Amministrativo

Interesse al ricorso a fini risarcitori: l'art. 34 CPA e il contrasto interpretativo

Nota a Consiglio di Stato, sez. III, sentenza 7 ottobre 2021, n. 6677

di Andrea De Bonis*


Consiglio di Stato, sez. III, 7 ottobre 2021, n. 6677

L'art.34, comma 3, cod. proc. amm. non può essere interpretato nel senso che, in seguito ad una semplice generica indicazione della parte, il giudice debba verificare la sussistenza di un interesse a fini risarcitori, anche perché, sul piano sistematico, diversamente opinando, perderebbe di senso il principio dell'autonomia dell'azione risarcitoria enucleato dall'art. 30 dello stesso Cod. proc. amm. e verrebbe svalutato anche il principio dispositivo che informa anche il giudizio amministrativo e precludente la mutabilità ex officio del giudizio di annullamento, una volta azionato.
La generica riserva, formulata in sede di gravame, di voler chiedere in un separato giudizio il risarcimento dei danni, del quale non risultano nemmeno preannunciati i relativi fatti costitutivi, non può sorreggere l'interesse all'accertamento della illegittimità del provvedimento impugnato.

Precedente conforme: Consiglio di Stato, sez. III, 4 febbraio 2021 n.1059
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Precedente difforme: Consiglio di Stato, sez. V, 2 luglio 2020, n. 4253
La richiesta d'accertamento dell'illegittimità del provvedimento amministrativo ai fini di successive azioni risarcitorie non configura una nuova domanda "stricto sensu", tant'è che essa è esperibile direttamente in appello ai sensi dell'art. 104, comma 1, Cod. proc. amm. Si tratta di una richiesta, o di una segnalazione d'interesse, volta a stimolare il giudizio di legittimità in funzione d'una eventuale e (anche) successiva azione risarcitoria.
Non occorre ai fini dell'accertamento dell'illegittimità del provvedimento una domanda di risarcimento del danno formulata nell'ambito del medesimo giudizio, essendo ben sufficiente in proposito una mera richiesta di parte, avanzata in ogni tempo, espressiva dell'interesse a un accertamento strumentale alla pretesa risarcitoria (anche futura).

L'interpretazione dell'art. 34, c. 3, c.p.a. nella giurisprudenza amministrativa

L' art. 34, comma 3, del codice prevede che, quando in corso di causa l'annullamento dell'atto impugnato divenga non più utile per il ricorrente, il giudice ne dichiara comunque l'illegittimità, con una pronuncia di mero accertamento, al sussistere di un interesse risarcitorio.
La disposizione recepisce l'indirizzo ermeneutico riconosciuto da consolidata giurisprudenza secondo cui, a fronte della domanda di annullamento inidonea a soddisfare l'interesse in forma specifica, la pronuncia deve limitarsi ad un accertamento dell'illegittimità, senza esito di annullamento, ai soli fini della tutela risarcitoria invocabile con riguardo agli eventuali danni patiti per effetto dell'esecuzione del provvedimento impugnato [ Cons. St., ad. plen., 23 marzo 2011, n. 3 ].
L'art. 34, comma 3, del codice, in esame, ha quindi tipizzato un'ipotesi di azione di accertamento.

Si sono creati diversi filoni di interpretazione giurisprudenziale della norma in esame, che ricostruiscono in maniera differente le interazioni della disposizione che ci occupa con i principi generali del processo.

Numerose pronunce sostengono un'interpretazione particolarmente rigorosa dell'istanza di conversione da azione di annullamento a mero accertamento ex art. 34, comma 3, cod . proc. amm.
Per tale orientamento [ Consiglio di Stato, sez. III, 4 febbraio 2021 n.1059 ], cui dà continuità la sentenza in commento, è necessario che sia già stata introdotta la domanda di risarcimento del danno della situazione lesa.

Il concreto esercizio dell'azione di risarcimento del danno, sia già proposta nello stesso giudizio o in altro separato, è considerato imprescindibile per dare applicazione del precetto contenuto all'art. 34, comma 3, c.p.a.
Tale tesi trova ragione nel principio della domanda e nelle esigenze di economia processuale.

Non si ritiene sufficiente che il giudizio risarcitorio si presenti meramente futuro ed eventuale al momento della decisione, in quanto la parte deve essere già impegnata dalla domanda risarcitoria per sostenere l'interesse alla decisione [TAR Parma, sez. I, 27 giugno 2016, n. 199; TAR Basilicata, I, 18 luglio 2014, n. 481]. Le disposizioni normative che disciplinano l'azione di risarcimento del danno (che può essere proposta insieme alla domanda di annullamento, durante la pendenza del relativo giudizio, ovvero in via autonoma) sono in tal modo coordinate con il principio generale della domanda di cui all'art. 34, co. 1, c.p.a.

L'art. 34, comma 3, cod. proc. amm. deve quindi applicarsi in via restrittiva e soltanto allorquando la domanda risarcitoria sia stata proposta nello stesso giudizio, oppure quando la parte ricorrente dimostri che ha già incardinato un separato giudizio di risarcimento.

Tale elaborazione giurisprudenziale ha ricevuto numerose critiche perché dà luogo ad una interpretazione non testuale della norma, non coerente con i presupposti ivi previsti e con la disciplina dell'azione di risarcimento del danno. Tale azione, come detto, può essere proposta insieme alla domanda di annullamento, durante la pendenza del relativo giudizio, ma non obbligatoriamente, potendo essere proposta in via autonoma successivamente alla decisione definitiva sulla legittimità degli atti.

E' stato sostenuto che tale interpretazione non è conforme al principio di economia dei mezzi processuali (quale corollario della ragionevole durata del processo, art. 2, co. 2, c.p.a.), per cui pur in presenza di una espressa volontà della parte non è resa la dovuta ed utile attività giurisdizionale volta ad accertare la illegittimità o meno dei provvedimenti impugnati. La necessaria introduzione di futura e separata azione di risarcimento danni, che abbia come presupposto lo scrutinio di legittimità dei provvedimenti impugnati, è un aggravio processuale, che si riverbera sul buon uso dei limitati mezzi del sistema. Non attribuisce un significato utile, ma abroga l'inciso "...se sussiste l'interesse ai fini risarcitori" di cui al co. 3 dell'art. 34, in relazione all'obbligo del giudice di dichiarare improcedibile il ricorso se sopravviene il difetto di interesse, ex art. 35, co. 1, lett. c) c.p.a., obbligo che riguarda tutte le domande proponibili davanti al g.a., comprese quelle risarcitorie.

In sostanza, si afferma che la predetta interpretazione restrittiva si presenta come un'interpretazione della norma (art. 34 c.p.a.) che impedisce alla stessa di avere autonoma utilità processuale.

Proprio a partire dal rilievo dell'assenza di autonomia precettiva della disposizione in commento, come interpretata dal riferito indirizzo giurisprudenziale, si è sviluppata una differente tesi che afferma essere onere dell'interessato (a fronte di sopravvenienze fattuali che abbiano eliminato l'interesse all'azione di annullamento) dichiarare la sussistenza dell'interesse a fini risarcitori. Tale allegazione deve essere sufficientemente specifica [ TAR L'Aquila, sez. I, 04/05/2018, n. 181 ].

L'onere può essere assolto mediante una memoria depositata nel fascicolo processuale, ovvero con prospettazione orale nel corso della discussione della causa all'udienza pubblica, anche in grado di appello.
L'interesse ad ottenere l'accertamento circa l'illegittimità degli atti impugnati deve essere sorretto da una motivazione seria e favorevolmente apprezzabile.

In mancanza dell'assolvimento dell'onere, il giudice resta autorizzato a dichiarare l'improcedibilità del ricorso.

Con l'ulteriore precisazione che, entro questa soluzione, resta comunque riservato al giudice uno spazio decisionale proprio, nella formazione del suo libero convincimento, a seconda che ci si trovi di fronte ad una domanda totalmente generica, ovvero a una domanda fornita di un'adeguata motivazione.

Il Consiglio di Stato ha spesso sostenuto – come nel precedente difforme indicato - la sufficienza dell'onere di allegazione dell'interesse ad ottenere l'accertamento, essendo sufficiente la mera proposizione di una istanza a tal fine [A partire da Cons. St., IV, 28 dicembre 2012, n. 6703 è stato affermato che "se è vero che, con l'accertamento dell'illegittimità degli atti impugnati ai soli fini del risarcimento, il giudice non si esprime sul fumus boni iuris della susseguente azione di danni, a lui spetta comunque valutare almeno la sussistenza dell'interesse ai fini risarcitori, in difetto del quale la declaratoria di illegittimità correrebbe il rischio di rimanere meramente astratta. Pertanto è ragionevole ritenere che, proprio a evitare un possibile inutile esercizio della funzione giurisdizionale, il ricorrente abbia almeno l'onere di allegare compiutamente i presupposti per la successiva proposizione dell'azione risarcitoria, a partire ovviamente dal danno sofferto"].

Anche la richiesta orale per una decisione nel merito, formulata in sede di discussione, è considerata una valida manifestazione di interesse e tale da legittimare l'accertamento incidentale ai sensi dell'articolo 34 c.p.a.

Questa impostazione ha ricevuto numerose critiche. Ciò perché, in mancanza di un'esplicita ed argomentata domanda risarcitoria, il futuro giudizio per l'accertamento del danno e per la sua commisurazione resterebbe una circostanza del tutto ipotetica. Si è infatti detto che la decisione di merito di una simile causa interverrà anche quando l'interesse della parte è solo presunto, meramente ipotetico o comunque non pienamente dimostrato nella sua esistenza. Ne seguirebbe, dunque, il cattivo uso delle limitate risorse del sistema giudiziario.

Entrambi gli indirizzi giurisprudenziali in commento presentano dei limiti.


L'orientamento interpretativo particolarmente restrittivo, sostenuto dalla sentenza in commento, non si manifesta particolarmente condivisibile, in quanto impone di accedere ad una pronuncia di improcedibilità per sopravvenuta carenza di interesse all'annullamento se non è stata introdotta specifica domanda risarcitoria.

In particolare, non si condivide la conclusione per cui la mera segnalazione d'interesse al futuro risarcimento non consente l'accertamento dell'illegittimità del provvedimento impugnato (accertamento che sarebbe consentito solo ove il ricorrente introducesse specifica domanda risarcitoria).

Tale indirizzo pare interporre un requisito non richiesto dalla norma per la pronuncia di mero accertamento dell'illegittimità dei provvedimenti dell'amministrazione.

Pare convincente l'argomento per il quale ove l'art. 34, comma 3, cod. proc. amm. fosse da interpretarsi nel senso che la domanda di annullamento debba essere obbligatoriamente cumulata con la domanda risarcitoria, nessuna utilità avrebbe la disposizione, in quanto la pronuncia di accertamento sarebbe ricompresa nella domanda di risarcimento del danno e l'obbligo di pronunciarsi su quella deriverebbe dai principi generali del processo.

Al fine di interpretare la disposizione nel senso che abbia una sua autonoma portata, l'unico significato attribuibile è nel senso di affermare che quando sia stato proposto unicamente un ricorso per l'annullamento e questo divenga improcedibile per sopravvenuta carenza di interesse, ciò potrà consentire la pronuncia di illegittimità del provvedimento, ove sussista e sia segnalato l'interesse risarcitorio.

E' ragionevole sostenere che la norma abbia effetti proprio laddove non sia stata ritualmente proposta la domanda risarcitoria.

Si condivide la posizione espressa dal Consiglio di Stato nel precedente difforme indicato, per il quale l'argomentata ed esplicita istanza di parte è sufficiente a rendere delineato l'interesse risarcitorio.

Tuttavia, la norma, nella sua formulazione letterale, non è in grado di selezionare tra ricorsi inutili, dove il meccanismo di conversione sia attivato solo per motivi di salvezza, e ricorsi dove è effettivo l'interesse risarcitorio.

Una interpretazione della norma orientata al rispetto del principio del giusto processo non potrà che unire il rispetto del dato testuale con la coerenza con il sistema processuale amministrativo.

Quindi i principi della domanda, del contraddittorio, dell'interesse devono trovare simultanea applicazione nell'interpretazione di una norma senza dubbio innovativa del processo amministrativo.

Il giudice, in ultima analisi, potrà valutare le circostanze in punto di fatto allegate dal ricorrente con l'istanza (o rappresentate anche oralmente fino all'udienza di discussione) e compiere una valutazione della serietà delle ragioni rappresentate per convincersi dell'esistenza dell'interesse risarcitorio.

Tale valutazione, che non pare possa spingersi sino ad analizzare i presupposti per il concreto accoglimento della domanda risarcitoria, è necessaria per impedire la decisione di ricorsi manifestamente privi di ogni utilità.
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*A cura dell'Avv. Andrea De Bonis, Studio legale de Bonis, Partner 24 ORE Avvocati

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