Società

Fallimento, l'organismo di composizione della crisi non è parte nel giudizio di omologa

Lo afferma la Cassazione nella sentenza n. 21828/2021 enunciando un principio di diritto

di Andrea Alberto Moramarco

In materia fallimentare, l'organismo di composizione della crisi, cosiddetto O.C.C., non è parte necessaria nel giudizio di omologa dell'accordo di composizione, «né lo stesso assume una tale veste nel procedimento di reclamo o in quello, innanzi alla corte di Cassazione, avverso i provvedimenti emessi all'esito di quest'ultimo, oppure negli ulteriori giudizi che vertono sull'annullamento o la risoluzione dell'accordo predetto». Questo è quanto afferma la Cassazione nella sentenza n. 21828/2021.La decisione riguarda l'omologazione di un accordo di composizione della crisi nella procedura di sovraindebitamento di un imprenditore, impugnata dalla banca creditrice che indirizzava e notificava il ricorso non a costui ma esclusivamente all'O.C.C.. Quest'ultimo riteneva di non aver alcuna legittimazione passiva ad litem, sicché il ricorso doveva ritenersi inammissibile perché non notificato al debitore, unico soggetto legittimato a riceverlo.La Suprema corte ricorda le funzioni che l'O.C.C. è tenuto a svolgere nelle diverse fasi che caratterizzano le procedure di composizione della crisi. Tra i diversi compiti, tuttavia, non è presente la rappresentanza del debitore né della procedura. Difatti, sottolinea il Collegio, è sempre il debitore che pone in essere gli atti di gestione o che esegue quanto proposto. In sostanza, in nessun modo l'O.C.C. «diviene parte necessaria, né, tantomeno, diretto ed esclusivo destinatario di qualsiasi atto processuale attinente alla procedura in sé». Tale affermazione trova conferma nella legge n. 3/2012, che prevede come contraddittore necessario nel giudizio di omologazione il commissario giudiziale, mentre nulla viene stabilito riguardo per l'O.C.C..

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