Professione e Mercato

La pubblicità informativa degli avvocati: perchè bisogna discuterne

Fermi restando i principi cardine del nostro codice deontologico (che già da soli, se quotidianamente applicati, dovrebbero costituire sicuro argine alle violazioni), è il caso di prendere atto che la professione deve immergersi nella contemporaneità: non per un'inutile forma di narcisistico autocompiacimento, ma per rendere effettiva quella presenza nella società che è stata da sempre la cifra essenziale dell'avvocatura.

di Antonino La Lumia

La vivace querelle sui premi assegnati annualmente a un certo numero di studi legali (i cc.dd. "Awards") sta tenendo banco ormai da settimane, a seguito di un caso specifico che ha innescato furiose polemiche, sulle quali non intendo tornare.

Non è questo il punto.Il fatto è che la levata di scudi contro queste manifestazioni - ricche di autoreferenzialità tanto da poter divenire invise - ha spostato l'asse di quella riflessione che un'avvocatura matura dovrebbe essere in grado di fare: è oggi possibile - di fronte all'immenso reticolato di mezzi di comunicazione, nel quale viviamo - relegare l'intero tema della pubblicità informativa nella stanzetta buia degli orchi cattivi, senza valutare seriamente come stia cambiando, giorno dopo giorno, la nostra professione?

E, soprattutto, è lungimirante - per una rappresentanza di categoria, che voglia davvero essere tale - continuare semplicemente a spostare in là un tavolo di confronto serio (e scevro da pregiudizi), nel quale discutere anche di comunicazione per gli avvocati?

Nessuno - credo - vuole un sistema di totale deregolamentazione, così come nessuno auspica un'equiparazione sic et simpliciter tra avvocatura e impresa, a maggior ragione per la pubblicità informativa.

Sarebbe una fatale aberrazione.Tuttavia, fermi restando i principi cardine del nostro codice deontologico (che già da soli, se quotidianamente applicati, dovrebbero costituire sicuro argine alle violazioni), è il caso di prendere atto che la professione deve immergersi nella contemporaneità: non per un'inutile forma di narcisistico autocompiacimento, ma per rendere effettiva quella presenza nella società che è stata da sempre la cifra essenziale dell'avvocatura.

Una cosa sono infatti le discutibili premiazioni, altra e ben diversa cosa è dare evidenza alla propria attività professionale in modo corretto e virtuoso, salvaguardando - con forme e contenuti adeguati - l'affidamento di chi riceve il messaggio.

Ecco perché è essenziale condividere le regole di ingaggio e, soprattutto, non cadere nell'estemporaneità del giudizio: pubblicità informativa non significa (e non potrà mai significare) autocelebrazione, né tantomeno suggestione.Vuol dire, al contrario, fornire alla collettività (e, quindi, alla potenziale clientela) informazioni vere e corrette, nei limiti dell'equilibrio e della misura che il ruolo e la funzione impongono.

Alla luce di queste direttrici, varrebbe la pena ragionare al più presto su un intervento riformatore (anche) della disciplina della comunicazione degli avvocati (penso, ad esempio, all'art. 35 del codice), in modo da bilanciare le doverose garanzie deontologiche con le ragionevoli opportunità di adattamento all'evoluzione della società.

L'alternativa - finora ampiamente praticata, senza alcuno spirito di prospettiva - è continuare a mettere la testa sotto la sabbia, cercando, nella migliore delle ipotesi, di fermare il mare con le mani. Ma non è questa la soluzione.

Antonino La Lumia, Presidente nazionale Movimento Forense

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