Penale

Imputabilità, il disturbo di personalità vale se c'è nesso causale con il reato

di Andrea Alberto Moramarco

In tema di imputabilità , il disturbo di personalità è processualmente rilevante solo se, da una parte, sia di consistenza, intensità e gravità tali da incidere sulla capacità d'intendere di volere; dall'altra, sussista un nesso di causalità tra il medesimo disturbo e la condotta penalmente rilevante posta in essere dal soggetto. Ad applicare la regola della rilevanza e dell'incidenza concreta della capacità di intendere e di volere in sede penale è la Corte d'appello di Taranto con la sentenza 540/2017.

Il caso - Protagonista della vicenda è un uomo che esercitava abusivamente la professione di commercialista in alcuni paesi della provincia di Lecce e Taranto, il quale era stato denunciato per truffa da un gioielliere. Questi, rivoltosi al finto professionista per problemi con il Fisco su consiglio di un collega, si era accorto di essere stato raggirato, dopo aver anticipato 3 mila euro di parcella, in quanto il suo collega aveva subito un sequestro della sua attività, nonostante le rassicurazioni ricevute dal falso commercialista con tanto di decreti contraffatti della Commissione tributaria provinciale. Tratto a giudizio per rispondere di numerosi reati, ex articoli 348, 640 e 476 c.p., l'imputato, per il tramite del suo difensore, chiedeva l'accertamento della sua incapacità di intendere e di volere, in quanto all'epoca dei fatti lo stesso era affetto da “sindrome da conversione” e da “sindrome di Marfan” con episodi sincopali da fibrillazione atriale.

La decisione - Sia in primo grado che in appello, tuttavia, i giudici non ritengono che possa assumere rilievo nella fattispecie la presunta non imputabilità del soggetto, nonostante dalla consulenza emergeva che costui nel periodo della commissione dei fatti contestati «si trovava in una condizione di deficienza psichica tale da ridurre il suo potere di critica, di indebolire la sua capacità volitiva, rendendolo vulnerabile alla suggestione altrui, sicché la sua capacità di intendere e volere erano fortemente attenuante». Nel giudizio dinanzi al Tribunale, infatti, i consulenti avevano accertato che, in effetti, l'imputato soffriva delle patologie indicate, caratterizzate «dalla presenza di sintomi somatici o deficit riguardanti le funzioni motorie volontarie o sensitive», aggiungendo, inoltre, che lo stesso «aveva sofferto di balbuzie sin dall'infanzia, sicché si era determinata la strutturazione di una personalità insicura, necessitante di riconoscimento, in virtù della quale era concreto il rischio di una sua esposizione altrui manipolazione e alla circonvenzione».
Ciò però non basta per i giudici a riconoscere un vizio totale o parziale di mente. È vero che anche i disturbi di personalità «che non sempre sono inquadrabili nel ristretto novero delle malattie mentali, possono rientrare nel concetto di infermità, purché siano di consistenza, intensità e gravità tali da incidere concretamente sulla capacità di intendere o di volere, escludendola o scemandola grandemente». Tuttavia, è pur sempre necessario che sussista tra tale condizione e la condotta criminosa posta in essere un nesso eziologico «per effetto del quale il fatto di reato sia ritenuto causalmente determinato dal disturbo mentale». In sostanza, il disturbo, le alterazioni o qualsivoglia disarmonia della personalità non hanno alcun rilievo, ai fini dell'imputabilità, se non incidono causalmente sulla commissione del reato.
Nel caso di specie, dunque, il disturbo riscontrato nell'imputato è totalmente privo di idoneità causale con le condotte contestate. Anzi, chiosa la Corte, «la riscontrata insicurezza di personalità ed esposizione alla circonvenzione depongono in senso opposto alle condotte fraudolente compiute».

Corte d'appello di Taranto – Sezione penale - Sentenza 18 settembre 2017 n. 540

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