Il CommentoCivile

Fideiussioni e schema ABI: un percorso tormentato, tra normativa nazionale, disciplina comunitaria e oscillazioni della giurisprudenza

La questione della (in)compatibilità delle fideiussioni, aventi contenuto negoziale conforme allo schema predisposto dell'ABI, rispetto alla disciplina antitrust ha seguito un percorso piuttosto contrastato, quantomeno fino alla recentissima pronuncia delle Sezioni Unite della Cassazione

di Antonino La Lumia

Il contributo è tratto dal Dossier Diritto " Fideiussione
e schema ABI
" , agg. Febbraio 2022, a cura della Redazione PlusPlus24 Diritto


La fideiussione ha costituito, storicamente, un punto di intersezione particolarmente sensibile nell'ambito dei rapporti bancari e finanziari, rappresentando spesso - nella forma e nella sostanza - un elemento di indispensabile collegamento tra l'operatore economico e il cliente, decisivo per l'equilibrio stesso delle posizioni: si tratta, infatti, del negozio giuridico - previsto dall'art. 1936 c.c. - mediante il quale un soggetto, obbligandosi personalmente verso il creditore, garantisce l'adempimento di un'obbligazione altrui; in questo senso, la garanzia è personale, in quanto non vengono costituiti diritti reali, ma il creditore può soddisfarsi sull'intero patrimonio di una persona diversa dal debitore, ai sensi dell'art. 2740 c.c.

Creditore e fideiussore sono le parti del rapporto: tuttavia, la fideiussione coinvolge soprattutto il debitore, sebbene non si tratti di contratto trilaterale, e anzi quest'ultimo potrebbe anche non esserne a conoscenza (art. 1936, secondo comma, c.c.).

La garanzia ha carattere accessorio rispetto all'obbligazione principale
: pertanto, sussiste se e fino a quando sussiste quest'ultima e, allo stesso modo, non è valida se non è valida l'obbligazione principale; inoltre, ai sensi dell'art. 1941 c.c., la fideiussione non può eccedere ciò che è dovuto dal debitore, né può essere prestata a condizioni più onerose, e - comunque - il fideiussore può opporre al creditore tutte le eccezioni che spettano al debitore principale, salvo quella derivante dall'incapacità (art. 1945).

Numerose sono le pronunce della giurisprudenza, in ambito bancario: in proposito, la Suprema Corte ha recentemente affermato che "Le norme di validità o di trasparenza negoziale previste dalla normativa primaria o secondaria di settore vanno intese non in senso strutturale, ma funzionale, avuto riguardo alla finalità di protezione dell'investitore o cliente della banca assunta dalla norma, e non sono indirizzate a regolare propriamente il negozio unilaterale stipulato dal fideiussore del debitore principale della banca, il quale non può essere considerato, per osmosi, alla stregua di un cliente della banca, proprio per il carattere accessorio di tale obbligazione rispetto a quella del debitore garantito, ex art. 1936 c.c." ( Cass. civ., 28 febbraio 2019, n. 5833 ).

La questione della (in)compatibilità delle fideiussioni, aventi contenuto negoziale conforme allo schema predisposto dell'ABI (Associazione Bancaria Italiana), rispetto alla disciplina antitrust ha seguito un percorso piuttosto contrastato, quantomeno fino alla recentissima pronuncia delle Sezioni Unite della Cassazione (n. 41994 del 30 dicembre 2021) , che pare avere messo un punto definitivo all'annoso dibattito, orientando così le future interpretazioni.

Il tema non è stato (e non è) di poco conto, dal momento che la validità delle fideiussioni è divenuta, nel corso degli anni, oggetto di innumerevoli contenziosi in materia di intese anticoncorrenziali, atteso che anche le banche e le società finanziarie, in quanto imprese, sono tenute a rispettare la disciplina di riferimento antitrust, a livello nazionale e comunitario: il regime di responsabilità nei confronti dei clienti è divenuto, infatti, sempre più stringente e ciò si è tradotto - da un lato - nella richiesta agli operatori di mercato di standard elevati di trasparenza e integrità gestionale e - dall'altro lato - nella previsione di sanzioni particolarmente rigide.

In tale ottica, il miglioramento dei parametri di valutazione e di verifica dell'attività d'impresa è stato perseguito dall'Unione Europea attraverso il presidio costante della normativa di settore, con l'obiettivo non soltanto di individuare e perseguire le violazioni, ma anche e soprattutto di diffondere e far radicare una sana cultura della concorrenza, unico puntello di equilibrio per operare una sintesi effettiva degli interessi in gioco: ecco perché hanno acquistato crescente importanza, nel corso del tempo, i programmi di compliance interna alle aziende, al fine di fissare gli strumenti organizzativi e procedurali più adatti alla prevenzione dei rischi di disallineamento rispetto alla legislazione in vigore (norme di condotta, attività formative, sistemi di controllo).

Il settore bancario e finanziario è, ovviamente, interessato dall'applicazione della suddetta normativa, considerata anche la delicatezza delle posizioni coinvolte: in questo senso, la disciplina nazionale - rappresentata in primis dalla legge n. 287 del 1990 e interpretata alla luce dei principi comunitari (art. 101 del T.F.U.E., Trattato sul funzionamento dell'Unione Europea) - consente di configurare un'intesa restrittiva della concorrenza, qualora essa abbia un oggetto anche solo potenzialmente dannoso per il libero mercato: ciò con la conseguenza che il relativo accordo deve intendersi nullo (il vizio preclude la produzione di effetti giuridici in riferimento a quella specifica pattuizione, così che le parti non potranno ottenere l'attuazione dell'accordo medesimo e sarà, invece, ammessa l'azione per il risarcimento del danno).

I fenomeni potenzialmente pregiudizievoli per la concorrenza, oltre che nelle intese, consistono nell'abuso di posizione dominante e nelle concentrazioni: il potere di vigilanza, di indagine e di ispezione è affidato all'Autorità garante della concorrenza e del mercato, che ha la funzione di adottare pareri su fattispecie rilevanti e il potere di irrogare sanzioni amministrative pecuniarie nelle ipotesi di accertamento di condotte in contrasto con gli obblighi e i divieti posti dalle norme.

Nell'ambito delle garanzie personali in ambito bancario, la norma cardine - in relazione alla tematica in esame - è rappresentata l' art. 2 della legge antitrust , in virtù del quale «1. Sono considerati intese gli accordi e/o le pratiche concordati tra imprese nonché le deliberazioni, anche se adottate ai sensi di disposizioni statutarie o regolamentari, di consorzi, associazioni di imprese ed altri organismi similari; 2. Sono vietate le intese tra imprese che abbiano per oggetto o per effetto di impedire, restringere o falsare in maniera consistente il gioco della concorrenza all'interno del mercato nazionale o in una sua parte rilevante, (...); 3. Le intese vietate sono nulle ad ogni effetto».

In riferimento a tale disposizione si è innescata, infatti, la successione di interventi interpretativi e giurisprudenziali, che ha portato - da ultimo - alla presa di posizione delle Sezioni Unite, che hanno optato per la tesi che sancisce la nullità parziale delle fideiussioni, ponendo il seguente principio di diritto:"i contratti di fideiussione a valle di intese dichiarate parzialmente nulle dall'Autorità Garante, in relazione alle sole clausole contrastanti con la L. n. 287 del 1990, art. 2, comma 2, lett. a) e art. 101 del Trattato sul funzionamento dell'Unione Europea, sono parzialmente nulli, ai sensi dell'art. 2, comma 3 della Legge succitata e dell'art. 1419 c.c., in relazione alle sole clausole che riproducano quelle dello schema unilaterale costituente l'intesa vietata, salvo che sia desumibile dal contratto, o sia altrimenti comprovata, una diversa volontà delle parti".

Il contrasto tra lo schema contrattuale standard di fideiussione e la normativa antitrust era stato, infatti, rilevato inizialmente - nel provvedimento n. 55 del 2 maggio 2005 - dalla Banca d'Italia , in funzione di Autorità garante della concorrenza tra istituti creditizi, in riferimento all'art. 2 (clausola di reviviscenza della fideiussione), all'art. 6 (clausola di deroga all'art. 1957 c.c.) e all'art. 8 (clausola di permanenza del vincolo fideiussorio, in ipotesi di vicende estintive e di nullità dell'obbligazione principale).

Sotto tale profilo, la Banca d'Italia aveva evidenziato come tali clausole fossero già stabilmente inserite negli schemi delle fideiussioni omnibus predisposti dagli istituti di credito, ritenendo che le stesse rappresentassero, in ultima analisi, il risultato di un accordo lesivo della concorrenza, reso concreto proprio dal modello stilato dall'ABI e sottoposto al suo vaglio preventivo.Le tre clausole hanno effettivamente trovato applicazione generalizzata nel sistema di credito bancario: la conseguenza è stata l'imposizione di condizioni non pattuite tra le parti e peggiorative rispetto alle previsioni codicistiche, con l'annullamento di ogni forma di reale contrattazione con il cliente, privo della facoltà di scegliere alternative accettabili.È significativo, a tal proposito, quanto si legge nel provvedimento: «l'istruttoria ha consentito di rilevare come il contenuto dello schema sia sostanzialmente riprodotto nei contratti delle banche interpellate; l'ampia diffusione delle clausole oggetto di verifica non può essere ascritta a un fenomeno "spontaneo" del mercato, ma piuttosto agli effetti di un'intesa esistente tra le banche sul tema della contrattualistica» e, ancora, che «la previsione di talune clausole implicanti oneri aggiuntivi a carico del fideiussore risulta coerente con l'esigenza, presente nell'ordinamento giuridico, di garantire una particolare tutela alle specificità del credito bancario, in considerazione della rilevanza per lo sviluppo economico e sociale dell'attività di concessione di finanziamenti in via professionale e sistematica svolta dalle banche. Tale esigenza viene soddisfatta, nello schema contrattuale predisposto dall'A.B.I., dalla clausola che dispone il pagamento del fideiussore "a prima richiesta" della banca. Le altre clausole oggetto di approfondimento istruttorio non sono risultate altrettanto necessarie alla funzione della garanzia bancaria; in tal senso, la loro diffusione generalizzata potrebbe produrre effetti anticoncorrenziali nella misura in cui inducesse una completa uniformità dei comportamenti delle banche in senso ingiustificatamente sfavorevole alla clientela».

E ancora, con specifico riguardo alla deroga all'art. 1957 c.c., secondo la Banca d'Italia, «essa ha la funzione di esonerare la banca dal proporre e proseguire diligentemente le proprie istanze, nei confronti del debitore e del fideiussore, entro i termini previsti da detta norma. Tale clausola, pertanto, appare suscettibile di arrecare un significativo vantaggio non tanto al debitore in difficoltà - come ritiene l'A.B.I. - quanto piuttosto alla banca creditrice, che in questo modo disporrebbe di un termine molto lungo (coincidente con quello della prescrizione dei suoi diritti verso il garantito) per far valere la garanzia fideiussoria. Ne potrebbe risultare disincentivata la diligenza della banca nel proporre le proprie istanze e conseguentemente sbilanciata la posizione della banca stessa a svantaggio del garante».

Analoghe considerazioni valgono per le clausole aventi ad oggetto la reviviscenza della garanzia dopo l'estinzione del debito principale (artt. 2 e 8 dello schema), che impegnano il fideiussore a tenere indenne la banca da vicende successive all'avvenuto adempimento, anche quando egli abbia confidato nell'estinzione della garanzia, in virtù del pagamento del debitore, e abbia conseguentemente trascurato di tutelare le proprie ragioni di regresso nei confronti di quest'ultimo (art. 1953 c.c.): «Da ciò derivano conseguenze particolarmente pregiudizievoli per il garante quando l'obbligo di restituzione della banca sia determinato dalla declaratoria di inefficacia o dalla revoca dei pagamenti eseguiti dal debitore a seguito di fallimento dello stesso». Il vero punctum dolens, nel corso degli anni, è stato che la giurisprudenza - analizzando l'istituto con sensibilità interpretative differenti - ha individuato percorsi ricostruttivi anche opposti, in special modo per quanto attiene agli effetti della trasposizione delle clausole ABI nei contratti sottoscritti a valle dai garanti.

I vari orientamenti si apprezzano, invero, per la ricchezza di spunti argomentativi e per l'originalità delle soluzioni ermeneutiche di volta in volta adottate, ma non hanno mai consentito di tracciare un unico solco applicativo, ingenerando un conflitto permanente poco funzionale in un settore così delicato come quello delle garanzie nel settore bancario.

Probabilmente venata da un'interpretazione estrema è stata la posizione di chi ha sostenuto che la parte, che abbia subito pregiudizio dalla condotta anticoncorrenziale, potesse beneficiare solo della tutela risarcitoria, ma non di quella "reale", in quanto non si potrebbe configurare l'invalidità dei successivi contratti stipulati a valle, che manterrebbero la loro autonomia: la natura illecita dell'intesa stessa sarebbe degradata a violazione degli obblighi di buona fede precontrattuale, che - appunto - è fonte di obbligazioni risarcitorie ex art. 1337 c.c. (Cassazione, sez. III civ., 11 giugno 2003, n. 9384: "Dalla declaratoria di nullità di una intesa tra imprese per lesione della libera concorrenza, emessa dalla Autorità Antitrust ai sensi dell'art. 2 della legge n. 287 del 1990, non discende automaticamente la nullità di tutti i contratti posti in essere dalle imprese aderenti all'intesa, i quali mantengono la loro validità e possono dar luogo solo ad azione di risarcimento danni nei confronti delle imprese da parte dei clienti").

Condizionata invece da una visione eccessivamente rigida, sotto il profilo sanzionatorio, è stata - esattamente all'opposto - la tesi dell'invalidità derivata dell'intero contratto e non solo delle clausole derivanti dall'intesa anticoncorrenziale, ai sensi dell'art. 1419 c.c. Si è affermato, in questo caso, che il consumatore, se avesse potuto valutare le offerte in un mercato ampiamente concorrenziale, non avrebbe sottoscritto un contratto con clausole illecite, né la banca - dal canto suo - avrebbe mai sottoscritto un contratto senza poter avvalersi delle clausole oggetto dell'intesa restrittiva: "non avrebbe alcun senso affermare la nullità dell'intesa e, allo stesso tempo, la validità dei contratti stipulati in sua esecuzione»: pertanto, al fine di garantire al consumatore la tutela reale, occorre verificare «in quali termini l'illecito concorrenziale travolga il contratto cd. a valle, e segnatamente se non derivi la nullità dell'intero contratto o delle singole clausole in questione" (Corte d'Appello di Bari, 15 gennaio 2020, n. 45).

Tra i due orientamenti estremi, ha trovato spazio - anche, come anticipato, nella scelta finale delle Sezioni Unite - la più ragionevole interpretazione mediana, che ammette la nullità delle singole clausole, già censurate da Banca d'Italia e AGCM, qualora siano state letteralmente riportate nei contratti a valle, in quanto caratterizzate da illiceità del loro oggetto: "Le clausole frutto di intese illecite, favorevoli alla banca, che non incidono sulla struttura e sulla causa del contratto, ovvero non pregiudicano gli interessi in gioco, non possono che comportare una declaratoria di nullità parziale relativa alle dette clausole e giammai una nullità in toto dell'intero contratto (Cass., sez. I civ., 26 settembre 2019, n. 24044)".

Tale impostazione appare, in effetti, la più convincente anche dal punto di vista sistematico: sarebbe, infatti, contrario alla lettera della legge ritenere nulle le intese, ma non - in parte qua - i contratti che a queste direttamente si collegano, depotenziando di fatto l'intera disciplina antitrust.Sotto tale profilo, è fondamentale porre l'accento - come hanno fatto le Sezioni Unite - sul principio del bilanciamento tra libertà di concorrenza e tutela delle situazioni giuridiche dei soggetti diversi dagli imprenditori, nel rispetto dell'art. 41 Cost.

Non è casuale, d'altronde, che la sentenza n. 41994/2021 si distacchi nettamente dalle conclusioni del Procuratore Generale, puntualizzando "che - se le parti ben possono determinare il «contenuto del contratto», ai sensi dell'art. 1322, primo comma, c.c. - esse sono, tuttavia, pur sempre tenute a farlo «nei limiti imposti dalla legge», da intendersi come l'ordinamento giuridico nel suo complesso, comprensivo delle norme di rango costituzionale e sovranazionale (Cass. Sez. U, 24/09/2018, n. 22437)".

In questo senso, diventa fisiologico il riferimento alla disposizione dell'art. 1419 c.c., che esprime il generale favore dell'ordinamento per la conservazione, in quanto possibile, degli atti di autonomia negoziale, pur difformi dallo schema legale, con conseguente carattere eccezionale dell'estensione all'intero contratto della nullità che colpisce la singola clausola.Su questa linea, si è già mossa la più recente giurisprudenza di merito, riconoscendo che "la Suprema Corte, con la recente pronuncia n. 41994/2021, a sezioni unite, nell'ammettere la c.d. tutela reale, cioè la sanzione della nullità, accanto alla tutela meramente risarcitoria per equivalente, per il caso di violazione della disciplina antitrust in questione, ha ritenuto che si configuri qui mera nullità parziale, limitata, cioè, alle sole clausole contrattuali illecite, sul rilievo per cui tale nullità meglio di contempera col principio generale di conservazione del negozio giuridico" (Trib. Milano, sez. XIV, 13 gennaio 2022).

Allo stesso modo, si è ritenuto che "la detta clausola ripropone pedissequamente il testo dell'art. 6 della clausola censurata con l'indicato provvedimento del Garante della concorrenza, sicchè anche essa deve ritenersi affetta dai profili di invalidità riportati nel citato provvedimento, irrilevante la circostanza che la garanzia risulti essere stata rilasciata in data anteriore al 2005, perché espressione di una consolidata prassi bancaria preesistente al rilievo della Banca d'Italia (vedi punto sub 93 del provvedimento 55/2005) e quindi della presenza della modulistica omogenea e corrispondente al modello ABI ancora prima del 2005 e di cui il modello ABI costituisce la sintesi" (Trib. Lecce, 20 gennaio 2022, n. 156).

Il percorso sembra, dunque, stabilizzato almeno sotto tale profilo: occorrerà valutare, tuttavia, in che termini verranno applicati i principi in relazione alla delicata questione dell'onere della prova, dal momento che un orientamento particolarmente rigido ha ritenuto che "Poiché il provvedimento n. 55/2005 della Banca d'Italia vale quale prova privilegiata soltanto con riferimento alle fideiussioni prestate nel periodo di tempo oggetto di esame della Banca medesima, parte attrice è, pertanto, onerata dell'allegazione e della dimostrazione di tutti gli elementi della fattispecie d'illecito concorrenziale dedotto in giudizio, di cui all'art. 2 della legge n. 287/90" (Trib. Milano, cit.).