Penale

Cooperazione diretta tra Stato e provider contro il cybercrime

Sottoscritto il secondo Protocollo addizionale alla Convenzione di Budapest

di Sergio Lorusso

Cooperazione diretta tra le autorità e con i service provider che si trovano in Stati diversi per contrastare il cybercrime. È l’obiettivo del secondo Protocollo addizionale alla Convenzione di Budapest del Consiglio d’Europa sul cybercrime del 23 novembre 2001, sottoscritto il 12 maggio 2022 da 22 Paesi (non solo europei) e che ora deve essere recepito dai singoli ordinamenti nazionali.

Il secondo Protocollo addizionale arriva a distanza di un ventennio dal primo accordo internazionale vincolante in argomento: un arco temporale che rappresenta un’eternità nello sviluppo – frenetico e spesso tumultuoso – della società informatica.

Si tratta di un passo in avanti significativo e necessario, perché, in tema di informatica, ancora più che in altri settori, le dinamiche giudiziarie devono fare i conti con la caduta dei confini tra gli Stati. La perdita di valore della fisicità in favore del virtuale – il dato digitale è geneticamente smaterializzato e volatile – ha comportato, infatti, il superamento di ogni barriera geografica sia nella commissione degli illeciti penali sia nell’estensione degli strumenti investigativi e probatori finalizzati all’accertamento dei reati.

Il secondo Protocollo addizionale interviene per ovviare ad alcune criticità emerse nell’applicazione delle norme convenzionali, agendo in particolare lungo tre linee direttrici:

a) potenziamento della cooperazione diretta tra autorità di una Parte e service provider situati nel territorio di un’altra Parte (stante la lentezza delle procedure di collaborazione intergovernativa) per ottenere informazioni sulla registrazione del domain name o la divulgazione di informazioni memorizzate specifiche relative agli abbonati;

b) previsione di una procedura di assistenza reciproca tra Stati più agile, mediante la quale l’autorità di una Parte può emettere un ordine, rivolto a un’altra Parte e direttamente eseguibile nel territorio di quest’ultima, per la presentazione accelerata di informazioni sugli abbonati e di dati sul traffico;

c) individuazione di strumenti sussidiari, cui accedere in caso di assenza di accordi ad hoc tra le Parti, tesi all’acquisizione della prova dichiarativa mediante videoconferenza e all’implementazione di squadre investigative comuni.

Imprescindibile – ovviamente – è che le informazioni e i dati siano necessari per lo svolgimento di indagini o di un procedimento penale e che l’ipotesi di reato per cui si procede rientri in un catalogo predeterminato: si metterebbero a rischio, altrimenti, sfere personali fondamentali come quella della privacy.

Il secondo Protocollo addizionale intende velocizzare l’iter di formazione e/o di acquisizione della digital evidence, senza per questo trascurare i diritti e le garanzie individuali. Superando la necessitata voluntary disclosure, cui nella prassi si è spesso fatto ricorso per bypassare le lungaggini e le farraginosità delle procedure di collaborazione intergovernativa attualmente operanti.

Sarà la prova dei fatti a dire se e quanto le soluzioni normative predisposte riusciranno a eliminare (o quanto meno ad attenuare sensibilmente) le opacità che hanno finora penalizzato l’applicazione degli strumenti introdotti grazie alla Convenzione di Budapest, rendendoli non di rado inefficaci: indispensabile, a tal fine, è la trasposizione quanto più rapida possibile della disciplina in ambito interno, senza esitazioni e trascuratezze.

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