Rassegne di Giurisprudenza

Licenziamento individuale: l'esistenza di un motivo legittimo non esclude la nullità se è provata la natura discriminatoria

a cura della Redazione di PlusPlus24 Diritto

Lavoro - Lavoro subordinato - Estinzione del rapporto - Licenziamento individuale - Licenziamento ritorsivo e licenziamento discriminatorio - Domanda di accertamento della nullità - Distinzione - Conseguenze sul piano degli oneri di allegazione e prova a carico del lavoratore.
In ipotesi di allegazione da parte del lavoratore del carattere ritorsivo del licenziamento e quindi di una domanda di accertamento della nullità del provvedimento datoriale per motivo illecito ai sensi dell’articolo 1345 c.c., occorre che l’intento ritorsivo del datore di lavoro, la cui prova è a carico del lavoratore, sia determinante, cioè tale da costituire l’unica effettiva ragione di recesso ed esclusivo, nel senso che il motivo lecito formalmente addotto risulti insussistente nel riscontro giudiziale; ne consegue che la verifica dei fatti allegati dal lavoratore, ai fini dell’applicazione della tutela prevista dallo statuto dei lavoratori novellato, articolo 18, comma 1, richiede il previo accertamento della insussistenza della causale posta a fondamento del licenziamento; la prova della unicità e determinatezza del motivo non rileva, invece, nel caso di licenziamento discriminatorio, che ben può accompagnarsi ad altro motivo legittimo ed essere comunque nullo.

• Corte di cassazione, sezione lavoro, ordinanza 27 gennaio 2022, n. 2414

 

 

Lavoro - Lavoro subordinato (nozione, differenze dall'appalto e dal rapporto di lavoro autonomo, distinzioni) - Estinzione del rapporto - Licenziamento individuale - In genere licenziamento ritorsivo e licenziamento discriminatorio - Distinzione - Conseguenze sul piano degli oneri di allegazione e prova a carico del lavoratore e del datore.
L'allegazione del carattere ritorsivo del licenziamento impugnato comporta a carico del lavoratore l'onere di dimostrare l'illiceità del motivo unico e determinante del recesso, sempre che il datore di lavoro abbia almeno apparentemente fornito la prova dell'esistenza della giusta causa o del giustificato motivo del recesso, ai sensi dell'art. 
5 della l. n. 604 del 1966 . La prova della unicità e determinatezza del motivo non rileva, invece, nel caso di licenziamento discriminatorio, che ben può accompagnarsi ad altro motivo legittimo ed essere comunque nullo.
• Corte di cassazione, sezione lavoro, sentenza 7 novembre 2018, n. 28453

Lavoro - Lavoro subordinato - Estinzione del rapporto - Licenziamento individuale - In genere - Licenziamento discriminatorio - Nullità - Fondamento - Licenziamento per ritorsione - Differenze - Motivo economico concorrente - Irrilevanza - Fattispecie.
La nullità del licenziamento discriminatorio discende direttamente dalla violazione di specifiche norme di diritto interno, quali l'art. 4 della l. n. 604 del 1966, l'art. 15 st.lav. e l'art. 3 della l. n. 108 del 1990, nonché di diritto europeo, quali quelle contenute nella direttiva n. 76/207/CEE sulle discriminazioni di genere, sicché, diversamente dall'ipotesi di licenziamento ritorsivo, non è necessaria la sussistenza di un motivo illecito determinante ex art. 
1345 c.c. , né la natura discriminatoria può essere esclusa dalla concorrenza di un'altra finalità, pur legittima, quale il motivo economico. (Nella specie, la S.C. ha confermato la decisione di merito sulla natura discriminatoria di un licenziamento che conseguiva la comunicazione della dipendente di volersi assentare per sottoporsi ad un trattamento di fecondazione assistita).
• Corte di cassazione, sezione lavoro, sentenza 5 aprile 2016, n. 6575

 

Licenziamento discriminatorio - Differenza con il licenziamento per motivo illecito - Necessità che il motivo discriminatorio sia unico e determinante - Insussistenza - Fattispecie.
La discriminazione - diversamente dal motivo illecito - opera obiettivamente, ovvero in ragione del mero rilievo del trattamento deteriore riservato al lavoratore quale effetto della sua appartenenza alla categoria protetta, ed a prescindere dalla volontà illecita del datore di lavoro. La nullità derivante dal divieto di discriminazione discende, infatti, direttamente dalla violazione di specifiche norme di diritto interno ed europeo, senza passare attraverso la mediazione dell'art. 1345 c.c., con la conseguenza che il licenziamento determinato da ragioni discriminatorie è nullo indipendentemente dalla concorrenza di un'altra finalità, pure legittima, posta alla base della condotta datoriale (Nella specie, la Suprema Corte ha ritenuto discriminatorio, per ragioni legate al sesso, il licenziamento intimato alla lavoratrice che aveva manifestato la volontà di assentarsi dal lavoro, per un periodo di tempo futuro, al fine di sottoporsi a pratiche di inseminazione artificiale all'estero, ed ha affermato che la natura discriminatoria del licenziamento non potesse essere esclusa dall'esistenza di un pur valido motivo economico, consistente nella ripercussione negativa delle assenze sull'organizzazione del lavoro).

• Corte di cassazione, sezione lavoro, sentenza 5 aprile 2016, n. 6575