Penale

Legge Severino, possibile candidarsi dopo il patteggiamento

Il parere del ministero dell’Interno: non pesa più la sanzione ricevuta

di Giovanni Negri

Potrà ricandidarsi anche chi è stato condannato dopo patteggiamento. Effetto della riforma del processo penale in vigore dal 30 dicembre che sul punto cancella la legge Severino. Questa la conclusione di un parere reso dal ministero dell’Interno - Dipartimento per gli Affari interni e territoriali il 15 marzo. In questo senso si è pronunciata anche l’Avvocatura dello Stato richiesta di intervenire vista la rilevanza e la portata generale della questione.

A monte c’è la disposizione del Codice di procedura penale sulla quale è intervenuta la riforma (decreto legislativo n. 150 del 2022) per effetto della quale ora il testo prevede che «se non sono applicate pene accessorie, non producono effetti le disposizioni di leggi, diverse da quella penale, che equiparano la sentenza prevista dall’articolo 444 comma 2, Codice di procedura penale, alla sentenza di condanna».

Presa nel contesto delle misure approvate con l’intenzione di incentivare l’utilizzo dei riti alternativi e, in questo caso, del patteggiamento, la norma ha l’effetto di sterilizzare gli effetti di tutte le disposizioni non qualificabili come penali nelle quali la sentenza esito dell’accordo tra accusa e difesa è equiparata alla condanna. Tra queste sicuramente va (andava)considerato l’articolo 15, comma 1, del decreto legislativo n. 235 del 2012 (legge Severino) in base al quale «l’incandidabilità di cui al presente testo unico opera anche nel caso in cui la sentenza definitiva disponga l’applicazione della pena su richiesta, ai sensi dell’articolo 444 del codice di procedura penale».

E allora la questione centrale diventa, come sottolineato dall’Avvocatura dello Stato, stabilire se le misure della legge Severino devono essere considerate di natura penale e quindi escluse dal perimetro di applicazione della riforma oppure comprese per effetto del riconoscimento della loro natura extrapenale.

L’Avvocatura ricorda che una giurisprudenza consolidata, sia della Corte dei diritti dell’uomo sia della Cassazione, afferma l’esclusione della natura penale della misure in materia di incandidabilità. La stessa Corte costituzionale (sentenze n. 276/2016 e 230/2021), nega espressamente la natura penale delle misure contenute nella Legge Severino, escludendone lo scopo punitivo, essendo state introdotte per assicurare il buon andamento e la trasparenza della pubblica amministrazione e degli organi elettivi, arginando così il fenomeno dell’infiltrazione criminale nella pubblica amministrazione.

Ed è per questa ragione che il parere del Viminale ratifica l’avvenuta «abrogazione tacita», aprendo così espressamente la strada alle future candidature dei condannati (senza pene accessorie) dopo patteggiamento.

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