Penale

La corruzione per l'esercizio della funzione scatta anche se l'atto oggetto dello scambio è lecito

Non è una cortesia ma corruzione per l'esercizio della funzione l'assunzione di una persona segnalata dal consigliere dell'Autorità di vigilanza dei lavori pubblici che ha fatto approvare una delibera a favore della società. Lo ha precisato la sesta sezione penale della Cassazione con la sentenza n. 40344 depositata ieri. I giudici di legittimità hanno accolto il ricorso presentato del Pm contro l'assoluzione di Alfredo Meocci. Il dirigente pubblico, in qualità di consigliere dell'Avcp, aveva fatto approvare una delibera a favore di una società e subito dopo fatto pressioni sulla stessa società per ottenere l'assunzione di una persona. Assunzione che era stata effettuata anche se poi il rapporto di lavoro è durato solo un mese. Sia il tribunale che la corte di Appello di Roma avevano assolto Meocci perché la delibera approvata è risultata legittima e perché l'assunzione sarebbe stata una «lecita cortesia nei confronti di una persona di elevato livello politico istituzionale». Una posizione non condivisa dal procuratore generale che ha fatto ricorso in Cassazione sostenendo che Meocci ha ricevuto dalla società l'assunzione del suo protetto in cambio dell'approvazione della delibera che interessava la società «violando il dovere di correttezza e imparzialità del pubblico ufficiale e così commettendo il reato di corruzione per l'esercizio di funzione».Una ricostruzione condivisa dai magistrati di legittimità che hanno ricordato come la riforma del 2012 ha modificato l'illecito previsto dall'articolo 318 del codice penale e la configurazione del reato «è possibile a prescindere dal fatto che l'esercizio della funzione assuma carattere legittimo o illegittimo, ne è necessario accertare l'esistenza di un nesso tra la dazione indebita e uno specifico atto dell'ufficio». Ora il nucleo centrale della disposizione è «l'esercizio della funzione pubblica, svincolato da ogni connotazione ulteriore e per il quale vige il divieto assoluto di qualsivoglia retribuzione da parte del privato».

Corte di Cassazione – Sezione VI – Sentenza 11 settembre 2018 n. 40344

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