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Avvocato generale, direttiva sui servizi per azioni disciplinari verso i legali se esito incide sull'assistenza ai clienti

I giudici nazionali sono tenuti a prescindere dalle disposizioni di diritto nazionale all'applicazione delle norme comunitarie

La direttiva sui servizi si applica ai procedimenti disciplinari promossi nei confronti di avvocati, il cui esito possa incidere sulla capacità di tali avvocati di continuare a prestare servizi legali. Lo ha affermato nelle sue conclusioni depositate il 17 giugno 2021 l'Avvocato generale Michal Bobek in relazione a un caso polacco (causa C 55/20 - Ministerstwo Sprawiedliwości).

La vicenda
Se condo quando si apprende da una comunicato della Corte di giustizia «Nel luglio 2017 il Prokurator Krajowy – Pierwszy Zastępca Prokuratora Generalnego (procuratore nazionale – primo vice procuratore generale) (in prosieguo: il «procuratore nazionale») ha chiesto al Rzecznik Dyscyplinarny Izby Adwokackiej w Warszawie (delegato alla disciplina presso l’Ordine degli avvocati di Varsavia; in prosieguo: il «delegato alla disciplina») di avviare un procedimento disciplinare nei confronti di R.G., avvocato dell’ex presidente del Consiglio europeo, Donald Tusk. Secondo il procuratore nazionale, le dichiarazioni di tale avvocato, rese mentre commentava pubblicamente la possibilità che il suo cliente fosse accusato di un reato, costituivano minacce e illeciti disciplinari. Per due volte, il delegato alla disciplina ha rifiutato di avviare detto procedimento o ha deciso di archiviarlo. In due occasioni, il Sąd Dyscyplinarny Izby Adwokackiej w Warszawie (Tribunale disciplinare dell’Ordine degli avvocati di Varsavia), a seguito di un ricorso proposto dal procuratore nazionale o dal Ministro della Giustizia, ha annullato tali decisioni e rinviato la causa al delegato alla disciplina.

Nel contesto di una terza «fase» di tale procedimento, nel corso della quale il Tribunale disciplinare dell’Ordine degli avvocati di Varsavia (in prosieguo: il «Tribunale disciplinare») è incaricato di esaminare la decisione del delegato alla disciplina di archiviare nuovamente l’indagine disciplinare nei confronti di tale avvocato, a seguito di una nuova impugnazione proposta dal procuratore nazionale e dal Ministro della Giustizia, tale giudice chiede se la direttiva 2006/123/CE (in prosieguo: la «direttiva sui servizi»)  e l’articolo 47  della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (in prosieguo: la «Carta») siano applicabili al procedimento disciplinare pendente dinanzi ad esso».

La posizione dell'Avvocato generale
«Nelle sue conclusioni odierne - si legge nel comunicato della Corte Ue - l’avvocato generale Michal Bobek esamina, in primo luogo, la questione se il Tribunale disciplinare sia una «giurisdizione» ai sensi dell’articolo 267 TFUE. Egli ricorda che, per valutare se l’organo remittente sia una «giurisdizione» ai sensi dell’articolo 267 TFUE, la Corte tiene conto dei seguenti elementi: l’origine legale dell’organo; il suo carattere permanente; l’obbligatorietà della sua giurisdizione; la natura contraddittoria del procedimento; il fatto che l’organo applichi norme giuridiche; il fatto che sia indipendente. L’avvocato generale sottolinea che il Tribunale disciplinare è stato istituito dalla legge polacca sull’ordinamento della professione forense; ha carattere permanente; applica le norme procedurali previste dalla legge sull’ordinamento della professione forense e dal codice di procedura penale; le sue decisioni sono vincolanti ed esecutive. Inoltre, risulta che il Tribunale disciplinare sia dotato di una competenza obbligatoria per quanto concerne le controversie disciplinari ad esso affidate dal diritto nazionale. In aggiunta a ciò, non vi è alcun dubbio che il procedimento principale abbia natura contraddittoria. Del pari, non risulta che il Tribunale disciplinare manchi di indipendenza (esterna o interna), così da non poter adire la Corte in via pregiudiziale. Pertanto, il giudice del rinvio è una «giurisdizione» ai fini dell’articolo 267 TFUE.

L’avvocato generale esamina poi la questione se la direttiva sui servizi sia applicabile ai procedimenti concernenti la responsabilità disciplinare degli avvocati e conclude in senso affermativo. Così come l’iscrizione all’ordine degli avvocati ai fini dell’autorizzazione all’esercizio della professione costituisce un regime di autorizzazione ai sensi di tale direttiva, anche i procedimenti disciplinari costituiscono una componente di detto regime. Egli sottolinea che la prestazione di servizi di consulenza legale rientra nell’ambito di applicazione della direttiva. Infatti, la rappresentanza in giudizio costituisce indubbiamente un tipo specifico di servizio, la cui prestazione, in ragione della sua importanza ai fini di una buona amministrazione della giustizia, è disciplinata minuziosamente e soggetta a specifiche norme deontologiche. Resta il fatto che, benché sia sottoposta a norme specifiche, la rappresentanza legale è un servizio ai sensi della direttiva sui servizi. Pertanto, anche i procedimenti disciplinari nei confronti degli avvocati iscritti rientrano nel regime poiché, in esito a tali procedimenti, gli avvocati possono essere sospesi o radiati e può essere loro impedita la reiscrizione per un periodo di dieci anni. Tali misure costituiscono una revoca dell’autorizzazione ai fini dell’articolo 10, paragrafo 6, della direttiva sui servizi. Inoltre, nella misura in cui la direttiva sui servizi è applicabile, al caso di cui trattasi si applica anche, in linea di principio, la Carta, compreso il suo articolo 47. Ciò significa che il giudice del rinvio è tenuto ad applicare l’articolo 47 della Carta nell’ambito del procedimento dinanzi ad esso pendente.

In seguito, l’avvocato generale Bobek esamina i poteri dei giudici nazionali nel garantire il rispetto del diritto dell’Unione e rileva che, a seguito di un mutamento di giurisprudenza, l’Izba Dyscyplinarna Sądu Najwyższego (Sezione disciplinare della Corte suprema) ha riconosciuto, di fatto, al procuratore generale/Ministro della Giustizia, la competenza a proporre ricorsi per cassazione avverso le decisioni del delegato alla disciplina che archiviano procedimenti disciplinari e, indirettamente, a sé stessa, la competenza a conoscere di tali ricorsi. Secondo l’avvocato generale, ricorrendo sistematicamente o ripetutamente avverso le decisioni di non avviare procedimenti disciplinari, il Ministro della Giustizia/procuratore generale (o il procuratore nazionale che agisce secondo le sue istruzioni) potrebbe, di fatto, esercitare pressioni ai fini dell’instaurazione di un procedimento disciplinare o della sua continuazione (eventualmente all’infinito) nei confronti di determinati membri dell’ordine degli avvocati. Tali ricorsi sarebbero proposti, in definitiva, dinanzi a un organo già ritenuto privo di indipendenza, proprio perché il potere esecutivo, e in particolare il Ministro della Giustizia, esercita un’indebita influenza sulla sua composizione.

L’avvocato generale ricorda che è incompatibile con il diritto dell’Unione qualsiasi disposizione giuridica nazionale o qualsiasi prassi legislativa, amministrativa o giudiziaria che porti ad una riduzione della concreta efficacia del diritto dell’Unione. Il Tribunale disciplinare può interpretare le norme nazionali in modo conforme al diritto dell’Unione o, se del caso, disapplicare le disposizioni nazionali che gli impediscono di garantirne il rispetto. Analogamente, per quanto riguarda i pareri giuridici o le decisioni di giudici di grado superiore, il giudice nazionale è tenuto a prescindere, se del caso, dalle pronunce di un organo giurisdizionale di grado superiore qualora non le ritenga conformi al diritto dell’Unione. Tuttavia, il Tribunale disciplinare dell’Ordine degli avvocati di Varsavia non può astenersi dall’esaminare la causa di cui è attualmente investito al fine di bloccare l’eventuale ulteriore ricorso per cassazione alla Sezione disciplinare della Corte suprema. Anche nel caso in cui il «livello successivo» all’interno di una gerarchia giudiziaria non soddisfi più il criterio di un ricorso effettivo, è assai arduo interpretare l’articolo 47 della Carta nel senso che produce un effetto a cascata sul livello inferiore, impedendo del tutto l’adozione di una decisione.

Infine, l’avvocato generale riconosce che il procedimento di rinvio pregiudiziale potrebbe non essere lo strumento ideale per affrontare situazioni sostanzialmente patologiche all’interno di uno Stato membro, nel quale le regole ordinarie di adesione al diritto e di correttezza dei rapporti sembrano degradarsi. I ricorsi per inadempimento costituiscono un rimedio molto più adeguato per risolvere situazioni di stallo istituzionale in un contesto in cui uno o più attori si rifiutano di conformarsi alle pronunce della Corte».

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