Civile

Tribunali civili: le principali sentenze di merito della settimana

La selezione delle pronunce della giustizia civile nel periodo compreso tra il 24 e il 28 ottobre 2022

di Giuseppe Cassano

Nel corso di questa settima le Corti d'Appello sono chiamate a pronunciarsi in tema di usura bancaria, violazione della normativa sulle distanze legali tra fabbricati, amministratore di condominio, danno morale terminale e, infine, comodato.
Da parte loro i Tribunali si soffermano in materia di responsabilità professionale dell'avvocato e del medico, di addebito nella separazione personale dei coniugi, di danno cagionato da animali selvatici e, ancora, di somministrazione di energia elettrica.


BANCHE
Usura bancaria – Disciplina - Operatività – Limiti
(Cc. articoli 1224, 1815; cp, articolo 44; legge 7 marzo 1996, n. 108)
Secondo la Corte d'Appello di Brescia la disciplina antiusura (articolo 1815 c.c., articolo 644 c.p., legge n. 108/1996) si applica (anche) agli interessi moratori, intendendo essa sanzionare non solo la pattuizione di interessi eccessivi convenuti al momento della stipula del contratto quale corrispettivo per la concessione del denaro, ma anche la promessa di qualsiasi somma usuraria sia dovuta in relazione al contratto concluso.
Al contempo della previsione dell'articolo 1815 c.c. si offre una interpretazione che, pur sanzionando la pattuizione degli interessi usurari, fa seguire la sanzione della non debenza di qualsiasi interesse, ma limitatamente al tipo che quella soglia abbia superato.
Invero, ove l'interesse corrispettivo sia lecito e solo il calcolo degli interessi moratori applicati comporti il superamento della predetta soglia usuraria, ne deriva che solo questi ultimi sono illeciti e preclusi; ma resta l'applicazione dell'articolo 1224, I, c.c., con la conseguente applicazione degli interessi nella misura dei corrispettivi lecitamente pattuiti.
Al contempo, l'artucolo 1815, II, c.c., nel prevedere la nullità della clausola relativa agli interessi, ove questi siano usurari, intende per clausola la singola disposizione pattizia che contempli interessi eccedenti il tasso soglia, indipendentemente dal fatto che essa esaurisca la regolamentazione dell'entità degli interessi dovuti in forza del contratto.
Con la precisazione che, in tema di usura bancaria, ai fini del superamento del "tasso soglia" previsto dalla cennata disciplina antiusura, non è possibile procedere alla sommatoria degli interessi moratori con la commissione di estinzione anticipata del finanziamento, non costituendo quest'ultima una remunerazione, a favore della banca, dipendente dalla durata dell'effettiva utilizzazione del denaro da parte del cliente, bensì un corrispettivo previsto per lo scioglimento anticipato degli impegni a quella connessi.
Non solo. La struttura del contratto di mutuo, in genere, impedisce che si verifichi la sommatoria tra interessi corrispettivi e interessi moratori: il tasso corrispettivo si applica solo sul capitale a scadere, il tasso di mora non può mai applicarsi al debito per il quale non è ancora decorso il termine di esigibilità, perché per definizione finché il termine pende non si dà mora.
Corte di Appello di Brescia, sezione I, sentenza 24 ottobre 2022 n. 1259

IMMIBILI
Proprietà immobiliare – Edifici – Distanza legale - Violazione
(Dpr 6 giugno 2001, n. 380, articolo 11)
Sottolinea in sentenza la Corte d'Appello di Campobasso come la pronuncia del Giudice Amministrativo, investito della domanda di annullamento della licenza, concessione o del permesso di costruire (rilasciati con salvezza dei diritti dei terzi, v. articolo 11 Dpr n. 380/2001), ha ad oggetto il controllo di legittimità dell'esercizio del potere da parte della Pa ovvero concerne esclusivamente il profilo pubblicistico relativo al rapporto fra il privato e la Pa, sicché non ha efficacia di giudicato nelle controversie tra privati, proprietari di fabbricati vicini, aventi ad oggetto la lesione del diritto di proprietà determinata dalla violazione della normativa in tema di distanze legali, che è posta a tutela non solo di interessi generali ma anche della posizione soggettiva del privato.
Il titolo edilizio è invero un atto che regola esclusivamente il rapporto che, in relazione all'attività assentita, si pone in essere tra la Pa che lo emette ed il soggetto a favore del quale è emesso senza attribuire in favore di tale soggetto diritti soggettivi conseguenti all'attività stessa, la cui titolarità deve essere sempre verificata alla stregua della disciplina fissata dal diritto comune.
Con riferimento agli obblighi della Pa (e quindi del Comune) deve evidenziarsi come essa non sia tenuta a svolgere approfondite indagini al fine di appurare l'effettiva esistenza della legittimazione, dovendosi limitare ad effettuare valutazioni sommarie, basate su prove di facile apprezzamento.
Ne consegue che, in caso di contestazioni sul titolo di legittimazione, pur potendo condurre le necessarie attività istruttorie, il Comune non può sovrapporre i propri apprezzamenti a quelli di competenza del Giudice civile, e quindi deve arrestarsi laddove il richiedente non sia in grado di produrre elementi prima facie attendibili.
Il Comune, dunque, prima di rilasciare il titolo, ha sempre l'onere di verificare la legittimazione del richiedente, accertando che questi sia proprietario dell'immobile su cui si eseguirà il richiesto intervento costruttivo o che, in ogni caso, ne abbia una disponibilità giuridica sufficiente a tal fine (cioè all'esecuzione dell'opera) fermo restando che il titolo abilitativo è comunque rilasciato – come detto - facendo salvi i diritti dei terzi.
Corte d'Appello di Campobasso, sentenza 24 ottobre 2022 n. 248

CONDOMINIO
Amministratore di condominio – Delibere assembleari - Impugnazione
(Cc, articoli 1131, 1132, 1133)
Secondo la Corte d'Appello di Milano l'amministratore di condominio, tenuto conto delle attribuzioni demandategli dall'articolo 1131 c.c., può resistere all'impugnazione della delibera assembleare ed impugnare la relativa decisione giudiziale, senza necessità di autorizzazione o ratifica dell'assemblea, atteso che, in dette ipotesi, non è consentito al singolo condomino dissenziente separare la propria responsabilità da quella degli altri condomini in ordine alle conseguenze della lite, ai sensi dell'articolo 1132 c.c., ma solo ricorrere all'assemblea avverso i provvedimenti dell'amministratore, ex articolo 1133 c.c., ovvero al Giudice contro il successivo deliberato dell'assemblea stessa.
Si ritiene, così, che in relazione all'impugnativa di delibera condominiale legittimato passivo sia il condominio in persona dell'amministratore in carica e non i singoli condomini i quali sono titolari di una legittimazione concorrente con quella dell'amministratore e possono, al più, intervenire per far valere un interesse proprio o ad adiuvandum.
La legittimazione processuale, invero, spetta al condominio inteso nella sua unità in quanto centro di imputazione degli interessi della collettività condominiale ed il potere di rappresentanza spetta all'amministratore quale mandatario dell'ente di gestione ai sensi dell'articolo 1131 c.c.: sussiste pertanto la legittimazione passiva dell'amministratore del condominio.
Con la precisazione secondo cui la legittimazione processuale passiva dell'amministratore di condominio non incontra limite alcuno quando la domanda proposta contro il condominio riguarda le parti comuni dell'edificio.
In ogni caso, nel giudizio di impugnazione della deliberazione dell'assemblea, ai sensi dell'articolo 1137 c.c., l'eventuale accertamento della proprietà esclusiva di un bene, sul quale l'impugnata delibera abbia inciso, è del tutto incidentale e funzionale alla decisione della causa sulla validità dell'atto collegiale, ed è privo di efficacia di giudicato in ordine all'estensione dei diritti reali dei singoli.
Corte di Appello di Milano, sezione III, sentenza 25 ottobre 2022 n. 3348

RESPONSABILITA' E RISARCIMENTO
Danno morale terminale – Sussistenza - Requisiti
È affermazione in punto di diritto della Corte d'Appello di Catanzaro quella secondo cui il danno morale terminale (da lucida agonia; catastrofale; catastrofico) è un danno da percezione concretizzabile sia nella sofferenza fisica derivante dalle lesioni, sia nella sofferenza psicologica (agonia) derivante dall'avvertita imminenza dell'exitus se nel tempo che si dispiega tra la lesione ed il decesso la persona si trovi in una condizione di lucidità agonica e, in quanto tale, in grado di percepire la sua situazione ed in particolare l'imminenza della morte, essendo irrilevante, a fini risarcitori, il lasso di tempo intercorso tra la lesione personale ed il decesso nel caso in cui la persona sia rimasta manifestamente lucida.
Presupposto per il suo risarcimento è dunque la prova della cosciente e lucida percezione dell'ineluttabilità della propria fine.
Tale prova difetta quando la vittima versi in stato di coma ciò costituendo una condizione psico-fisica che si traduce nell'annullamento pressoché totale del bene salute, determinando una condizione menomativa che annulla in concreto e permanentemente l'autonomia dell'individuo, precludendogli ogni capacità cognitiva e ogni forma di autonomia, anche minima, con perdita di qualsiasi consapevolezza e capacità di pensiero.
In assenza di elementi oggettivi concreti da cui poter ritenere provato che la vittima si sia trovata in uno stato di coscienza tale dall'avere percezione del progressivo svolgimento della propria condizione esistenziale verso il fine-vita, secondo l'argomentare della Corte, deve essere negato il risarcimento del danno morale soggettivo iure hereditatis.
Con riferimento poi al danno da perdita del rapporto parentale si precisa ancora in sentenza come, al fine di garantire non solo un'adeguata valutazione delle circostanze del caso concreto, ma anche l'uniformità di giudizio a fronte di casi analoghi, detto danno deve essere liquidato seguendo una tabella basata sul sistema a punti, che preveda, oltre l'adozione del criterio a punto, l'estrazione del valore medio del punto dai precedenti, la modularità e l'elencazione delle circostanze di fatto rilevanti, tra le quali, da indicare come indefettibili, l'età della vittima, l'età del superstite, il grado di parentela e la convivenza, nonché l'indicazione dei relativi punteggi, con la possibilità di applicare sull'importo finale dei correttivi in ragione della particolarità della situazione, salvo che l'eccezionalità del caso non imponga, fornendone adeguata motivazione, una liquidazione del danno senza fare ricorso a tale tabella.
Corte di Appello di Catanzaro, sezione II, sentenza 26 ottobre 2022 n. 1218

COMODATO
Comodato – Comodatario - Esigenze abitative
(Cc, articoli 1803, 1809, 1810)
Osserva la Corte d'Appello di Salerno come il comodato sia il contratto, essenzialmente gratuito, e non soggetto a particolare forma, attraverso cui una parte consegna all'altra un bene affinché se ne serva per un tempo o per un uso determinato, con l'obbligo di restituirla.
Il comodato cosiddetto precario di cui all'articolo 1810 c.c. si connota per la mancata pattuizione di un termine per la restituzione e l'impossibilità di desumerlo dall'uso al quale il bene è destinato, per cui il comodatario deve restituirlo a richiesta.
Il comodato di cui agli articoli 1803 e 1809 c.c. si configura, invece, per il fatto che la consegna della cosa prevede un tempo determinato o un uso dal quale può desumersi la scadenza; in tali ipotesi il comodatario deve restituire la cosa dopo la scadenza del termine ovvero dopo che si è servito della cosa in conformità al contratto. Il comodante ha, tuttavia, la facoltà di esigere la restituzione immediata in caso di sopravvenienza di un urgente e imprevisto bisogno.
Pertanto, in assenza di pattuizioni circa il termine finale del godimento, il comodato d'immobile per le esigenze abitative del comodatario va ricondotto a tale ultima fattispecie: in considerazione dell'uso specifico il tempo è determinabile per relationem, e cioè nella destinazione dell'immobile a casa familiare.
Con la precisazione che, nel comodato di bene immobile, stipulato senza determinazione di termine, l'onere di provarne la destinazione a casa familiare, e la persistenza della predetta destinazione alla domanda del rilascio, grava sul comodatario.
E così il coniuge affidatario della prole minorenne, o maggiorenne non autosufficiente, assegnatario della casa familiare, può opporre al comodante, che chieda il rilascio dell'immobile, l'esistenza di un provvedimento di assegnazione, pronunciato in un giudizio di separazione o divorzio, solo se tra il comodante e almeno uno dei coniugi (salva la concentrazione del rapporto in capo all'assegnatario, ancorchè diverso) il contratto in precedenza insorto abbia contemplato la destinazione del bene a casa familiare.
Corte di Appello di Salerno, sezione II, sentenza 26 ottobre 2022 n. 1423 

AVVOCATO
Avvocato – Responsabilità professionale – Onere della prova
(Cc, articoli 1176, 2229)
Sottolinea il Tribunale di Pisa come, in via generale, la prestazione svolta dall'avvocato nella difesa dei propri clienti rientri nel novero delle professioni intellettuali (articoli 2229 ss. c.c.).
L'avvocato, nell'espletamento dell'incarico professionale a lui affidato, deve comportarsi secondo la diligenza di cui all'articolo 1176, II, c.c., salvo che la prestazione non implichi la soluzione di problemi tecnici di speciale difficoltà, per il qual caso il professionista risponderà non già per colpa lieve ma solo nel caso in cui sia ravvisata la colpa grave o, addirittura, il dolo.
Da ciò discende, in punto di ripartizione dell'onere della prova, che incombe sul cliente l'onere di dimostrare: l'avvenuto conferimento del mandato difensivo; la difettosa o inadeguata prestazione professionale; l'esistenza del danno; il nesso di causalità tra la difettosa o inadeguata prestazione professionale e il danno, da accertarsi con giudizio controfattuale alla stregua del criterio del "più probabile che non", onde appurare se, qualora il legale non avesse commesso errori, il giudizio avrebbe avuto un esito diverso e la parte avrebbe potuto conseguire il risultato voluto, poiché la regola della preponderanza dell'evidenza o del "più probabile che non", si applica non solo all'accertamento del nesso di causalità fra l'omissione e l'evento di danno, ma anche all'accertamento del nesso tra quest'ultimo, quale elemento costitutivo della fattispecie, e le conseguenze dannose risarcibili.
Di fronte al positivo raggiungimento dell'onere probatorio gravante sul cliente, nei termini ora detti, spetterà al professionista convenuto dimostrare di non aver potuto adempiere per fatto a lui non imputabile o di avere svolto tutte le attività che, nella particolare contingenza, gli potevano essere ragionevolmente richieste tenuto conto, in ogni caso, che rientra nei suoi doveri di diligenza professionale non solo la consapevolezza che la mancata prova degli elementi costitutivi della domanda espone il cliente alla soccombenza, ma anche che il cliente, normalmente, non è in grado di valutare regole e tempi del processo né gli elementi che debbano essere sottoposti alla cognizione del giudice, così da rendere necessario che egli, per l'appunto, sia indirizzato e guidato dal difensore, che deve fornirgli tutte le informazioni necessarie, pure al fine di valutare i rischi insiti nell'iniziativa giudiziale.
Tribunale di Pisa, sentenza 24 ottobre 2022 n. 1273

RESPONSABILITÀ E RISARCIMENTO
Responsabilità del medico – Accertamento del fatto – C.T.U.

Adito in materia di responsabilità professionale del medico il Tribunale di Milano sottolinea che la consulenza tecnica di ufficio, non essendo qualificabile come mezzo di prova in senso proprio, perché volta ad aiutare il giudice nella valutazione degli elementi acquisiti o nella soluzione di questioni necessitanti specifiche conoscenze, è sottratta alla disponibilità delle parti ed affidata al prudente apprezzamento del Giudice di merito.
Questi può affidare al consulente non solo l'incarico di valutare i fatti accertati o dati per esistenti (consulente deducente), ma anche quello di accertare i fatti stessi (consulente percipiente), ed in tal caso è necessario e sufficiente che la parte deduca il fatto che pone a fondamento del suo diritto e che il Giudice ritenga che l'accertamento richieda specifiche cognizioni tecniche.
Orbene, con particolare riferimento alle ipotesi di accertamento della responsabilità medico-chirurgica, attesa l'innegabilità delle conoscenze tecniche specialistiche necessarie non solo alla comprensione dei fatti, ma alla loro stessa rilevabilità, la consulenza tecnica presenta carattere "percipiente", sicché il Giudice può affidare al consulente non solo l'incarico di valutare i fatti accertati, ma anche quello di accertare i fatti medesimi, ponendosi pertanto la consulenza, in relazione a tale aspetto, come fonte oggettiva di prova.
La consulenza tecnica d'ufficio è infatti un atto processuale che svolge funzione di ausilio del giudice nella valutazione dei fatti e degli elementi acquisiti (consulenza cosiddetta "deducente") ovvero, in determinati casi (come appunto in ambito di responsabilità sanitaria), è essa stessa fonte di prova per l'accertamento dei fatti (consulenza cosiddetta "percipiente"), in quanto costituisce mero elemento istruttorio da cui è possibile trarre il "fatto storico", rilevato e/o accertato dal consulente.
Tribunale di Milano. sezione I, sentenza 25 ottobre 2022 n. 8382

SEPARAZIONE E DIVORZIO
Separazione personale dei coniugi - Violenze fisiche e morali – Addebito
(Cc, articoli 143. 151)
In via generale, la separazione è addebitabile al coniuge che, assumendo un comportamento contrario ai doveri che derivano dal matrimonio (articolo 151, II, c.c.), abbia causato la disgregazione del vincolo matrimoniale in modo esclusivo o in concorso con le condotte del consorte (cd. addebito reciproco).
Con la precisazione che, qualora non venga dimostrato che il comportamento contrario ai doveri che l'articolo 143 c.c. pone a carico dei coniugi abbia causato il fallimento della convivenza, dovrà essere pronunciata la separazione senza addebito.
Precisa, in materia, il Tribunale di Monza che le reiterate violenze fisiche e morali, inflitte da un coniuge nei confronti dell'altro, costituiscono violazioni talmente gravi dei doveri nascenti dal matrimonio (idonee, peraltro, ad integrare talune specifiche fattispecie di delitti) da fondare, di per sè sole, non solo la pronuncia di separazione personale - in quanto cause determinanti della intollerabilità della convivenza - ma anche la dichiarazione della sua addebitabilità all'autore di esse.
Non solo. Esse solo altresì idonee ad esonerare il Giudice del merito, il quale abbia accertato comportamenti siffatti, dal dovere di comparare, ai fini dell'adozione delle predette pronunce, il comportamento del coniuge vittima delle violenze nei confronti dell'altro, in quanto i comportamenti medesimi, proprio in ragione della loro estrema gravità, escludono qualsiasi possibilità di comparazione, se non rispetto a comportamenti omogene.
Con la precisazione che, in tema di separazione personale dei coniugi, la pronuncia di addebito, richiesta da un coniuge per le violenze perpetrate dall'altro coniuge, non è esclusa qualora risulta provato un unico episodio di percosse, trattandosi di comportamento idoneo comunque a sconvolgere definitivamente l'equilibrio relazionale della coppia poichè lesivo della pari dignità di ogni persona.
Si afferma così, in punto di diritto, il principio secondo cui è inaccettabile un comportamento violento nella relazione coniugale (anche se concretatesi in un unico episodio di percosse) e la sua incidenza causale nell'addebito della separazione è preminente rispetto a qualsiasi causa preesistente di crisi nella comunione, spirituale e materiale, dei coniugi.
Tribunale di Monza, sezione IV, sentenza 25 ottobre 2022 n. 2135

RESPONSABILITA' E RISARCIMENTO
Danno cagionato da animali selvatici – Soggetto responsabile – Onere della prova
(Cc, articolo 2052; Legge 11 febbraio 1992, n. 157)
Sottolinea in sentenza il Tribunale di L'Aquila come, nell'azione di risarcimento del danno cagionato da animali selvatici a norma dell'articolo 2052 c.c., la legittimazione passiva spetti in via esclusiva alla Regione, in quanto titolare della competenza normativa in materia di patrimonio faunistico, nonché delle funzioni amministrative di programmazione, di coordinamento e di controllo delle attività di tutela e gestione della fauna selvatica, anche se eventualmente svolte - per delega o in base a poteri di cui sono direttamente titolari - da altri enti.
Dalla lettura della citata norma si evince che nessun distinguo è posto tra animali domestici e selvatici in quanto la disposizione in parola prescinde dalla sussistenza di una effettiva custodia dell'animale da parte dell'uomo, prevedendo invece la responsabilità del proprietario o dell'utilizzatore sia che l'animale fosse sotto la sua custodia, sia che fosse smarrito o fuggito.
Si tratta dunque di un criterio di imputazione della responsabilità fondato non sulla custodia ma sulla proprietà dell'animale o comunque sulla sua utilizzazione, per cui dei danni causati dall'animale risponde il soggetto che ne trae un beneficio, con l'unica salvezza del caso fortuito.
E così è a dirsi che i danni cagionati dalla fauna selvatica sono risarcibili dalla Pa ex articolo 2052 c.c., giacché, da un lato, il criterio di imputazione della responsabilità previsto da tale disposizione si fonda non sul dovere di custodia, ma sulla proprietà o, comunque, sull'utilizzazione dell'animale e, dall'altro, le specie selvatiche protette ai sensi della legge n. 157/1992 rientrano nel patrimonio indisponibile dello Stato e sono affidate alla cura e alla gestione di soggetti pubblici in funzione della tutela generale dell'ambiente e dell'ecosistema.
Grava sul danneggiato l'onere di dimostrare il nesso eziologico tra il comportamento dell'animale e l'evento lesivo, mentre spetta alla Regione fornire la prova liberatoria del caso fortuito, dimostrando che la condotta dell'animale si è posta del tutto al di fuori della propria sfera di controllo, come causa autonoma, eccezionale, imprevedibile o, comunque, non evitabile neanche mediante l'adozione delle più adeguate e diligenti misure - concretamente esigibili in relazione alla situazione di fatto e compatibili con la funzione di protezione dell'ambiente e dell'ecosistema - di gestione e controllo del patrimonio faunistico e di cautela per i terzi
Tribunale dell''Aquila, sentenza 26 ottobre 2022 n. 726

CONTRATTI
Somministrazione di energia elettrica – Natura giuridica – Prestazione
(Cost., articolo 111; c.c., articolo 2948)
Il prezzo della somministrazione di energia elettrica, che venga pagato annualmente o a scadenze inferiori all'anno, in relazione ai consumi verificatisi per ciascun periodo, configura – secondo quanto precisa il Tribunale di Roma in sentenza - una prestazione periodica, con connotati di autonomia nell'ambito di una "causa debendi" di tipo continuativo, e deve ritenersi, pertanto, incluso nella previsione dell'articolo 2948, n. 4, c.c., con la conseguenza dell'assoggettamento a prescrizione breve quinquennale del relativo credito.
Il regime della prescrizione - essendo legato alla natura dell'obbligazione - non può subire modifiche per effetto del comportamento del creditore che ometta di richiedere alle singole scadenze l'intero importo dovutogli, né è sostenibile che il dies a quo sia influenzato dalla mancata comunicazione della lettura effettiva da parte del distributore, da considerarsi come un impedimento soggettivo o un ostacolo di mero fatto.
Si precisa, poi, in altro passo della sentenza che la rilevazione dei consumi mediante contatore è assistita da una mera presunzione semplice di veridicità, sicché, in caso di contestazione, grava sul somministrante l'onere di provare che il contatore era perfettamente funzionante, mentre il fruitore deve dimostrare che l'eccessività dei consumi è dovuta a fattori esterni al suo controllo e che non avrebbe potuto evitare con un'attenta custodia dell'impianto, ovvero di aver diligentemente vigilato affinché eventuali intrusioni di terzi non potessero alterare il normale funzionamento del misuratore o determinare un incremento dei consumi.
La contestazione deve essere specifica e deve riguardare i fatti del processo, e non l'efficacia probatoria dei documenti prodotti dalla controparte, e, al contempo, la mancata contestazione di un fatto addotto dalla controparte ne rende superflua la prova, conferendogli carattere non controverso, e ciò sia per il sistema delle preclusioni, il quale comporta per le parti l'onere di collaborare al fine di circoscrivere la materia controversa, e sia per il principio di economia, che deve informare il processo, alla stregua dell'articolo 111 Cost..
Tribunale di Roma, sezione XVII, sentenza 26 ottobre 2022 n. 15702

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