Comunitario e Internazionale

Guerra e contratti, le clausole di hardship e indicizzazione possono salvare l’accordo

In alternativa possibile la risoluzione per eccessiva onerosità sopravvenuta

di Gianluca Sardo

La casistica che sta emergendo a causa del conflitto in Ucraina, relativa ai fatti successivi idonei a incidere sul rapporto di valore tra le controprestazioni sussistente al momento della stipula del contratto, può essere ricondotta a tre filoni:

1) aumento dei costi di produzione, per l’incremento dei prezzi di energia, materie prime e semilavorati;

2) aumento dei costi di trasporto, conseguente alla chiusura dello spazio aereo “da” e “verso” la Ue;

3) instabilità del cambio euro-rublo.

L’incidenza delle sopravvenienze potrebbe essere neutralizzata ab origine dall’esistenza nel contratto di una clausola di hardship o di una clausola di indicizzazione. Entrambe, infatti, seppur disomogenee per contenuto e struttura, tendono a bilanciare secondo meccanismi diversi il valore delle controprestazioni, in funzione del mantenimento del contratto. Sono ormai frequenti nella prassi commerciale, ma non tutti i contratti internazionali le hanno.

Il secondo rimedio

Per i contratti a esecuzione continuata o periodica o a esecuzione differita, “orfani” di clausole di questo tipo, scatta il rimedio previsto dall’articolo 1467 Codice civile, che disciplina la risoluzione del contratto «per eccessiva onerosità sopravvenuta». Perché la risoluzione operi, tuttavia, il Codice richiede che l’onerosità eccessiva, oltre a discendere da fatti straordinari e imprevedibili successivi alla stipula, ecceda l’alea normale del contratto.

Non esiste un parametro generale al quale affidarsi: ogni singolo rapporto va collocato nel tempo, mettendo in comparazione in concreto l’originario assetto economico definito dalle parti al momento della conclusione del contratto e gli effetti delle (recenti) sopravvenienze sul “costo” della prestazione dovuta.

Altri casi

Fatta questa comparazione, potrebbe peraltro risultare che la prestazione è divenuta così onerosa da snaturare completamente il senso del contratto. In questa ipotesi, si verserebbe probabilmente in un caso di «impossibilità» e non di «eccessiva onerosità sopravvenuta». Vi sono due precedenti storici importanti da richiamare, il primo legato alla crisi di Suez del 1956 e il secondo alla “guerra dei sei giorni” del 1967. In entrambi i casi, anche se per ragioni diverse, il passaggio per il Canale di Suez era stato interdetto alle navi, che furono costrette a modificare drasticamente le rotte per la consegna delle merci, con aumento abnorme dei costi di trasporto, tale da giustificare l’applicazione della dottrina della frustration of contract, elaborata dai sistemi di Common Law.

Peraltro, va considerato che le sanzioni varate dallo scorso febbraio fanno seguito a una lunga serie di restrizioni decise nei confronti della Russia dal 2014, a seguito dell’invasione della Crimea e dell’appoggio militare nel Donbass. Per i contratti stipulati dopo le prime sanzioni, l’interrogativo sulla effettiva straordinarietà e imprevedibilità delle sanzioni recenti - e quindi sulla possibilità di invocare il rimedio in questione - è dunque più che legittimo.

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