Famiglia

La Consulta dice no alla conversione automatica dell'unione civile in matrimonio

L'unione civile ha una sua regolamentazione che si discosta da quello matrimoniale sotto plurimi profili, in particolare, con riferimento al provvedimento in esame, la regolamentazione dello scioglimento dell'unione civile a seguito della rettificazione del sesso

di Valeria Cianciolo


La Legge Cirinnà (l. 20 maggio 2016, n. 76, recante "Regolamentazione delle unioni civili tra persone dello stesso sesso e disciplina delle convivenze"), ha previsto che "la sentenza di rettificazione di attribuzione di sesso determina lo scioglimento dell'unione civile tra persone dello stesso sesso" (art. 1, comma 26, L. n. 76/2016) e che "alla rettificazione anagrafica di sesso, ove i coniugi abbiano manifestato la volontà di non sciogliere il matrimonio o di non cessarne gli effetti civili, consegue l'automatica instaurazione dell'unione civile" (art. 1, co. 27, L. 76/2016).
L'art. 1, comma 26, L. n. 76/2016 non lascia spazio a interpretazioni, ma certamente rende marcata la disuguaglianza con il comma successivo che, al contrario, rimette alla manifestazione di volontà dei coniugi, in caso di rettificazione di sesso, di non sciogliere o far cessare gli effetti civili del matrimonio, ma di instaurare automaticamente l'unione civile tra persone dello stesso sesso.

Il Tribunale di Lucca con ordinanza 14 gennaio 2022 ha rimesso la questione alla Consulta che con sentenza del 27 dicembre 2022 n. 269 ha dichiarato inammissibili le questioni di legittimità costituzionale del combinato disposto degli artt. 1, comma 26, della L. 20 maggio 2016, n. 76, 31, commi 3 e 4-bis, del D.Lgs. 1 settembre 2011, n. 150, quest'ultimo aggiunto dall'art. 7 del D.Lgs. 19 gennaio 2017, n. 5, , e 70-octies, comma 5, del D.P.R. 3 novembre 2000, n. 396, aggiunto dall'art. 1, comma 1, lettera t), del D.Lgs. n. 5 del 2017, sollevate, in riferimento agli artt. 2, 3, primo comma, 117, primo comma, della Costituzione, quest'ultimo in relazione agli artt. 8 e 14 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo

Il caso
Tizio, unito civilmente con Caio, faceva istanza di rettificazione del sesso presentando disforia di genere di tipo MtF. Nello specifico, parte attrice non aveva effettuato alcun intervento demolitivo degli organi sessuali primari, ma aveva seguito soltanto una terapia ormonale chiedendo la rettifica dell'attribuzione di sesso nei registri di stato civile avendo acquisito l'identità di genere femminile e chiedendo, altresì, che l'ufficiale di stato civile procedesse all'iscrizione del matrimonio nel registro degli atti di matrimonio.
Alla luce del quadro normativo attualmente esistente, era precluso a parte attrice e al soggetto con cui aveva contratto unione civile, di esprimere un valido consenso per unirsi in matrimonio e dunque, il tribunale di Lucca, nel caso in esame, ha sospeso il procedimento e rimesso la questione all'attenzione della Consulta, reputando non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale degli art. 1, comma 26, legge 20 maggio 2016 n. 76; 31, commi 3 e 4 bis d. lgs. 1 settembre 2011 n. 150 e 70 - octies d.p.r. 3 novembre 2000 n. 396, in relazione agli artt. 2, 3 e 117 Cost. e artt. 8 e 14 CEDU.
Infatti, l'art. 1 comma 26 della legge Cirinnà stabilisce che "la sentenza di attribuzione di sesso determina lo scioglimento dell'unione civile tra persone dello stesso sesso", mentre il successivo comma 27 stabilisce che "alla rettificazione anagrafica di sesso, ove i coniugi abbiano manifestato la volontà di non sciogliere il matrimonio o di non cessare gli effetti civili, consegue l'automatica instaurazione dell'unione civile tra persone dello stesso sesso."
In quest'ultimo caso, ai meri fini processuali, l'art. 7 del d. lgs. 19 gennaio 2017 n. 5, ha inserito il comma 4-bis all'art. 31 del d. lgs. n. 150 del 2011. Tale comma sancisce che "fino alla precisazione delle conclusioni la persona che ha proposto domanda di rettificazione di attribuzione di sesso ed il coniuge possono con dichiarazione congiunta, resa personalmente in udienza, esprimere la volontà, in caso di accoglimento della domanda, di costituire l'unione civile, effettuando le eventuali dichiarazioni riguardanti la scelta del cognome e il regime patrimoniale…"
Di conseguenza, l'art. 70-octies, co. 5, del d.p.r. 3 novembre 2000 n. 396 prevede che proprio nell'ipotesi di cui all'art. 31, co. 4-bis sopra citato, l'ufficiale dello stato civile, ricevuta la comunicazione della sentenza di rettificazione di attribuzione di sesso, procede all'iscrizione dell'unione civile nel registro delle unioni civili con l'eventuale annotazione relativa alla scelta del cognome e al regime patrimoniale.
Il comma 26 dell'articolo 1 della legge Cirinnà, inoltre, non fà alcun richiamo all'art. 3 co. 1, n. 2), lett. g), legge 1 dicembre 1970 n. 898, norma che rimane estranea alla disciplina dello scioglimento delle unioni civili. Da ciò ne consegue, vista la laconicità del co. 26 dell'art. 1, l'automatica caducazione dell'unione civile con il passaggio in giudicato della sentenza di rettificazione di attribuzione di sesso di uno dei contraenti.

Lo scioglimento dell'unione civile
In ambito familiare, la normativa vigente dopo la novella operata dalla nota Legge Cirinnà disciplina tre tipi legali di coppia: a quella matrimoniale, si aggiungono l'unione civile fra persone maggiorenni dello stesso sesso e le convivenze di fatto tra persone maggiorenni di diverso o dello stesso sesso. La disciplina di ciascuno di essi risulta in concreto notevolmente distinta. In particolare, per quel che qui più interessa, l'unione civile ha una sua regolamentazione che si discosta da quello matrimoniale sotto plurimi profili, in particolare, con riferimento al provvedimento in esame, la regolamentazione dello scioglimento dell'unione civile a seguito della rettificazione del sesso.
L'unione civile, al pari del matrimonio, si scioglie per morte o per dichiarazione di morte presunta (art. 1, comma 23, L. n. 76/2016), ovvero in seguito a sentenza di rettificazione dell'attribuzione anagrafica di sesso (art. 1, comma 26). Siffatte previsioni traspongono, con alcuni correttivi, quanto stabilito per l'istituto matrimoniale, rispettivamente, dall'art. 149 cod. civ. e dall'art. 4, L. n. 164/1982. L'art. 1, comma 23, L. n. 76/2016 richiama alcune ipotesi contemplate dall'art. 3 l. div., applicabili all'unione civile, non citando, ad esempio, la lett. b) dell'art. 3, relativa "all'ultima e statisticamente più importante causa di scioglimento del matrimonio, rappresentata dalla separazione legale." Escluse dall'elenco del comma 23, sono pure le lett. g) ed f) dell'art. 3 Legge div. che riguardano l'inconsumazione del matrimonio e il passaggio in giudicato della sentenza di rettificazione dell'attribuzione anagrafica di sesso. Quest'ultima eventualità è, però, espressamente disciplinata, come si dirà più avanti, dal successivo comma 26.

Il rebus dei commi 26 e 27 dell'art. 1 della Legge Cirinnà
Il comma 27 è la risposta data dal legislatore del 2016 al caso Bernaroli, andato sulle pagine dei principali quotidiani e tanto discusso per i molteplici problemi etici che pone, primo fra tutti, il fatto che la natura ha smesso di essere la sola custode dei limiti biologici, posto che l'autodeterminazione di sé può consentirci di transitare verso il sesso opposto a quello biologico di appartenenza, come è consentito dalla legge dal 1982, radicalizzando il tema della famiglia.
Recependo il dictum della Corte Costituzionale (sentenza 11 giugno 2014, n. 170), il comma 27 prevede un'ipotesi di unione civile derivante dal matrimonio; se, infatti, dopo la rettificazione di sesso, i coniugi manifestano la volontà di non sciogliere il matrimonio o non cessarne gli effetti civili, questo si trasforma automaticamente in unione civile tra persone dello stesso sesso.
Il D. Lgs. n. 5/2017 di adeguamento e coordinamento delle disposizioni vigente alle norme della L. n. 76/2016 ha disciplinato le conseguenze della rettificazione di sesso in relazione al comma 27, di uno dei coniugi, senza intervenire minimamente nella rettificazione di sesso di una delle parti dell'unione civile. Con la modifica del comma 5 dell'art. 70- octies, d.P.R. n. 396/2000 e dell'art. 31, D.Lgs. 1 settembre 2011, n. 150, i coniugi che non vogliono sciogliere il matrimonio o farne cessare gli effetti civili, nel corso del giudizio di rettificazione di sesso, rendono manifestazione di volontà di costituire unione civile e il giudice, una volta definito il procedimento, trasmette all'ufficiale di stato civile del comune di celebrazione del matrimonio o di trascrizione se avvenuto all'estero, l'ordine di iscrivere l'unione civile nel registro delle unioni civili. In questo modo, al momento della definitività della sentenza di rettificazione di sesso, il matrimonio non verrà sciolto ma risulterà costituita unione civile senza alcuna interruzione temporale. Nel momento in cui diviene pienamente efficace la sentenza di rettificazione di sesso e viene annotata a margine dell'atto di nascita comportandone la variazione, in quell'istante diventa pienamente efficace anche la dichiarazione di voler mantenere in vita il vincolo e di costituire unione civile resa in udienza ancora prima della decisione sulla rettificazione di sesso.
Al contrario, il comma 26 della stessa legge, non dà spazio a interpretazioni disponendo che nel caso di unione civile, la rettificazione di sesso di una delle parti determina lo scioglimento dell'unione civile, senza alcuna possibilità di una scelta diversa, risultando evidente il contrasto con il comma 27 sopra illustrato che, al contrario, assegna alla volontà dei coniugi, in caso di rettificazione di sesso, di non sciogliere o far cessare gli effetti civili del matrimonio, lasciando a loro la decisione di convertire il matrimonio originario in unione civile.
Alla luce di questa normativa, poco coerente con i principi comunitari e costituzionali, l'unica possibilità che si apre a due uniti civilmente, a seguito della rettifica di sesso, è il matrimonio (tenendo conto che, comunque, tra lo scioglimento dell'unione civile e la celebrazione del matrimonio, la coppia rimarrebbe senza tutela per una eventuale successione) oppure la registrazione della convivenza con tutto quel che ne consegue sotto il profilo pratico, poiché in assenza di altri richiami normativi la convivenza è un istituto del tutto impermeabile sotto il profilo dell'ordine dei successibili, e più in generale per tutti gli altri diritti successori che il nostro ordinamento riconosce ai coniugi.
Pertanto, nessun diritto spetta - in assenza di disposizioni testamentarie - al convivente in caso di morte del compagno.
Per di più il legislatore ha omesso di agevolare sotto il profilo fiscale gli strumenti in mano ai conviventi per disciplinare gli aspetti successori del loro rapporto: eventuali disposizioni a titolo liberale o successorio in favore del convivente scontano, ai sensi del T.U.S., l'aliquota nella misura massima ivi prevista (cioè l'imposta di successione all'8% prevista per le liberalità tra estranei) né beneficiano di alcuna franchigia (che viceversa opera per i coniugi e per le parti di un'unione civile).

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