Famiglia

Famiglia e successioni: il punto sulla giurisprudenza dei giudici di merito

La selezione delle pronunce di merito in tema di diritto di famiglia e delle successioni del 2022

di Valeria Cianciolo

Si segnalano in questa sede i depositi della giurisprudenza di merito in materia di diritto di famiglia e delle successioni. Le pronunce in particolare, si sono soffermate sulle seguenti tematiche o questioni:

1) Maltrattamenti in famiglia e lesioni

2) Separazione e revoca dell’assegno di mantenimento

3) Separazione e risarcimento del danno endofamiliare

4) Ripartizione della pensione di reversibilità

5) Donazione nulla per mancanza di causa e quotina

 

1. MALTRATTAMENTI IN FAMIGLIA E LESIONI – Imputabile per maltrattamenti e lesioni il marito alcoolista (Cp artt. 89, 133, 183, 582, 585, 576 n. 5), 577 n. 1) e 61 n. 11 quinquies)
La “dipendenza da alcool" non si colloca tra le alterazioni patologiche idonee ad escludere totalmente la capacità di intendere e di volere.
Pertanto, risponde dei reati di maltrattamenti e lesioni con l’aggravante di aver commesso tali fatti al cospetto dei figli minorenni, l’uomo che è affetto da sindrome di dipendenza alcolica.
(Nel caso in esame, in un’occasione il marito con l'ausilio di un ferro da barbecue, aveva procurato alla moglie lesioni consistite in trauma cranio facciale con frattura delle ossa nasali, mentre in un'altra circostanza l’aveva insultata ripetutamente al cospetto dei figli, picchiandola selvaggiamente con calci e pugni.).
Tribunale Pescara, sentenza 25 gennaio 2022, n. 3202
– Pres. Villani, Giud. Rel. Valente

NOTA

Per espressa previsione legislativa il reato di maltrattamenti non può concorrere con quello di abuso dei mezzi di correzione dal momento che l'art. 572 c.p. si apre con la clausola di esclusione "fuori dai casi previsti nell'articolo precedente". Sono assorbiti nel reato di cui all'art. 572 i reati minori che generalmente lo accompagnano, quali ingiurie e percosse (Cass. pen., sez. V, 14 maggio 2010, n. 22790), mentre il reato de quo concorre con quello di lesioni personali volontarie lievi essendo diverso l'oggetto di tutela dei due reati (Cass. pen., sez. V, 17 marzo 2010, n. 24688). Quanto alle lesioni gravi esse costituiscono circostanza aggravante: infatti, il comma 2 prevede - sempre come circostanza aggravante - anche il caso di lesioni gravissime e di morte della persona offesa. Affinchè si possa parlare di reato di maltrattamenti nella forma aggravata è necessario, che la lesione o la morte siano conseguenza non voluta del reato di maltrattamenti. Diversamente, qualora l'agente abbia voluto e cercato la lesione o la morte, il reato di maltrattamenti concorrerà con quelli previsti dall'art. 583 o dall'art. 575 c.p. In sostanza, il comma 2 dell'art. 572 contempla un'ipotesi speciale di reato preterintenzionale. Pertanto, nel caso in cui il reo non poteva non prefigurarsi la morte della vittima come conseguenza della sua azione od omissione, non è stata applicata l'aggravante di cui al comma 2 dell'art. 572 e la condotta tenuta dall'agente è stata qualificata come omicidio volontario (Cass. pen., sez. I, 14 maggio 2008, n. 21329).

 

2. SEPARAZIONE E REVOCA DELL’ASSEGNO DI MANTENIMENTO – Revocato l’assegno di mantenimento alla moglie che ha una famiglia di fatto e alla figlia con lavoro a tempo indeterminato
Il diritto del coniuge separato di ottenere un assegno per il mantenimento del figlio maggiorenne convivente è da escludere quando quest'ultimo abbia iniziato ad espletare un'attività lavorativa, così dimostrando il raggiungimento di una adeguata capacità e determinando la cessazione del corrispondente obbligo di mantenimento ad opera del genitore.E’ rilevante la convivenza instaurata dal coniuge separato, al fine della revoca del provvedimento con cui è stato disposto a suo favore l'assegno, sempre che non si tratti di occasionali rapporti, ma di situazione dotata di sufficiente grado di stabilità e certezza.
Tribunale Alessandria, sentenza 26 gennaio 2022, n. 56 – Pres. Marozzo, Giud. Rel. Bersani

NOTA

Il dovere di mantenimento non cessa con il compimento della maggiore età da parte del figlio, bensì nel diverso momento in cui il figlio consegue l’autosufficienza economica. Tale principio è stato consacrato dal legislatore della riforma del 2006, all’art. 337-septies c.c. che sancisce: “il giudice, valutate le circostanze, può disporre in favore dei figli maggiorenni non indipendenti economicamente, il pagamento di un assegno periodico.”

La giurisprudenza ritiene autosufficiente:

— il figlio che si sia rifiutato di lavorare presso l’impresa del padre (Cass. 3 febbraio 2014, n. 2236);

— il figlio titolare di un contratto di formazione specialistica pluriennale (Cass. 22 maggio 2014, n. 11414; cfr. anche Cass. 9 maggio 2013, n. 11020);

— il figlio che abbia un lavoro conforme al livello di professionalità conseguito e che gli consenta il soddisfacimento delle sue primarie esigenze (Cass. 23 gennaio 1996, n. 496).

Quanto al riconoscimento di un assegno di mantenimento a favore del coniuge, questa presuppone una duplice condizione: la non addebitabilità della separazione al coniuge istante e l’indisponibilità di adeguati redditi propri. L'instaurazione da parte del coniuge separato di una convivenza more uxorio che, caratterizzandosi per i connotati della stabilità, continuità e regolarità, dia luogo alla formazione di una famiglia di fatto, rescindendo ogni connessione con il tenore ed il modello di vita caratterizzanti la pregressa fase di convivenza matrimoniale, fa venire definitivamente meno ogni presupposto per la riconoscibilità a suo favore dell'assegno di separazione.

Nel caso in esame, il Tribunale ritenuta pacifica la sussistenza di una "famiglia di fatto" formata dall'ex moglie con il nuovo compagno dal quale ha avuto un figlio., ha accolto il ricorso proposto dall'ex marito, essendo insussistenti i presupposti per il riconoscimento di un assegno divorzile in favore della donna. Bisogna però fare una riflessione.

Se si accede alla tesi fatta propria dal Tribunale che ha seguito l’orientamento della giurisprudenza di legittimità, il coniuge solo separato rischierebbe di rimanere sfornito di ogni forma di assistenza in caso di cessazione della convivenza more uxorio, salvo che i conviventi abbiano stipulato specifici accordi al riguardo. Il secondo punto riguarda, invece, le difficoltà connesse all'accertamento della "famiglia di fatto" dai contorni non sempre facilmente individuabili, specialmente quando non vi sono figli.

 

3. SEPARAZIONE E RISARCIMENTO DEL DANNO ENDOFAMILIARE - Esclusa l'autonomia della domanda del risarcimento del danno morale ed esistenziale rispetto alla separazione giudiziale (Cc art. 2059)
L'accertamento che non vi è stata violazione dei doveri nascenti dal matrimonio o che l'inosservanza di essi si è innestata in un rapporto già esaurito, esclude alla radice la sussistenza del danno ingiusto sul quale si fonda la pretesa risarcitoria.
Tribunale Lecce, sentenza, 20 gennaio 2022, n. 135 - Giud. Barbetta

NOTA

La giurisprudenza di legittimità ha da tempo chiarito la nozione di illecito endofamiliare (cfr. Cass. 22 novembre 2013, n. 26205; Cass. 10 aprile 2012, n. 5652 e Cass. 15 settembre 2011, n. 18853). Il danno endofamiliare va riconosciuto nel pieno rispetto dei principii relativi al danno conseguenza, tenendo conto delle risultanze probatorie acquisite, secondo un’interpretazione costituzionalmente orientata dell’art. 2059 c.c. Pertanto, è risarcibile il pregiudizio di natura non patrimoniale, quando il fatto illecito abbia violato in modo grave diritti inviolabili della persona, come tali oggetto di tutela costituzionale, come ad esempio, il disinteresse dimostrato da un genitore nei confronti di un figlio, manifestatosi per lunghi anni e connotato, quindi, dalla violazione degli obblighi di mantenimento, istruzione ed educazione. Come è noto, la domanda di risarcimento dei danni da illecito endofamiliare e la domanda di separazione personale sono soggette a riti processuali diversi e solo parzialmente connesse per causa petendi, pertanto, di regola non sono cumulabili nel medesimo giudizio. La mancanza di connessione qualificata può essere eccepita dalle parti o rilevata dal giudice non oltre la prima udienza: in caso contrario, è ammissibile la simultanea trattazione delle due domande nel medesimo giudizio .

“Su tale base, la violazione dei relativi doveri non trova la sua sanzione, necessariamente e soltanto, nelle misure tipiche previste dal diritto di famiglia. La natura giuridica di tali obblighi, infatti, comporta che la relativa violazione, nell’ipotesi in cui provochi la lesione di diritti costituzionalmente protetti, possa integrare gli estremi dell’illecito civile e dare luogo ad un’autonoma azione volta al risarcimento dei danni non patrimoniali ai sensi dell’art. 2059 c.c., come reinterpretato alla luce dei principi enucleatati dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione nella nota decisione dell’11 novembre 2008 n. 26972” (Trib. Rimini, 3 febbraio 2018). In caso di separazione consensuale omologata, la giurisprudenza ha affermato che “in tema di domanda di risarcimento del danno endofamiliare successiva alla sentenza di divorzio, il danno non patrimoniale in tanto può essere invocato in quanto sia stato conseguenza della separazione coniugale posto che l’illecito si consuma all’interno del rapporto matrimoniale, che, quand’anche non avente natura meramente contrattuale, è pur sempre il vincolo da quale discendono gli specifici obblighi e diritti reciproci in capo ai contraenti: l’assenza di una pronuncia di addebito nel decreto di omologa, che costituisce, in base ai principi della responsabilità aquiliana, il presupposto cui agganciare la richiesta risarcitoria, esclude pertanto il fondamento della pretesa risarcitoria” (Trib. Roma, 25 giugno 2015).

 

4. RIPARTIZIONE DELLA PENSIONE DI REVERSIBILITÀ – Criteri di ripartizione della pensione di reversibilità fra ex coniuge e coniuge superstite (art. 9 Legge 1 dicembre 1970 n. 898)
In presenza di un coniuge superstite avente i requisiti per la pensione di reversibilità, il diritto del coniuge divorziato ad una quota del trattamento di reversibilità, ai sensi della L. n. 898 del 1970, art. 9, comma 3 nel testo novellato dalla L. n. 74 del 1987, art. 13 dell’ex coniuge deceduto non costituisce soltanto un diritto vantato nei confronti del coniuge superstite avente - in quanto tale - natura e funzione di prosecuzione del precedente assegno di divorzio, ma costituisce un autonomo diritto (di natura previdenziale, al pari di quel diritto che si configura, invece, ai sensi del comma 2 del citato art. 9, allorché manchi un coniuge superstite il quale abbia i requisiti per la pensione di reversibilità) al trattamento di reversibilità, che l’ordinamento attribuisce al medesimo coniuge superstite, con la sola peculiarità per cui tale diritto è limitato, quantitativamente, dall’omologo diritto spettante all’anzidetto coniuge superstite. Onde sia il coniuge divorziato sia il coniuge superstite sono titolari di un proprio diritto all’unico trattamento di reversibilità.

Tribunale di Modena, sentenza 11 febbraio 2022 – Pres. Di Pasquale, Rel. Bolondi

NOTA

Il diritto dell’ex coniuge superstite alla pensione di riversibilità non è la continuazione, mutato debitore, del diritto all’assegno di divorzio precedentemente percepito dal coniuge defunto, ma è un diritto nuovo di natura previdenziale. La pensione di reversibilità del coniuge defunto va ripartita tra il coniuge superstite e il coniuge divorziato, in base ad una serie di criteri che sono la durata del matrimonio, tenendo conto della durata dell’eventuale convivenza more uxorio trascorsa dalle due mogli superstiti con l’uomo titolare della stessa pensione oggetto di reversibilità; l’entità dell’assegno di mantenimento riconosciuto all’ex coniuge e le condizioni economiche delle due aventi diritto. Si ricorda che la Corte di cassazione, ordinanza 29 ottobre 2021, n. 30750, ha  rimesso gli atti al Primo Presidente per l'eventuale assegnazione alle Sezioni Unite civili sul quesito concernente il fatto, se il coniuge divorziato abbia o meno diritto alla pensione di reversibilità, o ad una sua quota, quando il diritto all'assegno divorzile non venga riconosciuto giudizialmente (sia nella sua esistenza, sia nel suo ammontare), per la sopravvenuta morte del coniuge obbligato, pur essendo passata in giudicato la statuizione sullo status di divorziato assunta con sentenza non definitiva, non senza tacere degli ulteriori risvolti in tema di legittimazione processuale e sostanziale dell'altro coniuge e degli eredi del coniuge deceduto e di riassunzione del processo nei loro confronti .

 

5. DONAZIONE NULLA E QUOTINA - Donazione nulla per mancanza di causa, se il bene donato non appartiene al patrimonio della donante (Cc artt. 477, 757, 765, 1372, 1542)
La donazione è un negozio giuridico valido ed efficace a condizione che il bene si trovi nel patrimonio del donante al momento della stipula del contratto. Nel caso in cui la cosa non appartenga al donante, questi deve assumere espressamente e formalmente nell’atto l’obbligazione di procurare l’acquisto dal terzo al donatario. Dunque, la donazione di bene altrui vale come donazione obbligatoria di dare purché l’altruità sia conosciuta dal donante e tale consapevolezza risulti da un’apposita espressa affermazione nell’atto pubblico. Nel caso in cui, invece, l’altruità del bene donato non risulti dal titolo e non sia nota alle parti, il contratto non potrà produrre effetti obbligatori né potrà applicarsi la disciplina della vendita di cosa altrui. È nulla la donazione di beni che il donante ritenga, per errore, suoi, determinando, la mancata conoscenza dell’altruità, l’impossibilità assoluta di realizzazione del programma negoziale e, quindi, la carenza della causa donativa.
Tribunale di Bologna, ordinanza 5 gennaio 2022 – Giud. Est. Arceri

NOTA

La c.d. quotina è il diritto alla quota di un bene ricompreso nella comunione ereditaria indivisa. E’ questo un argomento da sempre dibattuto, soprattutto a seguito della pronuncia delle S.U. della Cassazione (Cass. Civ., SS.UU., 15 marzo 2016, n. 5068): è infatti, la disposizione del diritto sulla singola quota di un bene che offre spazio a dubbi interpretativi.

Fra l’apertura della successione e l’apporzionamento divisorio, i coeredi non possono godere liberamente dei beni ricompresi nella massa ereditaria, né possono disporre dei medesimi in favore di terzi (ad esempio, con la volontà di donare uno dei beni ad un figlio).

La dottrina e la giurisprudenza prevalente non riconoscono efficacia immediata all’atto dispositivo della “quotina”, sebbene nella prassi venga utilizzata una condizione sospensiva per realizzare un’alienazione condizionata all’esito divisionale. Il coerede, quindi, pur essendo titolare dei diritti sui singoli beni, non potrebbe disporne efficacemente (salvo che la comunione ereditaria abbia ad oggetto un unico cespite), con la conseguenza che l’atto dispositivo effettuato risulterebbe subordinato all’assegnazione del bene in sede di divisione.

L’efficacia differita dell’atto non dipenderebbe dal fatto che il disponente, titolare delle rispettive “quotine” dei beni, non sia legittimato, bensì dai caratteri della comunione ereditaria e dall’universalità della sua correlata divisione per effetto degli artt. 726 e 727 c.c., rispetto alla quale sono ravvisabili una serie di disposizioni che ne sanciscono l’omogeneità quantitativa e qualitativa delle porzioni.

La sentenza delle SU del 2016 sopra richiamata ed applicabile al caso prospettato al Tribunale felsineo, fa riferimento ad una donazione di beni parzialmente altrui perché appartenenti pro indiviso a più comproprietari e donati per la quota di astratta spettanza da uno dei coeredi.

Per saperne di piùRiproduzione riservata ©