitaria forte (articolo 18, comma 5 - pagamento di un’indennità risarcitoria da 12 a 24 mensilità) e condannavano la società al solo pagamento dell’indennità nella misura di 20 mensilità.

Ad avviso dei giudici della fase sommaria e della Corte d’appello, infatti, ferma l’insussistenza della giusta causa, il fatto contestato e accertato non sarebbe espressamente contemplato da una previsione del Ccnl che tipizzi la condotta del lavoratore come punibile con sanzione conservativa. Infatti, attesa l’irrilevanza disciplinare della prima infrazione, i restanti addebiti (omessa denuncia di un fatto di servizio e omessa trasmissione di documenti all’autorità preposta) non sarebbero stati sussumibili nelle fattispecie per cui il Ccnl per i dipendenti degli istituti di vigilanza privata prevede, all’articolo 101, l’irrogazione di una sanzione conservativa, che sarebbero «formulate in modo assai generico ed indefinito».

Nello specifico, la norma contrattuale prevede l’irrogazione delle sanzioni del rimprovero scritto, della multa e della sospensione, rispettivamente in caso di: condotte caratterizzate da «lievi irregolarità»; esecuzione della prestazione «senza la necessaria diligenza»; esecuzione del lavoro «con negligenza grave» o parziale omissione del servizio.

La Corte di cassazione ha osservato che laddove «la fattispecie punita con una sanzione conservativa sia delineata dalla norma collettiva attraverso una clausola generale (negligenza grave, ndr) al giudice è demandato di interpretare la fonte negoziale e verificare la sussimibilità del fatto contestato nella previsione collettiva anche attraverso una valutazione di maggiore o minore gravità della condotta». Tale operazione interpretativa, conclude la Suprema corte, è del tutto compatibile con il tenore dell’articolo 18, comma 4, dello statuto dei lavoratori da cui «non si evince…alcun ragionevole richiamo ad una tipizzazione specifica e rigida delle singole fattispecie». La Suprema corte ha pertanto cassato la sentenza impugnata con rinvio alla Corte d’appello.

La sensazione impalpabile è che ciò che il legislatore ha fatto uscire dalla porta nel 2012 (e ancor di più nel 2015) stia rientrando dalla finestra.

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