Civile

Il contributo unificato non è dovuto dal ricorrente in Cassazione che rinuncia all'impugnazione

Il carattere sanzionatorio dell'onere economico non ne consente l'applicazione al di fuori dei casi di pronuncia sfavorevole o rigetto

di Paola Rossi

La rinuncia al ricorso per Cassazione pone nel nulla l'ipotesi di applicazione del contributo unificato a carico del ricorrente. In quanto non vi è soccombenza.
Affermano i giudici di legittimità, con la sentenza n. 25387/2022, che - data la natura insita di sanzione di tale onere economico aggiuntivo posto a carico del ricorrente "non vincitore" in Cassazione – ad esso non è applicabile un'interpretazione estensiva o analogica fino al punto dal ricomprenderne nella disciplina il caso della rinuncia al ricorso.
Il carattere di "specialità" di tale onere non può che determinarne l'applicazione ai soli casi della vera soccombenza o del rigetto del ricorso valutato inammissibile.
La Cassazione dà così continuità a un proprio orientamento già espresso e nega qualsiasi equiparazione tra il rigetto del ricorso e l'espressa e attiva rinuncia alla celebrazione del giudizio di legittimità sulla domanda inizialmente sollevata per l'avvio di un terzo grado di giudizio.
In effetti la rinuncia al ricorso operata direttamente dallo stesso ricorrente è atto di parte che di fatto solleva i giudici dal dovere di pronunciarsi.
Da cui consegue che l'articolo 13, comma 1 quater, del Dpr 115/2002, nel testo introdotto dall'articolo 1, comma 17, della legge 228/2012, che pone a carico del ricorrente rimasto soccombente un ulteriore contributo unificato, non trova applicazione in caso di rinuncia, in quanto tale misura si applica ai soli casi "tipici" del rigetto dell'impugnazione o della sua declaratoria di inammissibilità o improcedibilità.
E – secondo la Cassazione – trattandosi di misura "eccezionale" e latamente sanzionatoria essa va applicata in base a una stretta interpretazione non estensiva o analogica

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