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Rigenerazione urbana, quali conseguenze per il futuro degli immobili degradati?

La remissione era stata pronunciata in ricorso mirante all'annullamento dell'art. 11 NDA (norme di attuazione) del P.G.T. di Milano, secondo cui, in riferimento agli edifici individuati come abbandonati e degradati, di cui alla tavola R.10 del P.G.T. stesso (e successivi aggiornamenti)

di Fabio Andrea Bifulco

1 . Su queste pagine si era data notizia delle ordinanze con cui il Tar Lombardia (Sez. I, n.ri 371/2021, 372/2021, e 373/2021, del 10 febbraio 2021) aveva rimesso alla Corte Costituzionale di vagliare la legittimità costituzionale dell'art. 40 bis, l.r. 12/2005, come introdotto dalla l.r. 18/2019, sotto il profilo degli artt. 5, 97, 114, secondo comma, 117, secondo comma, lett. p), terzo e sesto comma, e 118 della Costituzione.

Giova rammentare che la remissione era stata pronunciata in ricorso mirante all'annullamento dell'art. 11 NDA (norme di attuazione) del P.G.T. di Milano, secondo cui, in riferimento agli edifici individuati come abbandonati e degradati, di cui alla tavola R.10 del P.G.T. stesso (e successivi aggiornamenti):

- è data la facoltà di presentare una proposta di piano attuativo o altro titolo abilitativo finalizzato al recupero dell'immobile, con obbligo di avviare i lavori entro 18 mesi dalla loro individuazione;

- in alternativa (rectius, in difetto), è fatto obbligo di procedere con la demolizione del manufatto, con la duplice conseguenza – anche essa alternativa – che:

- se vi provvede il proprietario è riconosciuta integralmente la S.L. (superficie lorda) esistente;

- se il proprietario non provvede, il Comune può intervenire in via sostitutiva, addebitando ad esso le relative spese, ed al privato è riconosciuto un (esiguo) indice di edificabilità territoriale unico pari a 0,35 mq/mq.

Oltre ad altre censure, i ricorrenti avevano posto il tema dell'evidente conflitto tra tali disposizioni e quelle di cui all'art. 40 bis, l.r. 12/2005 per quanto attiene:

- al termine per la presentazione della richiesta di costruire, che la norma regionale (comma 4) appresta in tre anni dalla notificazione della individuazione dell'edificio come degradato (oltre all'ulteriore tempo che deve decorrere dall'invito a presentare tale richiesta);

- al mancato riconoscimento dell'incremento dei diritti edificatori, laddove la norma regionale lo attribuisce in misura pari al 20% (cfr. i commi 5 e 6);

- alle conseguenze in caso di mancata demolizione, in quanto le disposizioni regionali prevedono il mantenimento della superficie lorda esistente (cfr. i commi 8 e 9);

- all'obbligo di reperimento delle aree a standard, escluso dalle prescrizioni regionali (cfr. comma 5).

Talché, contrariamente alla più tipica e usuale ipotesi in cui i precetti costituzionali vengono invocati dal privato ricorrente, a sostegno della illegittimità dell'atto impugnato, era stata la difesa dell'ente resistente ad evocare la illegittimità incostituzionale delle norme regionali, laddove comprimono la potestà pianificatoria comunale, non consentendo alcun intervento correttivo o derogativo al fine di modularne l'applicazione alla peculiarità di singoli territori.

Ad ogni modo, la necessità di un vaglio di costituzionalità era stata prospettata dal Tar:

- sotto il profilo della compressione delle prerogative comunali in tema di pianificazione urbanistica ex art. 117, secondo comma, lett. p), nonché ai sensi degli artt. 5 e 118 Cost.;

- per manifesta irragionevolezza, vuoi sotto il profilo di difetto di proporzionalità rispetto allo scopo del recupero (visto il rilevante impatto edificatorio che ne deriva), vuoi per mancato coordinamento con le ulteriori disposizioni regionali in tema di riduzione del consumo di suolo, in violazione dell'art. 3 Cost.;

- per violazione dei principi fondamentali della legislazione statale come determinati dall'art. 3 bis d.p.r. 380/2001, che escludono la possibilità di aumento della superficie coperta, disattendendosi così quanto previsto dall'art. 117, comma 3, Cost.;

- per violazione dei principi di uguaglianza ed imparzialità, di cui agli art. 3 e 97 Cost., posto che la disciplina regionale discrimina i proprietari che hanno diligentemente mantenuto i propri immobili di modo da evitarne il degrado.

2
. Rispetto al più ampio spettro di incostituzionalità come sopra delineato, la Corte ha colto quello relativo alla compressione delle autonomie comunali.

A questo riguardo, disattese le eccezioni di non rilevanza come poste sia dalla difesa regionale, che da quella di uno dei privati ricorrenti, la Corte ha ritenuto che:

- in subiecta materia sussiste la potestà legislativa statale esclusiva per quanto attiene alle funzioni fondamentali dei Comuni, ai sensi dell'art. 117, comma 2, lett. p, Cost;

- tra tali funzioni rientra quella della pianificazione urbanistica in ambito locale, visto anche quanto previsto dall'art. 14, comma 27, d.l. 78/2010 (convertito con modificazioni dalla l. 12/2010);

- è in astratto individuabile anche una potestà legislativa regionale di tipo concorrente per quanto riguarda la materia del governo del territorio (cfr. art. 117, comma 3, Cost.);

- detta potestà regionale deve essere esercitata nel rispetto dei principi di sussidiarietà verticale di cui agli artt. 5 e 118, commi 1, Cost., salvaguardando il nucleo fondamentale delle funzioni comunali ed i principi della autonomia comunale.

Quanto sopra per concludere, che, tanto la previsione di ampliamenti volumetrici in misura fissa, che la esenzione dal reperimento degli standard urbanistici, altera l'equilibrio che deve sussistere tra le competenze regionali e la predette autonomie comunali.Similmente, la Corte ha ritenuto essere illegittima la impossibilità dei Comuni di influire sull'applicazione delle misure incentivanti, specie per i Comuni con popolazione inferiore a 20.000 abitanti.

3
. Per quanto riguarda le conseguenze ed i futuri scenari del recupero degli immobili degradati, va anzitutto precisato come la dichiarazione di incostituzionalità dichiaratamente riguardi il solo testo normativo regionale come esistente all'atto della introduzione della controversia.

La stessa Corte ha difatti dato atto delle modifiche apportate all'art. 40 bis dall'art. 1, l.r. 24 giugno 2021, n. 11, per effetto delle quali:

- la facoltà di escludere l'applicazione dei commi 5, 6, e 10, compete a tutti i Comuni, indifferentemente dalla popolazione residente;

- i Comuni hanno possibilità di modificare gli incrementi edificatori in misura variabile tra il 10 ed il 25%;

- ricorre la facoltà comunale di chiedere il soddisfacimento degli standard, ancorché per la sola quota correlata all'incremento dei diritti edificatori.

E, nell'escludere che detta novella faccia venire meno la rilevanza della questione (in quanto la sua portata precettiva è subordinata alla ricorrenza di apposita deliberazione comunale, nella specie non intervenuta), la Corte ha altresì precisato che il proprio decisum riguarda esclusivamente il testo precedente a detta novella.

Cionondimeno, seppure indubbiamente la modifica conferisca ai Comuni maggiori spazio nelle proprie prerogative pianificatorie, comunque le stesse incontrano consistenti limiti, quanto, ad esempio:

- alla misura dell'incentivo edificatorio, da collocarsi necessariamente tra un minimo del 10% ed un massimo del 25%;

- ai motivi che possono giustificare la esclusione dai benefici incentivanti (solo per "motivate ragioni di tutela paesaggistica, comunque ulteriori rispetto a eventuali regole morfologiche previste negli strumenti urbanistici");

- ed alla estensione della esclusione stessa (essendo fatto divieto di esclusioni generalizzate delle parti di territorio ricadenti nel tessuto urbano consolidato o comunque urbanizzato).

Pertanto, data la portata generale delle motivazioni espresse dalla Corte Costituzionale, non può escludersi che anche il testo normativo oggi vigente possa andare incontro ad eccezioni di incostituzionalità.

In conclusione, per completezza si segnala che la novella del giugno 2021 ha altresì prorogato al 31 dicembre 2021 il termine per la individuazione da parte dei Comuni degli immobili degradati, ovvero, nel caso dei Comuni che vi avessero già provveduto sulla base della previgente normativa, per l'aggiornamento delle proprie delibere.

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