Famiglia

Affidamento dei figli al padre, non è "PAS" ma incapacità genitoriale della madre

Nella ricostruzione delle vicende processuali, il Tribunale veneziano ha sottolineato come la madre avesse disatteso completamente tutte le statuizioni dei provvedimenti giudiziali che nel tempo avevano regolamentato il regime di visita e le condizioni di affidamento del figlio minore.

di Valeria Cianciolo

Le incapacità genitoriali della madre affidataria possono modificare le precedenti statuizioni, decidendo in un secondo momento di assegnare i figli al padre, senza per questo coinvolgere il tema della PAS. I giudici del Tribunale di Venezia prendono questa direzione con la sentenza del 17 novembre scorso.

Il caso
Il Tribunale in un primo momento, disponeva l'affidamento dei minori ad entrambi i genitori, con collocazione prevalente presso l'abitazione materna prevedendo a carico del marito, l'obbligo di versare alla madre € 500,00 al mese, a titolo di contributo al mantenimento dei figli e disponendo la presa in carico del nucleo familiare da parte dei Servizi Sociali territorialmente competenti.Successivamente, le indagini peritali e le relazioni dei servizi sociali evidenziavano un atteggiamento ostruzionistico della madre che ostacolava l'espletamento dell'incarico da parte degli stessi Servizi Sociali affidatari, mostrando la propria indisponibilità a collaborare nel superiore interesse dei figli. Con un atteggiamento rivelatore della totale incapacità di comprendere le proprie responsabilità, la donna poi, impediva al primogenito, in regime di scuola dell'obbligo, la frequenza scolastica e all'altro figlio, dell'asilo per eludere i turni di vista paterni, Il CTU evidenziava che i minori erano sottoposti dalla madre a una "vera e propria forma di abuso psicologico perpetrato con l'aiuto dei nonni nei riguardi dei minori".
Alla luce di un quadro simile, indubbiamente abusante del corretto ruolo genitoriale, il Tribunale in via provvisoria a parziale modifica delle statuizioni rese nei precedenti decreti, affidava in via provvisoria i minori ai Servizi Sociali del Comune (misura questa giustificata dalla lunga assenza del padre dalla quotidianità dei figli); disponeva che i minori fossero collocati anche a fini anagrafici, in via prevalente, presso l'abitazione del padre e gli incontri tra la madre e i figli in modalità protetta con la mediazione degli assistenti sociali. In ordine alla ripartizione degli oneri di accudimento (affidati in via prevalente al padre), il Tribunale prevedeva a carico della donna la corresponsione al marito della somma mensile di € 500,00 a titolo di concorso al mantenimento ordinario dei figli - somma questa che il Tribunale veneziano ha disposto non avendo la donna, a dispetto del termine assegnatole, depositato documentazione lavorativa e fiscale aggiornata - ferma la ripartizione al 50% delle spese straordinarie agli stessi.

La sindrome di alienazione genitoriale nella giurisprudenza
Nella ricostruzione delle vicende processuali, il Tribunale veneziano ha sottolineato come la madre avesse disatteso completamente tutte le statuizioni dei provvedimenti giudiziali che nel tempo avevano regolamentato il regime di visita e le condizioni di affidamento del figlio minore.La decisione è di interesse perché approfondisce le argomentazioni relative alla effettiva capacità genitoriale del genitore non affidatario (in questa fattispecie la madre) mettendo da parte i discutibili ragionamenti sulla controversa "PAS" (Parent Alienation Syndrome) alla quale non viene fatto alcun cenno.
Nelle motivazioni a sostegno di questa sentenza, i giudici non fanno alcun riferimento in merito alla fallacia della summenzionata PAS, ma piuttosto si soffermano sul come l'affidamento esclusivo al padre dei due figli minori sia motivato con riferimento specifico alle condotte genitoriali ostacolanti della madre. D'altro canto, è insegnamento della Cassazione che tra i requisiti di idoneità genitoriale rilevi anche la capacità di preservare la continuità delle relazioni parentali con l'altro genitore, a tutela del diritto del figlio ad una crescita equilibrata e serena.
La mancanza di tale capacità o, peggio, comportamenti di segno opposto, denotano difetto di idoneità genitoriale.
Come noto, in passato, parte della giurisprudenza di merito ha ammesso la c.d. "sindrome di alienazione parentale o genitoriale (o PAS, dall'acronimo di Parental Alienation Syndrome), nella quale un genitore (c.d. alienatore) attiva una sorta di programmatico allontanamento dei figli da e contro l'altro genitore (c.d. alienato), talvolta con il pieno coinvolgimento in tal senso dei figli stessi manovrati e/o comunque influenzati allo scopo, il tutto senza adeguata e professionale mediazione esterna alla coppia genitoriale" (Trib. Bari, 6 settembre 2012, n. 2771). (In giurisprudenza, nelle aule giudiziarie italiane si è fatto riferimento alla PAS, espressamente o in modo implicito, a partire da una sentenza del Trib. Alessandria n. 318 del 1999: in detta statuizione si stabiliva che il figlio venisse affidato alla madre, nei confronti della quale dimostrava avversione, in seguito riscontrata come PAS, attivata nel bambino dal padre. Hanno pure riconosciuto la rilevanza della c.d. sindrome da alienazione parentale: Trib. Messina 5 aprile 2007, n. 597; App. Brescia 3 maggio 2013; App. Brescia 17 maggio 2013; Trib. Cosenza 29 luglio 2015, n. 778; Trib. Cosenza sez. II, 18 ottobre 2017, n. 2044; Trib. Castrovillari, 27 luglio 2018, n. 728).
Secondo altro orientamento giurisprudenziale, invece, tale sindrome è priva di fondamento sul piano scientifico, come si apprende dall'osservazione della letteratura scientifica di settore: ne consegue che il comportamento "alienante" di un genitore può rilevare sotto altri e diversi profili, ma non come "patologia" del minore, giacché il contrasto tra i genitori non può condurre ad accertamenti diagnostici su chi il conflitto lo subisce invece che su chi lo crea (Cass. 20 marzo 2013, n. 7041; Trib. Milano 13 ottobre 2014; Trib. Brescia 19 novembre 2018; Cass. 16 maggio 2019, n. 13274. Si è dimostrato alquanto restrittivo sul suo riconoscimento, il Trib. Milano 13 ottobre 2014 che ha sancito: "l'inammissibilità di un accertamento tecnico d'ufficio su un minore avente ad oggetto la verifica della P.A.S. in quanto non inserita tra le patologie nel Manuale Diagnostico Statistico dei Disturbi Mentali c.d. DSM-V").
Il Prof. Luigi Cancrini, psichiatra e psicoanalista di fama internazionale, Presidente del Centro Studi di terapia familiare e relazionale ha, al proposito, definito il costrutto della PAS "una forma di violenza sui minori, che toglie loro qualsiasi dignità di persona pensante" (Cfr. Il Sole-24ore/Sanità, 26 marzo-1 aprile 2013).
Con riferimento alla giurisprudenza di legittimità, vi sono due pronunce della Corte di cassazione che hanno aperto un vivace dibattito sulla PAS tra gli operatori. La prima pronuncia in ordine di tempo, è quella emessa dalla Cassazione con decisione del 8 marzo 2013, n. 5847, con la quale la Corte, anche in assenza di una legislazione diretta che in Italia riconosca la sindrome di PAS, ha negato l'affido condiviso ad un padre il quale, stante alla relazione del servizio psichiatrico territoriale che aveva diagnosticato una sindrome di alienazione parentale dei minori, aveva demolito la figura materna agli occhi dei figli.
A opposte conclusioni è giunta la Cass., Sez. I, sent. 20 marzo 2013, n. 7041, la quale, al contrario della sentenza precedente, esprimendosi sul concetto di PAS, ne ha negato l'esistenza, statuendo che "il giudice del merito, ricorrendo alle proprie cognizioni scientifiche (Cass., 14759 del 2007; Cass., 18 novembre 1997, n. 11440), ovvero avvalendosi di idonei esperti, deve verificare il fondamento, sul piano scientifico, di una consulenza che presenti devianze dalla scienza medica ufficiale (Cassazione, 3 febbraio 2012, n. 1652; Cassazione, 25 agosto 2005, n. 17324). Ciò, ad esempio, nel caso in cui il CTU sostenga la presenza di una c.d. PAS, ripudiata dalla letteratura scientifica internazionale di maggioranza".
I comportamenti capaci di screditare l'altro genitore, devono essere dimostrati, con ricorso ai normali mezzi di prova, incluse le presunzioni, ma non bastano per determinare un'automatica modifica del regime di affidamento, poiché l'affidamento e la stessa collocazione prevalente del minore presso uno dei genitori, devono in ogni caso rispondere all'interesse del minore stesso. I comportamenti che impediscano od ostacolino il rapporto del figlio con uno dei genitori, devono essere determinati tenendo conto di una serie di circostanze, nelle quali l'interesse del minore è il riferimento principale e nel quale il giudizio negativo sull'idoneità del genitore che li pone in essere può essere controbilanciato da altri fattori.
Del resto, il cambio di affidamento non è l'unico strumento disponibile per contrastare comportamenti di tal tipo, avendo il legislatore previsto, con l'art. 709 ter c.p.c., un'articolata gamma di possibilità.
Il Tribunale veneziano nel caso in esame, ha adeguatamente valutato le risultanze processuali derivanti dalle relazioni dei servizi sociali e dalla consulenza tecnica, essendo evidente il fatto che i minori erano per la tenera età fortemente condizionati dalla madre. Tale conclusione appare esente da critiche, pur dovendosi sottolineare l'intrinseca gravità di false denunce in tema e il possibile effetto deformante sulla personalità di minorenni in fase di formazione.

La PAS e il nuovo processo civile
Il comma 23, lett. b), contenuto nella Legge 26 novembre 2021, n. 206 ("Delega al Governo per l'efficienza del processo civile e per la revisione della disciplina degli strumenti di risoluzione alternativa delle controversie e misure urgenti di razionalizzazione dei procedimenti in materia di diritti delle persone e delle famiglie nonché in materia di esecuzione forzata") prevede che qualora il giudice ritenga di avvalersi di un consulente, lo nomini con provvedimento motivato, indicando gli accertamenti da svolgere; in tal caso il consulente si dovrà attenere «ai protocolli e alle metodologie riconosciuti dalla comunità scientifica, senza effettuare valutazioni su caratteristiche e profili di personalità estranee agli stessi». Un principio questo che ha lo scopo di impedire l'utilizzo nei tribunali di teorie che non hanno un riscontro scientifico, impedendo così al giudice l'appiattimento sulle valutazioni di una psicologia e/o psichiatria acritiche rispetto a comportamenti che configurano lesioni della salute verificatisi all'interno della famiglia e che non ancorano le loro ipotesi a fatti concreti, storici e documentali.
Il giudice di merito può utilizzare i comuni mezzi di prova tipici e specifici della materia (incluso l'ascolto del minore) e anche le presunzioni, come la Cassazione ha sottolineato: "in tema di affidamento dei figli minori, il giudizio prognostico che il giudice, nell'esclusivo interesse morale e materiale della prole deve operare circa le capacità dei genitori, va formulato tenendo conto, in base ad elementi concreti, del modo in cui i genitori hanno precedentemente svolto i propri compiti, delle rispettive capacità di relazione affettiva, nonché della personalità del genitore, delle sue consuetudini di vita e dell'ambiente sociale e familiare che è in grado di offrire al minore, fermo restando il rispetto del principio della bi genitorialità" (Cass. civ., Sez. I, sent. 8 aprile 2016, n. 6919).
La riforma mette in pratica i principi espressi nelle ultime sentenze della Cassazione, che hanno censurato il giudice di merito che basi la propria decisione richiamandosi integralmente a una CTU che aveva diagnosticato l'esistenza di una Pas, in assenza di certezze in ordine alla sindrome stessa e senza dare risposta alle specifiche censure sul punto.
Viene dunque in qualche modo "cassata" la condotta del giudice che rinuncia alla propria autonomia e delega ai tecnici il ruolo di valutare il contesto delle prove, o meglio di valutare, senza un apprezzabile lavoro di raccolta di prove, chi sia responsabile o meno di una condotta pregiudizievole.
La riforma prende atto dei criteri cui deve attenersi il giudice in tema di affidamento dei figli minori già precedentemente espressi da Cass. 10 dicembre 2018, n. 31902, Cass. 28 giugno 2018, n. 16738 e Cass. 28 settembre 2017, n. 22744: "In tema di affidamento dei figli minori, il giudizio prognostico che il giudice, nell'esclusivo interesse morale e materiale della prole, deve operare circa le capacità dei genitori di crescere ed educare il figlio nella nuova situazione determinata dalla disgregazione dell'unione, va formulato tenendo conto, in base a elementi concreti, del modo in cui i genitori hanno precedentemente svolto i propri compiti, delle rispettive capacità di relazione affettiva, attenzione, comprensione, educazione e disponibilità a un assiduo rapporto, nonché della personalità del genitore, delle sue consuetudini di vita e dell'ambiente sociale e familiare che è in grado di offrire al minore, fermo restando, in ogni caso, il rispetto del principio della bi-genitorialità, da intendersi quale presenza comune dei genitori nella vita del figlio, idonea a garantirgli una stabile consuetudine di vita e salde relazioni affettive con entrambi, i quali hanno il dovere di cooperare nella sua assistenza, educazione ed istruzione."Criteri questi, pure confermati nella decisione del Tribunale veneziano che oltre alla CTU e alle relazioni dei servizi sociali, ha ritenuto sintomatico di un atteggiamento abusante della madre, le denunce per abusi sessuali più volte avanzate dalla stessa e ritenute dal GIP infondate da portare all'archiviazione del procedimento a carico del marito per i reati di cui agli artt. 81, 609-bis 609-ter co. 1 e 2 c.p.
Con la riforma dunque, non vi sarà più spazio per una consulenza che presenti devianze dalla scienza medica ufficiale e che risulti, sullo stesso piano della validità scientifica, oggetto di critiche e perplessità da parte del mondo accademico internazionale, dovendosi respingere la circostanza che in ambito giudiziario, si adottino soluzioni prive del necessario conforto scientifico e potenzialmente produttive di danni ancor più gravi di quelli che vogliono scongiurare.

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