Penale

Limite al rinnovo delle testimonianze

di Giovanni Negri

Non devono essere ripetute tutte le dichiarazioni, ma solo quelle decisive. Però, l’obbligo riguarda anche i giudizi celebrati con rito abbreviato. Sono queste le conclusioni cui è arrivata la Corte d’appello di Palermo in uno dei procedimenti sulla, asserita, “trattativa Stato-Mafia”, quello che vede sul banco degli imputati Calogero Mannino.

Il provvedimento, ordinanza dell’8 febbraio, rappresenta una delle prime interpretazioni della nuova norma introdotta nell’agosto scorso dalla riforma del processo penale, la legge n. 103 del 2017, con la quale, tra l’altro, è stato introdotto un comma 3-bis nell’articolo 603 del Codice di procedura penale. Si prevede ora che «nel caso di appello del pubblico ministero contro una sentenza di proscioglimento per motivi attinenti alla valutazione della prova dichiarativa, il giudice dispone la rinnovazione dell’istruzione dibattimentale».

Mannino è stato assolto in primo grado, dopo un processo svoltosi con rito abbreviato, e il giudizio, su impugnazione della procura, è appunto in corso davanti alla Corte d’appello siciliana.

Quest’ultima, dopo aver ritenuto che la norma si applica anche ai processi in corso, vista la sua natura processuale, sottolinea che non tutte le prove dichiarative vanno rinnovate, ma solo quelle la cui valutazione effettuata dai giudici di primo grado sono contestate nell’atto di appello e hanno carattere decisivo, «ossia di prova la cui valutazione abbia condotto il primo giudicante alla pronuncia assolutoria e che, nella logica dell’impugnante, risulti decisiva per il ribaltamento della pronuncia assolutoria».

In questa prospettiva allora, il giudice di appello non è chiamato a un’anticipazione del verdetto di merito, ma a una semplice considerazione sulla natura decisiva della prova di cui si chiede la riassunzione.

A venire contestata era poi l’applicabilità della riforma al procedimento svolto con rito abbreviato, sostenendo che dove non è neppure prevista un’istruttoria in primo grado, a maggior ragione una sua rinnovazione non dovrebbe essere possibile in appello. Tuttavia la valutazione della Corte d’appello di Palermo è di tenere diverso emette in evidenza come il giudizio abbreviato è solo tendenzialmente “a prova contratta” e non c’è limite ai poteri integrativi del giudice quando non può decidere allo stato degli atti.

Del resto milita a favore di questa conclusione anche la recente giurisprudenza della Corte di cassazione che, come attestato dalla sentenza delle Sezioni unite n. 18620 del 2017, ha dato il via libera alla rinnovazione della dell’istruzione dibattimentale in appello, dopo assoluzione in primo grado e successiva impugnazione, anche al giudizio dibattimentale, nel nome del principio del raggiungimento di una convinzione «al di là di ogni ragionevole dubbio».

E, quanto alle questioni di legittimità costituzionale, la Corte d’appello di Palermo (a differenza di quella di Trento, che ha rinviato la norma alla Consulta lo scorso 20 dicembre), ritiene invece che debbano essere respinte. Non esiste, tra l’altro, un profilo di contrasto con il diritto costituzionale di difesa, visto che la scelta del rito abbreviato non può, neppure in primo, impedire al giudice di procedere all’attività d’ufficio di integrazione del materiale istruttorio da parte del Gup quando necessaria per la decisione.

Come pure non c’è frizione con l’articolo 111 della Costituzione sotto il profilo della ragionevole durata del processo: la ricerca della verità da parte del giudice non può essere totalmente paralizzata da una strategia difensiva.

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