Penale

Diffamazione se l'e-mail offensiva è stata "scaricata"

Lo afferma la Cassazione con la sentenza n. 12511 depositata oggi chiarendo che non è necessario sia stata anche letta

di Francesco Machina Grifeo

Ai fini della diffamazione a mezzo mail – dunque con invio a più destinatari – è sufficiente la mera conoscibilità della comunicazione mediale, non essendo dirimente che la mail sia stata effettivamente 'aperta', risultando invece necessario che sia stata scaricata dal sistema. Lo ribadisce la Cassazione con la sentenza n. 12511 depositata oggi.

Confermata dunque la decisione della Corte territoriale che ha applicato il principio per cui "l'invio di e-mail a contenuto diffamatorio, realizzato tramite l'utilizzo di internet, integra un'ipotesi di diffamazione aggravata, quando plurimi ne siano i destinatari, in presenza della prova dell'effettivo recapito dello stesso, ovvero che il messaggio sia stato "scaricato" mediante trasferimento sul dispositivo del destinatario".

La Corte evidenzia, dunque, come«l'e-mail sia una comunicazione diretta a destinatario predefinito ed esclusivo (anche quando plurimi siano i soggetti cui viene indirizzata), al quale viene recapitata informaticamente presso il server di adozione, collegandosi al quale attraverso un proprio dispositivo e utilizzando delle chiavi di accesso personali, questi può prenderne cognizione". Diversamente, dunque, a quanto condivisibilmente affermato dalla Cassazione con riguardo a scritti, immagini o file vocali caricate su siti web o diffusi sui social media, "nell'ipotesi dell'invio di messaggi di posta elettronica, il requisito della comunicazione con più persone non può presumersi sulla base dell'inserimento del contenuto offensivo nella rete (e cioè, nel caso di specie, della loro spedizione), ma è necessaria quantomeno la prova dell'effettivo recapito degli stessi, sia esso la conseguenza di un'operazione automatica impostata dal destinatario ovvero di un accesso dedicato al server".

In altri termini è sufficiente la prova che il messaggio sia stato "scaricato" (e cioè trasferito sul dispositivo dell'utente dell'indirizzo), mentre l'effettiva lettura può presumersi, salvo prova contraria».

Una posizione fatta propria dalla Corte di appello che ha giudicato "inverosimile che all'invio non sia corrisposto il requisito della comunicazione nei termini ora evidenziati, cioè della ricezione del messaggio di posta elettronica". Ha errato dunque il ricorrente a concentrarsi sul tema dell'assenza di prova della lettura del messaggio che, come evidenziato, non è necessario ad integrare la condotta di reato, "essendo sufficiente la conoscibilità potenziale del contenuto del messaggio giunto a destinazione, potendo ritenersi presunta la lettura, salvo prova contraria, che non risulta essere stata fornita".

La V Sezione penale ha invece accolto il ricorso dell'uomo (peraltro assolto ai sensi dell'articolo 131-bis c.p.), per carenza di motivazione, avendo egli lamentato che la sentenza si era limitata a rilevare come il contenuto del messaggio avesse un contenuto non scriminato, perché contenente espressioni tali da minare la credibilità del destinatario quale «esponente qualificato del sindacato di appartenenza»; senza però fare alcuna valutazione in ordine al requisito della verità delle affermazioni contenute nel messaggio "a fronte del costante principio che, in tema di diffamazione, ai fini della applicazione dell'esimente dell'esercizio del diritto di critica, non può prescindersi dal requisito della verità del fatto storico ove tale fatto sia posto a fondamento della elaborazione critica".

Infine, è fondato anche il motivo relativo alla prescrizione sin dall'appello. La Corte ha così disposto l'annullamento della sentenza senza rinvio agli effetti penali, per essere il reato estinto per prescrizione, e l'annullamento della medesima sentenza, agli effetti civili, con rinvio al giudice civile competente per valore in grado di appello.

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