Penale

Omessa dichiarazione: il prestanome non si salva dalla sanzione penale, rileva anche l'entità evasa

Nota a Corte di Cassazione, Sez. III Pen., Sentenza 19 luglio 2022, n. 28011

di Paolo Comuzzi

L' articolo 5 della normativa penale tributaria stabilisce una pena severa per colui che non presenta la dichiarazione prevista dalla legge e non lo fa allo scopo di evadere le imposte sui redditi o l'IVA; mettiamo in evidenza che si tratta della unica norma che prevede una qualche forma di incriminazione di fronte al fenomeno delle stabili organizzazioni occulte e / o della esterovestizione per questo appare di interesse la decisione 28011/2022 che prende in considerazione una situazione molto specifica riferita ad una società "familiare".

Ovvio che il reato si configura sempre in presenza di un elemento oggettivo (mancata presentazione della dichiarazione) e anche di un elemento soggettivo (dolo specifico) che consiste nello scopo preciso di evadere le imposte dirette e / o l'IVA (il venire meno dell'elemento soggettivo ovviamente comporta il venire meno dei presupposti).

In questa sentenza (19.7.2022 n. 28011) la Corte di Cassazione ha confermato la penale responsabilità, per il delitto di omessa dichiarazione preveduto dall'art. 5 del DLgs. 74/2000, del legale rappresentante e anche socio unico di una srl, confermando la sussistenza del dolo specifico di evasione e tale elemento soggettivo (dolo specifico) viene, in particolare, rinvenuto anche nell'entità dell'evasione stessa, pari a circa 300.000 euro di IVA e a 125.000 euro di Ires per una annualità.

Sempre nella stessa sentenza viene altresì ribadito che l'amministratore risponde del reato omissivo contestatogli quale diretto destinatario degli obblighi di legge, anche se mero prestanome di altri soggetti che abbiano agito quali amministratori di fatto (fermo restando che nel caso di specie non pare vi fossero elementi per giudicare il condannato come un mero prestanome senza alcuna consapevolezza).

Andando nel dettaglio della fattispecie possiamo vedere che nel caso di specie la ricorrente è stata condannata in primo ed in secondo grado e nello specifico "… è stata riconosciuta colpevole … in qualità di legale rappresentante …" per non avere presentato la dichiarazione dei redditi e quella IVA pur avendo un reddito rilevante (almeno 456K euro) ed un debito IVA importante (circa 300K euro)".

Il soggetto condannato ricorre per Cassazione contestando la decisione della Corte di Appello di Milano (che aveva confermato la decisione del tribunale di Como) e il ricorrente contesta la decisione affermando che la Corte di Appello ha errato nel giudicarla colpevole considerato che:
1) il ricorrente era solo un amministratore di "facciata" ma non era il reale dominus degli affari sociali e questa sua posizione condurrebbe ad equiparare la posizione del ricorrente a quella di un amministratore non esecutivo (che non può avere una responsabilità nel caso di specie in cui parliamo di un reato omissivo proprio);
2) vi sono incertezze in merito all'elemento soggettivo del reato;
3) in ogni caso il soggetto ricorrente era da qualificare come un mero prestanome e quindi non avrebbe dovuto vedersi addebitare il fatto di reato (inconsapevolezza dei doveri del ruolo).

La Corte di Cassazione conferma senza esitare la sentenza della Corte di Appello pur non negando i principi espressi dalla difesa [ovvero che i reati tributari sono per gran parte dei reati propri] e nella conferma della decisione impugnata i giudici hanno avuto cura di far notare che i collegio in sede di appello aveva motivato in modo adeguato la decisione di colpevolezza in quanto:
a) con riferimento al punto N.1 di cui sopra non erano emersi elementi pregnanti e tali da consentire l'affermazione secondo cui il ricorrente avesse una qualifica solo formale circa il ruolo di amministratore (anzi avendo egli firmato il bilancio depositato al registro imprese poteva essere evidente la consapevolezza del ruolo);
b) con riferimento al punto N.2 la entità dell'evasione è certamente tale da consentire di affermare la piena consapevolezza del soggetto coinvolto (le cifre sono importanti e la cassazione, come viene indicato in modo chiaro nella sentenza, ha sempre dato rilevanza alla entità della somma coinvolta).

Tornando infine sull'argomento del "prestanome" ovvero sul fatto che l'imputato indica come errata la decisione della Corte di Appello in quanto lo stesso sarebbe stato un mero prestanome e non un reale amministratore la Corte di Cassazione fa proprio la tesi (ormai chiara e consolidata come emerge dai precedenti arresti citati nella decisione che qui si commenta) secondo cui anche il mero prestanome paga il prezzo di una condotta illecita considerato che assumere la carica di amministratore significa farsi carico di doveri di vigilanza e controllo che non vengono certamente meno per il fatto che il soggetto sia qualificabile come un "inetto" immesso in quel ruolo semplicemente per coprire altri ben più scaltri soggetti che restano a vivere nell'ombra.

In conclusione si ha che:
1) il prestanome non si salva dalla sanzione penale in quanto lo stesso nell'assumere la carica di amministrazione è certamente consapevole del ruolo che viene a rivestire ed è complesso sostenere che sia inconsapevole dei doveri (e anche dei diritti) connessi;
2) il prestanome potrebbe a certe condizioni equipararsi all'amministratore non esecutivo ma è una condizione tutta da dimostrare;
3) la consapevolezza dell'elemento soggettivo appare supportabile considerando la entità della imposta che viene evasa.

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