Lavoro

Green pass: compressione o espressione dell'art. 4 della Costituzione

La questione è, naturalmente, molto complessa e la schizofrenia legislativa che ha contraddistinto il periodo emergenziale a non aiuta, certamente, a delineare un percorso chiaro su quale sia il contributo esigibile dai lavoratori per sconfiggere l'epidemia da Covid-19.

di Marco Lanzani e Filippo Bodo*

Assistiamo in queste settimane al consolidarsi di un curioso dibattito circa la obbligatorietà o meno del green pass nel luogo di lavoro.

La questione è, naturalmente, molto complessa e la schizofrenia legislativa che ha contraddistinto il periodo emergenziale a non aiuta, certamente, a delineare un percorso chiaro su quale sia il contributo esigibile dai lavoratori per sconfiggere l'epidemia da Covid-19.

Nella prima fase dell'emergenza, datori di lavoro e lavoratori sono stati coinvolti nell'adozione di una serie di misure per garantire al massimo la sicurezza nei luoghi di lavoro ed evitare il diffondersi del contagio. Queste misure di sicurezza, previste da protocolli governativi ed oggetto di concertazione con le Parti Sociali, sono tutt'ora in vigore e, nonostante abbiano avuto un pesante impatto sull'organizzazione, sui tempi e sui costi del lavoro, sono generalmente accettate e ben tollerate sia dai lavoratori che dai datori di lavoro.

L'equilibrio raggiunto in tema di misure di sicurezza tra i protagonisti del mondo del lavoro ha, però, incominciato a vacillare ad inizio del corrente anno con la progressiva disponibilità del vaccino, la cui somministrazione coinvolge direttamente i lavoratori e la loro sfera di vita privata.

L'indubbio vantaggio nella lotta all'epidemia portato dalla vaccinazione non può però essere sottaciuto e non può non essere preso ad ulteriore (e, forse, definitiva) misura di sicurezza da adottare negli ambienti di lavoro.

Come è noto, il Governo ha, finora, introdotto l'obbligo vaccinale soltanto per i dipendenti del comparto sanitario e dell'istruzione (con la recentissima previsione di estenderlo a tutti i dipendenti pubblici e al settore della ristorazione), lasciando, peraltro, non risolte alcune evidenti incongruenze che contribuiscono ad alimentare le polemiche e le prese di posizione di chi è contrario all'introduzione generalizzata del green pass nei luoghi di lavoro da parte dei datori di lavoro privati.

Pare invero contraddittorio, ad esempio, obbligare il corpo docenti a dotarsi del green pass (peraltro con l'eccezione di alcune importanti categorie come gli assistenti all'infanzia, addetti al pre e post scuola e alla refezione), senza estendere tale obbligo anche agli studenti. Tale misura appare infatti priva di reale efficacia, prestandosi addirittura ad essere strumentalizzata in nome di un preteso liberismo e un presunto diritto di autodeterminazione della persona.

E sono proprio i fautori di questa linea di pensiero i più accaniti oppositori dell'obbligo di green pass nel luogo di lavoro. Certamente, essi trovano per le loro teorie un terreno fertile laddove, anche all'interno del Governo (o, addirittura degli stessi partiti di governo) si muovono più anime in contrasto tra loro e le stesse organizzazioni sindacali hanno - nelle ultime settimane - dato prova di un incomprensibile atteggiamento nel voler proteggere (e, quindi, indirettamente incoraggiare) i lavoratori contrari al green pass, questionando sull'opportunità delle previsioni riguardanti le mense aziendali ovvero sulla possibilità adottare misure incidenti sullo svolgimento del rapporto di lavoro per i dipendenti privi di green pass.

Il principio comune su cui riposa l'avversione dell'obbligo di green pass nei luoghi di lavoro per tutti i soggetti sopra ricordati sembrerebbe essere quello enunciato dall'art 4 della Costituzione, che riconosce il diritto al lavoro di tutti i cittadini. In pratica, obbligare i lavoratori a dotarsi di green pass costituirebbe una inaccettabile ed ingiustificabile compressione di questo diritto e una forma di palese discriminazione e limitazione dell'accesso sui luoghi di lavoro.

Senza voler approfondire in questa sede quale debba essere il corretto bilanciamento ovvero, addirittura, la soccombenza del suddetto principio costituzionale (e dell'altro riguardante la libertà personale) rispetto al diritto alla salute previsto dall'art. 32 della Costituzione, crediamo che l'introduzione dell'obbligo di green pass nei luoghi di lavoro rappresenti, al contrario, una indiscutibile espressione del diritto al lavoro di ogni cittadino italiano.

Cittadino italiano che da ormai due anni assiste ad un profondo cambiamento della sua vita lavorativa e non in senso favorevole, purtroppo!

La forzata smaterializzazione del posto di lavoro (smart working emergenziale), la rarefazione dei contatti e degli incontri tra colleghi che limitano – di fatto - la formazione e la crescita e la sospensione dal lavoro (cassa integrazione) hanno profondamente segnato il percorso professionale di ogni lavoratore e reso ancor più difficile l'accesso a chi si approccia ad esso con l'aspettativa di essere formato "sul campo" per acquisire capacità professionale.

L'art. 4 promuove l'attività lavorativa che deve avvenire, anzitutto, in sicurezza. A ciò i datori di lavoro e lavoratori stessi sono chiamati in corresponsabilità. All'obbligo dei datori di lavoro di adottare le più opportune misure di sicurezza si accompagna l'obbligo dei lavoratori di adeguarvisi scrupolosamente.

Il precetto costituzionale deve essere, però, letto anche nel senso di favorire l'eliminazione di tutte quelle situazioni che bloccano o limitano la crescita professionale dell'individuo e la sua libertà di esprimere al meglio le proprie competenze, così realizzandosi nella propria attività lavorativa.

L'introduzione dell'obbligo del green pass nell'ambiente di lavoro sembrerebbe rispondere positivamente, sia all'aspetto relativo alla sicurezza, sia a quello concerne il miglioramento della vita lavorativa e a contribuire, in definitiva, alla sospirata normalizzazione dell'ambiente di lavoro dopo due lunghissimi anni di limbo infernale.

Il possesso del green pass costituisce scientificamente una condizione che riduce il rischio di diffusione del contagio ed incrementa la sicurezza dell'ambiente di lavoro. In tal senso, questo strumento potrebbe essere richiesto dai datori di lavoro per accedere all'ambiente di lavoro, al fine proteggere i propri dipendenti (ai sensi dell'art. 2087 Codice Civile), anche in assenza di uno specifico obbligo di legge.

Ma i datori di lavoro non possono essere lasciati da soli a compiere questa scelta. I costi e l'esito del tutto imprevedibile dei contenziosi verosimilmente generati dalle scelte individuali degli imprenditori disincentiverebbero gli stessi in breve tempo dal proseguire su tale linea e, anzi, contribuirebbero ad alimentare la polemica spesso ormai solo ideologica da parte di settori della società di un ritorno della contrapposizione datori – lavoratori.

Stato e Parti Sociali devono, quindi, fare una precisa scelta di campo e mettere da parte, almeno momentaneamente, le divisioni politiche interne e gli interessi spesso corporativi, concentrandosi solo sui vantaggi che l'introduzione dell'obbligo di green pass negli ambienti di lavoro rappresenta. E questo in ossequio proprio a quanto previsto dall'art. 32 e dall'art. 4 della Costituzione.

*a cura di di Marco Lanzani, partner, e Filippo Bodo, senior associate, dello studio Macchi di Cellere Gangemi.

Per saperne di piùRiproduzione riservata ©

Correlati

Claudio Tucci, Giorgio Pogliotti

Il Sole 24 Ore

Garante per la protezione dei dati personali|Nota|6 settembre 2021

Nota

Serenella Corbetta, Mariano Delle Cave

Riviste

Fondazione Studi CDL||6 agosto 2021

Riviste

Claudio Tucci, Nicoletta Picchio

Il Sole 24 Ore