Civile

Quando la Cassazione delegittima i Giudici di merito - Il caso della sentenza sull'imposta della pubblicità

Nel caso in esame la società aveva impugnato due avvisi di accertamento emessi dal Comune in tema di imposta pubblicitaria ottenendone l'annullamento in primo e secondo grado.

di Tommaso Landi *

Nell'attuale dibattito sulla riforma della giustizia tributaria, che spesso si focalizza sulla competenza dei giudici di merito delle Commissioni tributarie, è interessante analizzare l'ordinanza della Cassazione civile 33795/2021 che ha statuito in senso favorevole ad un Comune in tema di imposta sulla pubblicità dopo che Il ricorso della società era stato accolto in primo grado e confermato dalla Commissione Tributaria Regionale.

Nel caso in esame la società aveva impugnato due avvisi di accertamento emessi dal Comune in tema di imposta pubblicitaria ottenendone l'annullamento in primo e secondo grado.

I Giudici di merito, nell'annullare gli atti avevano appurato la circostanza di fatto che i pannelli frontali murari oggetto degli avvisi erano applicati presso la sede della ricorrente, sita in un interporto, luogo ove si recavano solo «soggetti che hanno già concluso il contratto con il fornitore» e dunque luogo «con accesso limitato con conseguente limitazione della categoria dei destinatari».

Tale circostanza di fatto, a loro giudizio, faceva venire meno il presupposto oggettivo dell'imposta.

In proposito occorre specificare che l'articolo 5 del Dlgs 507/93, nell'individuare il

"Presupposto dell'imposta" recita: «1. La diffusione di messaggi pubblicitari effettuata attraverso forme di comunicazione visive o acustiche, diverse da quelle assoggettate al diritto sulle pubbliche affissioni, in luoghi pubblici o aperti al pubblico o che sia da tali luoghi percepibile è soggetta all'imposta sulla pubblicità prevista nel presente decreto.

2. Ai fini dell'imposizione si considerano rilevanti i messaggi diffusi nell'esercizio di una attività economica allo scopo di promuovere la domanda di beni o servizi , ovvero finalizzati a migliorare l'immagine del soggetto pubblicizzato

Innegabile è, che negli anni, la Giurisprudenza ha avuto modo di esprimersi a favore di un'applicazione ampia del presupposto impositivo, rappresentato dal comportamento pubblicitario e dalla diffusione di messaggi pubblicitari (comma 1 dell'articolo 5 in parola), ricomprendendo tra le fattispecie tassabili: vetrofanie, targhe, insegne, indicazioni stradali, insegne luminose, e simili.

La stessa Giurisprudenza, però, si è mostrata più rigida circa l'individuazione dello scopo (comma 2 dell'articolo 5 in parola) che le rappresentazioni grafiche devono avere per potersi qualificare come pubblicitarie, e, dunque, integrare il presupposto d'imposta. Affinché ciò avvenga, infatti, è necessario che il segno grafico che si vorrebbe assoggettare ad imposizione sia stato apposto allo scopo di promuovere la domanda di un dato bene o servizio (CTP Treviso n. 177/02/2013) e, cosa ancor più importante, che il messaggio sia rivolto ad una massa indeterminata di possibili acquirenti e non ad un numero limitato di soggetti già orientati ad usufruire di un determinato servizio o ad acquistare un determinato bene (CTR Lombardia 3602/2019).

Proprio la citata Commissione Tributaria Lombarda è chiarissima in merito, statuendo che non è possibile assoggettare a imposta i segni grafici non rivolti ad una massa indistinta di potenziali acquirenti o utenti, non costituendo presupposto di imposta le rappresentazioni grafiche rivolte solo a coloro che sono già entrati nell'area delimitata esterna al locale e, quindi, hanno già deciso di usufruire dei servizi che l'ente impositore suppone erroneamente pubblicizzati.

La Cassazione, in passato sul punto si è espressa, statuendo che: «È soggetto ad imposta sulla pubblicità, ai sensi dell'art. 5 Dlgs 15 novembre 1993 n. 507, qualsiasi mezzo di comunicazione con il pubblico, il quale risulti - indipendentemente dalla ragione e finalità della sua adozione - obiettivamente idoneo a far conoscere indiscriminatamente alla massa indeterminata di possibili acquirenti ed utenti cui si rivolge ciò che si vuole pubblicizzare» (Cass. 17852/2004; Cass. 15449/2010 e più recentemente Cass. 1360/2019).

Ad affermare il medesimo principio, è anche lo stesso Ministero delle Finanze - Dipartimento Entrate Fiscalità Locale, Risoluzione del 23/09/1995 n. 243, con la quale chiarisce che per essere assoggettato a tassazione un qualsiasi messaggio deve rivolgersi indiscriminatamente ad una «massa indeterminata di soggetti, situazione che caratterizza il fenomeno pubblicitario sotto l'aspetto fiscale», non avendo alcuna rilevanza fiscale il fatto che un qualsiasi segno grafico svolga una qualsiasi funzione promozionale o meno nei confronti di coloro che sono già intenzionati a fruire di determinati servizi.

Stabilito questo principio di diritto appare evidente che, compito dei giudici di merito è applicarlo verificando se, nel caso concreto sottoposto alla loro attenzione, il messaggio pubblicitario che si vorrebbe assoggettare a tassazione si rivolga indiscriminatamente ad una «massa indeterminata di soggetti, situazione che caratterizza il fenomeno pubblicitario sotto l'aspetto fiscale».

Cosa che appare correttamente fatta dagli estensori della sentenza poi cassata.

Ciò nonostante, i giudici della Suprema Corte, nella sentenza 33795/2021, non hanno evidentemente ritenuto degna di fiducia la valutazione di puro merito effettuata dai giudici di primo grado e confermata da quelli d'appello, secondo cui la collocazione delle insegne oggetto di causa non integrasse il presupposto oggettivo di cui al comma 2 dell'articolo 5 del Dl 507/93 e, disattendendo le prime due sentenze, hanno ritenuto di dover entrare nel merito della questione motivando la cassazione della sentenza impugnata in base alla valutazione che «il messaggio potesse essere percepito da un numero indeterminato di destinatari, non necessariamente in relazione con quella specifica impresa che si avvale del messaggio stesso».

Preso atto della decisione della suprema Corte in commento, evidentemente basata sull'analisi di questioni di fatto, non resta che constatare come la motivazione esposta nella sentenza 33795/2021 abbia l'effetto di delegittimare l'operato dei giudici di primo e secondo grado, le cui motivate valutazioni di merito non sono state ritenute condivisibili dai Supremi Giudici il cui compito sarebbe, invece, nomofilattico.

*a cura dell'avv. Tommaso Landi , Studio Legale Tributario Landi e Partner24Ore

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