Sull’equo compenso maggioranza spaccata
Con la proposta Meloni i valori dei parametri sarebbero punto di riferimento per tutte le categorie
Maggioranza ancora divisa sulla proposta di legge per l’equo compenso. Da una parte c’è chi preme per un approfondimento e una revisione del testo (A.S. 2419, prima firmataria Giorgia Meloni), soprattutto tra i parlamentari del Partito democratico, e dall’altra chi – nel centrodestra – vorrebbe portare a casa il risultato con una approvazione rapida senza modifiche, rinviando a un secondo momento approfondimenti e ritocchi.
Il Ddl, già approvato dalla Camera e ora all’esame della commissione Giustizia del Senato in sede redigente, estende a tutti i professionisti, compresi quelli non ordinistici, la tutela ora riservata agli avvocati nei rapporti con i clienti forti (banche e assicurazioni). Il punto di riferimento per stabilire se il compenso è equo (in un rapporto tra professionista e cliente regolato da convenzione) sono i parametri individuati con decreti ministeriali per ogni professione sulla scia di quanto già accade per gli avvocati. Tutti i patti contrari alle indicazioni dei parametri sono nulli d’ufficio.
Ma a destare preoccupazione è soprattutto la possibilità, riservata agli Ordini di vigilare e sanzionare l’iscritto che viola le norme sull’equo compenso. La stessa sanzione non è applicabile ai professionisti non vigilati da un Ordine e questo fa temere una sorta di “dumping” sui prezzi per chi può sfuggire alle sanzioni.
«Il partito democratico ha chiesto di poter illustrare gli emendamenti – precisa il relatore del Ddl, Emanuele Pellegrini (Lega) – capisco la necessità di migliorare la proposta, ma se la modifichiamo il rischio che poi la Camera non riesca ad approvarla entro la fine della legislatura è concreto». Pellegrini ritiene quindi «importante portare a casa un primo risultato di una copertura anche minima per le categorie, impegnando poi il Governo a intervenire con le modifiche».
Anche il mondo delle professioni è spaccato: da un lato c’è chi vorrebbe che la proposta Meloni venisse varata così come giunta da Montecitorio (i Consigli nazionali degli Ordini e l’Avvocatura, composta da Consiglio nazionale forense, Cassa forense, Organismo congressuale forense e Aiga, Associazione giovani avvocati), dall’altra chi punta a modificarlo (Confprofessioni, Cassa dottori commercialisti, Adepp e alcuni sindacati professionali, fra cui l’Ungdcec, Unione giovani dottori commercialisti).
E a remare contro un via libera in tempi brevi c’è anche il calendario: tra festività, elezioni amministrative e referendum, il Parlamento di fatto resterà bloccato fino alla seconda metà di giugno.