Giustizia

Docenti e magistrati divisi su norme antirave e reati ostativi

Attesa la pronuncia della Corte costituzionale dopo il decreto legge

di Giovanni Negri

Le prime mosse del Governo in materia di giustizia dividono e fanno discutere non solo le forze politiche, ma anche accademia, magistratura e avvocatura. Con posizioni non sempre coincidenti tra le varie associazioni e gruppi organizzati, con sintonie inedite e rotture inaspettate. Il tutto mentre la Corte costituzionale l’8 ottobre si pronuncerà sul nuovo assetto dell’ergastolo ostativo. Tre le strade a disposizione: un nuovo rinvio della decisione, per verificare, a decreto legge convertito, la nuova disciplina; la restituzione degli atti alla Corte di cassazione per un nuovo accertamento dei profili di tensione costituzionale, anche dopo le modifiche; un verdetto di illegittimità.

E sulle norme, dall’Associazione dei professori di diritto penale arriva un affondo centrato su due punti principalmente: l’intervento sui reati ostativi e la nuova fattispecie antirave. Sul primo, si osserva che risulta impropria la previsione di una disciplina estremamente restrittiva sulle condizioni per essere ammessi ai benefici penitenziari e alla liberazione condizionale. Per i detenuti gli oneri di allegazione rischiano di essere una sorta di probatio diabolica. Preoccupa poi «il fatto che strumenti progettati per contrastare la criminalità organizzata, comune o terroristica, per la quale può essere ragionevole prevedere una disciplina penale più severa, purché in linea con le garanzie costituzionali e sovranazionali, vedano esteso il loro ambito applicativo, senza che vi siano specifiche evidenze empiriche che giustifichino peculiari presunzioni di pericolosità e regimi differenziati.

Quanto al nuovo reato, questo «appare frutto di una tecnica legislativa davvero approssimativa e lacunosa, e si distingue per indecifrabilità del tipo criminoso e incontrollabilità della sfera di applicazione».

L’Associazione tra gli studiosi del processo penale , invece, vede accolto il proprio appello lanciato a poche ore dall’entrata in vigore della riforma Cartabia: il rinvio era ritenuto necessario per ottenere «un più attento coordinamento tra gli interventi abrogativi e la disciplina transitoria, in modo da mantenere sotto controllo le afasie sistematiche suscettibili di crearsi nell’impegnativo passaggio tra la precedente e la nuova disciplina normativa, la quale incide su innumerevoli e nevralgici settori dell’ordinamento processuale penale».

Ma lo slittamento dovrebbe anche incoraggiare futuri interventi normativi per meglio bilanciare il rapporto tra efficienza e garanzie, nel rispetto di tutti i principi del “giusto processo”. Una scelta tuttavia criticata duramente da un passato presidente dell’Associazione, Ennio Amodio che senza mezzi termini scrive di «brutta pagina» di condivisione del governo Meloni, di endorsment alla linea di politica giudiziaria del nuovo esecutivo.

Frizioni anche all’interno della magistratura, dove Magistratura democratica mette nero su bianco che «il diritto penale è un delicato sistema che aggredisce la libertà della persona, imponendosene pertanto un uso sobrio e meditato. Per questo, intervenire con decreto legge per prevedere nuove fattispecie non è mai una buona idea». Di più, la nuova fattispecie, per Md, non si applica solo ai rave party, ma entra in diretta collisione con l’articolo 17 della Costituzione, «affidando la selezione tra l’esercizio di un diritto costituzionalmente garantito (quello di riunione e manifestazione pubblica) e la consumazione di un gravissimo reato (punito con pene esemplari che vanno da tre a sei anni, oltre la multa) a giudizi prognostici, collegati non già ad un evento ben definito, ma a valutazioni soggettive». Secca la conclusione, «se questo è il biglietto da visita del nuovo esecutivo in materia penale, ci aspetta una lunga stagione di resistenza costituzionale».

Prende le distanze Magistratura indipendente per la quale la magistratura non è e non deve mai diventare un attore della scena politica e, quanto al nuovo reato, per il segretario Angelo Piraino «la lamentela circa la compressione della libertà di riunione prevista dall’articolo 17 della Costituzione lascia, invece, perplessi, perché la norma sanziona innanzitutto l’invasione di terreni o edifici altrui e libertà di riunirsi non vuol dire libertà di invadere le proprietà altrui». Concorda Unicost: «Siamo in democrazia – ricorda la presidente Rossella Marro – e ciascuno è libero di scegliere il proprio canone di comunicazione. Noi riteniamo che la magistratura abbia un dovere, oltre che il diritto, di fornire il proprio contributo quando si parla di istituti giuridici di nuova adozione che possano avere un impatto sulla giurisdizione. Ma lo spirito deve essere di leale e corretta collaborazione».

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