Civile

Tribunali civili: le principali sentenze di merito della settimana

La selezione delle pronunce della giustizia civile nel periodo compreso tra il 29 agosto e il 2 settembre 2022

di Giuseppe Cassano

Nel corso di questa settimana si registrano gli interventi delle Corti d'Appello in materia di locazione (spese per le riparazioni della cosa locata), di responsabilità professionale del Notaio (nella compravendita immobiliare), di rapporti di vicinato (distanze legali nei condomini), di actio pauliana (onere della prova) e, infine, di assicurazione (assicurazione "per conto" nell'assicurazione "vita").
Da parte loro i Tribunali trattano i temi della responsabilità (eventuale) da attività legislativa, dell'operatività della clausola penale nell'appalto, dell'applicazione degli interessi nel contratto di mutuo, dell'accreditamento sanitario e, infine, della tutela del consumatore.


LOCAZIONI
Contratto di locazione – Cosa locata – Necessità di riparazioni (Cc, articoli 1575, 1576, 1577)
Adita in materia di locazioni la Corte d'Appello di Bari si sofferma in sentenza sulla corretta esegesi della disposizione dell'articolo 1577 c.c., in tema di riparazioni della cosa locata.
L'articolo 1575, n, 2, c.c. pone a carico del locatore l'obbligazione di mantenere la cosa "in istato da servire all'uso convenuto". Per effetto di tale disposizione, il locatore ha l'obbligo di effettuare nel corso della locazione tutte le riparazioni ordinarie e straordinarie necessarie a mantenere l'immobile nello stato esistente al momento della stipulazione del contratto, ma non anche di operare modificazioni o trasformazioni del bene funzionali a renderlo idoneo all'attività che il conduttore si ripromette di svolgervi, ovvero ad adeguarlo a disposizioni di legge o dell'autorità sopravvenute alla consegna.
L'articolo 1576 c.c. onera poi il locatore dell'esecuzione delle riparazioni necessarie, delle quali, a mente del successivo articolo 1577, il conduttore è tenuto a dare avviso al locatore; solo nel caso si tratti di riparazioni anche urgenti, il conduttore può eseguirle direttamente, salvo rimborso, ma purché ne dia contemporaneamente avviso al locatore.
Si osserva così in sentenza che, quando le riparazioni della cosa locata hanno il carattere dell'urgenza, lo stesso conduttore, una volta avvisato il locatore e nell'inerzia di questi, ha facoltà di provvedere direttamente ai lavori, non essendo richiesta per tale tipo di intervento la preventiva autorizzazione, e non risultando neppure di ostacolo l'eventuale divieto del locatore.
Con la precisazione che, ove occorrano interventi di manutenzione straordinaria, il locatore ha l'obbligo contrattuale di intervenire e di eseguirli. L'urgenza dell'intervento attribuisce al conduttore – allo scopo di tutelarlo – la facoltà di provvedervi direttamente.
La necessità del contemporaneo avviso è posto a tutela del locatore, il quale ha – a sua volta – facoltà di intervenire sia eventualmente per contestare la necessità dei lavori, sia per compiere le scelte relative alla loro esecuzione, di cui in definitiva dovrà sopportare il costo.
Allorché dunque il locatore sia a conoscenza della necessità di procedere a lavori di manutenzione straordinaria dell'immobile locato, la mancata esecuzione degli stessi entro un limite temporale ragionevole, che deve essere apprezzato con riferimento alla loro natura, entità e necessità, ne determina l'inadempimento contrattuale e legittima il conduttore, sempre in presenza del carattere dell'urgenza, di provvedervi direttamente e a ottenere il rimborso del costo.
Corte d'Appello di Bari, sezione III, sentenza 30 agosto 2022, n. 1268

NOTAIO
Notaio – Responsabilità professionale - Limiti (Cc, articolo 1175)
La Corte d'Appello di Palermo è adita in materia di responsabilità professionale del Notaio ed afferma così in sentenza il principio di diritto a tenore del quale il Notaio officiante un contratto di compravendita immobiliare è vincolato al compimento delle attività necessarie a conseguire il risultato voluto dalle parti, in particolare ad effettuare le visure catastali e ipotecarie atte ad individuare esattamente il bene e a verificare che sia libero da vincoli, la cui eventuale omissione è fonte di responsabilità per violazione non già dell'obbligo di diligenza professionale qualificata, ma della clausola generale della buona fede oggettiva o correttezza, ex articolo 1175 c.c., quale criterio determinativo ed integrativo della prestazione contrattuale, che impone il compimento di quanto utile e necessario alla salvaguardia degli interessi della controparte.
Secondo la Corte esula, invece, del tutto dai doveri professionali del Notaio, in assenza di specifiche previsioni normative in proposito, lo svolgimento di accertamenti di natura tecnica, concernenti le planimetrie degli immobili per i quali rediga degli atti di vendita, ed identiche considerazioni vengono effettuate con riferimento ad indagini circa la regolarità urbanistica degli immobili alienati, con conseguente assenza della violazione degli obblighi di diligenza media qualora gli accertamenti in oggetto non vadano compiuti.
Il notaio, invero, deve soltanto indicare negli atti di trasferimento immobiliare gli estremi della concessione ad edificare o della concessione in sanatoria; quando abbia proceduto alla stipula e registrazione del rogito non può essere ritenuto responsabile per gli abusi edilizi esistenti (che escludono che, in assenza di sanatoria, possa essere rilasciato il certificato di abitabilità) trattandosi di un controllo che non rientra nella competenze, né nelle sue possibilità materiali di accertamento.
Il notaio rogante, nella sua qualità di pubblico ufficiale, deve limitarsi ad ammonire il venditore, chiedendogli di dichiarare, sotto responsabilità penale, che l'immobile non presenta irregolarità edilizie.
Di conseguenza, se l'alienante non dichiara la presenza di abusi edilizi, il notaio può procedere alla stipula dell'atto, dovendo dare fede alla parola del venditore e inserirne le dichiarazioni nell'atto.
Corte di Appello di Palermo, sezione I, sentenza 30 agosto 2022 n. 1459

CONDOMINIO
Rapporti di vicinato – Condominio - Operatività – Limiti
(Cc, articoli 889, 890)
La Corte d'Appello di Firenze si sofferma sulla disciplina della distanza legale pari ad un metro prevista dall'articolo 889, II, c.c. (relativamente alle distanze da rispettare per pozzi, cisterne, fossi e tubi) osservando come la stessa sia applicabile, in via generale, anche con riguardo agli edifici in condominio.
Con la precisazione che, proprio in materia condominiale, le norme relative ai rapporti di vicinato, tra cui quella del richiamato articolo 889 c.c., trovano applicazione rispetto alle singole unità immobiliari soltanto in quanto compatibili con la concreta struttura dell'edificio e con la particolare natura dei diritti e delle facoltà dei singoli proprietari.
Di conseguenza, qualora esse siano invocate in un giudizio tra condomini, il Giudice di merito è tenuto ad accertare se la loro rigorosa osservanza non sia nel caso irragionevole, considerando che la coesistenza di più appartamenti in un unico edificio implica di per sé il contemperamento dei vari interessi al fine dell'ordinato svolgersi di quella convivenza che è propria dei rapporti condominiali.
La cennata disciplina sulla distanza di almeno un metro dal confine è prescritta - per l'installazione dei tubi dell'acqua, del gas e simili – in quanto per tali condutture, aventi un flusso costante di sostanze liquide o gassose, il Legislatore ha tenuto conto della loro potenziale attitudine ad arrecare danno alla proprietà contigua, stabilendo, con valutazione ex ante, una presunzione "iuris et de iure" di pericolosità.
La richiamata norma codicistica, giusta la ratio ad essa sottesa, non è applicabile con riguardo alle canne fumarie per la dispersione dei fumi delle caldaie le quali, avendo una funzione identica a quella del camino, vanno soggette alla regolamentazione di cui all'articolo 890 c.c. e, quindi, poste alla distanza fissata dai regolamenti locali.
Corte di Appello di Firenze, sezione III, sentenza 31 agosto 2022 n. 1865


PROCESSO CIVILE
Azione revocatoria ordinaria – Onere della prova (Cc, articolo 2901)
Secondo la Corte d'Appello di Roma al fine del positivo accoglimento dell'azione revocatoria ordinaria ex articolo 2901 c.c., la parte creditrice deve provare, da un lato, la sussistenza del proprio credito e l'adozione da parte del debitore di un atto di disposizione del suo patrimonio idoneo a depauperare la garanzia generica del credito, e, dall'altro, la ricorrenza del pericolo o evento di danno (cd periculum o eventus damni), nonché del consilium fraudis o scientia damni, intesi rispettivamente come dolosa preordinazione dell'atto di disposizione se compiuto dal debitore anteriormente al sorgere del credito, o come semplice conoscenza di tale pregiudizio se posto in essere successivamente.
La medesima disciplina si applica al terzo acquirente nell'ambito della revocatoria di un atto a titolo oneroso ex articolo 2901, I comma, n. 2, c.c. (dato che in presenza di atto a titolo gratuito è necessaria la sola consapevolezza del debitore e non anche del terzo, la cui posizione è irrilevante), per cui è sufficiente la consapevolezza e/o conoscenza generica del pregiudizio che l'atto arrecherebbe alle ragioni del creditore.
La semplice conoscenza sia del debitore e del terzo acquirente ben può essere provata anche a mezzo di presunzioni.
Occorre, inoltre, far presente che il credito leso dall'atto revocando non richiede, necessariamente, i caratteri della certezza, liquidità ed esigibilità, ben potendosi ritenere oggetto del pregiudizio anche una semplice ragione o aspettativa del soggetto creditore al soddisfacimento della pretesa. L'azione revocatoria è, dunque, uno strumento per la tutela indiretta del diritto del creditore giacché svolge la funzione di ricostituire la garanzia generica assicurata a quest'ultimo dal patrimonio del suo debitore al fine di permettergli il soddisfacimento coattivo del suo credito.
Non si tratta di un azione di nullità, bensì di inefficacia, relativa dell'atto impugnato, la cui validità quindi non è posta in discussione: attraverso l'azione qui in esame si domanda solamente che l'atto impugnato, ancorché valido in sé stesso, sia dichiarato inefficace nei confronti del creditore agente ragion per cui il bene non ritorna nel patrimonio dell'alienante ma resta soggetto all'aggressione del creditore agente nella misura necessaria a soddisfare le sue ragioni e l'azione giova unicamente al creditore che l'ha esercitata confronta.
Corte d'Appello di Roma, sezione III, sentenza 31 agosto 2022 n. 5433

ASSICURAZIONE
Contratto di assicurazione – Assicurazione sulla vita - Mutuatario
(Cc, articoli 1891, 1904, 1919, 1920)
Osserva la Corte d'Appello di Milano come il contratto di assicurazione sulla vita del mutuatario il quale preveda che, in caso di morte di quest'ultimo, l'indennizzo sia dovuto alla banca mutuante, e nello stesso tempo che il versamento dell'indennizzo estingua il credito residuo della banca verso il mutuatario, senza diritto dell'assicurazione di surrogarsi alla banca, è un contratto il cui scopo è soddisfare due interessi convergenti: quello della banca al rimborso del mutuo, e quello del mutuatario (e dei suoi eredi) a non restare esposti all'azione esecutiva della banca.
Ne consegue che gli eredi del mutuatario, in caso di inadempimento dell'assicuratore, sono legittimati a domandare la condanna dell'assicuratore al pagamento dell'indennizzo nelle mani della banca.
È dunque erronea l'affermazione secondo cui l'assicurazione sulla vita non può essere stipulata per conto altrui: invero, l'articolo 1891 c.c., da un lato, e gli articoli 1919-1920 c.c., dall'altro lato, non sono tra loro incompatibili.
La prima norma stabilisce le modalità e gli effetti della stipulazione per conto altrui, le altre due adattano detti principi all'assicurazione sulla vita imponendo il consenso del portatore del rischio e le modalità di designazione del beneficiario.
Le due disposizioni, dunque, non si escludono a vicenda, né le previsioni degli articoli 1919-1920 c.c. rendono superflue quelle ex articolo 1891 c.c.: infatti il terzo comma di tale norma (secondo cui all'assicurato sono opponibili da parte dell'assicuratore le eccezioni fondate sul contratto) è previsione applicabile anche all'assicurazione sulla vita.
È dunque possibile stipulare un'assicurazione sulla vita di un terzo per conto altrui.
L'assicurazione "per conto" è dunque concepibile sia nell'assicurazione danni, che nell'assicurazione vita, con l'unica differenza che, nel primo caso, il terzo assicurato deve essere titolare di un interesse, ex articolo 1904 c.c., a pena di nullità del contratto, mentre, nel secondo caso, è sufficiente che il terzo beneficiario acquisti, per effetto della stipula, una posizione di vantaggio, che può consistere anche soltanto nella liberazione di un debito.
Corte d'Appello di Milano, sezione I, sentenza 1 settembre 2022, n. 2808  

RESPONSABILITA' E RISARCIMENTO
Attività legislativa – Responsabilità aquiliana – Esclusione
(Cost. articoli 68, 122; Cc, articolo 2043)
Tratta in sentenza il Tribunale di Ancona (tra le altre) la questione della possibile, o meno, responsabilità aquiliana ex articolo 2043 c.c. per attività legislativa (sia del Legislatore sia statale che regionale) attestandosi, all'esito, su una risposta negativa.
Si muove dalla premessa per cui, per il caso di omessa o tardiva trasposizione da parte del Legislatore italiano, nel termine prescritto, delle direttive comunitarie, dalla suddetta violazione del diritto dell'Unione Europea sorge il diritto degli interessati alla rifusione dei danni. Quest'ultimo deve essere ricondotto, anche a prescindere dall'esistenza di uno specifico intervento legislativo accompagnato da una previsione risarcitoria, allo schema della responsabilità per inadempimento dell'obbligazione ex lege dello Stato, di natura indennitaria per attività non antigiuridica, dovendosi ritenere che la condotta dello Stato inadempiente sia suscettibile di essere qualificata come antigiuridica nell'ordinamento comunitario, connotato da primazia rispetto a quello del singolo Stato membro, ma non anche alla stregua dell'ordinamento interno.
Tale opzione interpretativa prende dunque le mosse dall'esclusione di una responsabilità per atti legislativi, e ne individua altra diversamente fondata sulla sovraordinazione gerarchica tra ordinamenti prima che tra fonti.
Da ciò consegue che, a fronte della libertà della funzione politica legislativa (articoli 68, I, 122, IV, Cost.), non è ravvisabile un'ingiustizia che possa qualificare il danno allegato in termini di illecito, e arrivare a fondare il diritto al suo risarcimento.
Ed allora, nel caso di norma dichiarata incostituzionale, deve escludersi una responsabilità per "illecito costituzionale", rilevante sul piano risarcitorio, dell'organo governativo che ha presentato il relativo disegno di legge, e dato impulso all'iter parlamentare sfociato nella pubblicazione della norma espunta dall'ordinamento per contrasto con la Costituzione, in quanto, essendo la funzione legislativa espressione di un potere politico, incoercibile e sottratto al sindacato giurisdizionale, rispetto ad esso non possono configurarsi situazioni giuridiche soggettive dei singoli protette dall'ordinamento.
Tribunale di Ancona, sentenza 29 agosto 2022, n. 980

APPALTI
Contratto d'appalto – Clausola penale - Efficacia

Oggetto dell'intervento del Tribunale di Milano è l'appalto, figura contrattuale nella quale, come noto, la diligenza qualificata ex articolo 1176, II, c.c., che impone all'appaltatore di realizzare l'opera a regola d'arte, impiegando le energie e i mezzi normalmente e obiettivamente necessari o utili in relazione alla natura dell'attività esercitata, onde soddisfare l'interesse creditorio ed evitare possibili eventi dannosi, rileva anche ove egli si attenga alle previsioni di un progetto altrui.
E cioè a dire, ove sia il committente a predisporre il progetto e a fornire indicazioni per la sua realizzazione, l'appaltatore risponde dei vizi dell'opera se, fedelmente eseguendo il progetto e le indicazioni ricevute, non ne segnali eventuali carenze ed errori, il cui controllo e correzione rientrano nella sua prestazione.
Non solo. Se è pur vero che l'appalto presuppone un'organizzazione a carattere d'impresa, è altrettanto vero che l'indipendenza dell'appaltatore non potrà mai spingersi sino a vietare al committente la facoltà di esercitare il controllo e la vigilanza sui lavori, quanto meno per verificare se l'opera costruttiva si compie come pattuito.
Può accadere ancora – così riportandoci al caso affrontato in sentenza - che, nel corso dell'esecuzione del contratto d'appalto, venga a mutare l'originario piano dei lavori.
In tale ipotesi, tanto il termine di consegna, quanto la penale per il ritardo, pattuiti nel detto (primitivo) contratto, vengono meno.
Pertanto, affinché la penale conservi la usa efficacia occorre che le parti di comune accordo fissino un nuovo termine, incombendo, in mancanza, al committente, che persegua il risarcimento del danno da ritardata consegna dell'opera, l'onere di fornire la prova delle concrete ricadute pregiudizievoli subite.
Tribunale di Milano, sezione VII, sentenza 31 agosto 2022, n. 6972


CONTRATTI
Contratto di mutuo - Interessi corrispettivi – Interessi moratori – Differenze
(Cc, articoli 1194, 1224)
Sottolinea in sentenza il Tribunale di Roma come, nel mutuo, gli interessi corrispettivi si differenzino da quelli moratori, gli uni costituendo il corrispettivo del diritto del mutuatario di godere della somma capitale in conformità con il piano di rimborso graduale, gli altri rappresentando la liquidazione anticipata e forfettaria del danno causato al mutuante dall'inadempimento o dal ritardato adempimento del mutuatario.
Le due categorie di interessi si differenziano poi anche in punto di disciplina applicabile, in quanto gli interessi moratori, dissimilmente da quelli corrispettivi, sono dovuti dal giorno della mora e a prescindere dalla prova del danno subito, così come previsto dall'articolo 1224, I, c.c..
Tali differenze – secondo il Tribunale - si appalesano nel momento in cui il debitore divenga moroso: in simile circostanza il tasso di interesse di mora non si aggiunge a quello corrispettivo, ma si sostituisce a quest'ultimo. L'eventuale caduta in mora del rapporto non comporta, quindi, una sommatoria dei due tipi di interesse, venendo gli interessi di mora ad applicarsi unicamente al capitale non ancora restituito ed alla parte degli interessi corrispettivi già scaduti e non pagati qualora gli stessi siano imputati a capitale.
Ne consegue che per verificare l'eventuale usurarietà del mutuo non si deve sommare il valore del tasso corrispettivo e del tasso moratorio ai fini del raffronto alle soglie di usura, né l'usura può essere fatta derivare da una valutazione complessiva dell'interesse moratorio con il costo per l'assicurazione e con le altre voci di spesa collegate alla stipulazione del contratto.
Né – si argomenta ancora in altra parte della sentenza – il piano di ammortamento alla francese comporta, un'indeterminatezza del tasso di interesse o un'illecita capitalizzazione composta degli interessi. Si ha soltanto una costruzione delle rate costanti in cui la quota degli interessi e quella di capitale variano al solo fine di privilegiare nel tempo la restituzione degli interessi rispetto al capitale, in ossequio al principio previsto dall'articolo1194 c.c..
Tribunale di Roma, sezione XVII, sentenza 31 agosto 2022 n. 12823

SANITA'
Accreditamento sanitario – Contratto – Interessi moratori
(Cost., articolo 32; Dlgs 9 ottobre 2002, n. 231; Dlgs 30 dicembre 1992, n. 502, articoli 8, 8 quinquies)
Il contenzioso innanzi all'adito Tribunale di Napoli riguarda il limite di budget assegnato ad un operatore sanitario privato accreditato. A detto soggetto è riconosciuta la facoltà di scegliere se operare, o meno, in tale settore (e dunque con remunerazione delle prestazioni rese a carico della Pa), ovvero se operare privatamente. Tale alternativa è conseguente al principio della «non negoziabilità» dei vincoli di spesa posti dai piani di rientro.
Il vigente quadro normativo di riferimento (Dlgs n. 502/1992) pone, da un lato, le attribuzioni della Regione (in ordine alla determinazione del budget di spesa) e, dall'altro lato, le competenza delle aziende sanitarie (in riferimento alla contrattazione) così perseguendo l'obiettivo di un ridimensionamento della spesa del comparto sanità.
A tale fine gli articoli 8, V, 8 quater e 8 quinquies, Dlgs n. 502/1992 sono applicativi di un indirizzo razionalizzatore della spesa sanitaria: dal loro tenore complessivo emerge come la stipula di un accordo (tra amministrazione sanitaria e soggetto accreditato) sia il presupposto imprescindibile per l'esercizio di attività sanitaria con aggravio di spesa a carico del servizio sanitario.
Al di fuori del contratto, da un lato, la struttura accreditata non è obbligata ad erogare prestazioni agli assistiti del servizio sanitario regionale e, dall'altro, l'amministrazione sanitaria non è tenuta a corrispondere la relativa remunerazione; ciò risponde al principio generale della necessità di una previa valutazione comparativa dei privati aspiranti a contrattare con l'Amministrazione pubblica per l'esercizio di attività che importino la distribuzione di risorse finanziarie.
In tale contesto l'intervento del Tribunale di Napoli precisa (tra l'altro) come il sistema del Servizio Sanitario Nazionale, oltre che ad essere finalizzato alla cura di un bene essenziale quale la salute (articolo 32 Cost), è connotato da finalità solidaristiche che giustificano la parziale deviazione alla regolamentazione degli interessi moratori previsti ex Dlgs n. 231/2002.
D'altronde i centri accreditati, avendo scelto l'accreditamento al SSN, sono certamente più avvantaggiati rispetto a quelli che operano nel libero mercato, avendo la garanzia della retribuzione delle prestazioni da parte della Pa anziché del singolo utente, e di conseguenza la possibilità di assicurarsi un certo volume di prestazioni che giustificano il tasso inferiore degli interessi.
Tribunale di Napoli, sezione X, sentenza 1 settembre 2022, n. 7768

CONSUMATORI
Contratti del consumatore – Codice del Consumo - Tutela (TFUE, articolo 169; Direttiva 93/13/CEE, considerando 12, articolo 8; Direttiva 2011/83/UE considerando 13; Dlgs 6 settembre 2005, n. 206, articolo 33)
Osserva il Tribunale di Torino come, in tema di contratti del consumatore, ai fini della identificazione del soggetto avente diritto alla tutela prevista dal Codice del Consumo (Dlgs n. 206 del 2005) non assume rilievo che la persona fisica rivesta la qualità di imprenditore o di professionista, bensì lo scopo perseguito al momento della stipula del contratto, con la conseguenza che anche l'imprenditore individuale, o il professionista, deve essere considerato "consumatore" allorché concluda un negozio per la soddisfazione di esigenze della vita quotidiana estranee all'esercizio dell'attività imprenditoriale o professionale.
Il foro del consumatore, poi, è esclusivo e inderogabile, a meno che il professionista non dimostri che la clausola di deroga in favore di altri fori sia stata oggetto di trattativa individuale tra le parti.
In forza dell'articolo 33 del richiamato Codice si considerano vessatorie le clausole che, malgrado la buona fede, determinano a carico del consumatore un significativo squilibrio dei diritti e degli obblighi derivanti dal contratto; si presumono vessatorie, fino a prova contraria, le clausole che stabiliscono come sede del foro competente sulle controversie località diverse da quelle di residenza o domicilio del consumatore.
Pur se allo stato attuale il diritto eurounionale non consente di far rientrare nella nozione di consumatore un soggetto diverso da una persona fisica, tuttavia gli Stati membri, ai sensi dell'articolo 169, par. 4, TFUE e alla luce del considerando 12 e dell'articolo 8 Dir. 93/13/CEE, nonché del considerando 13 Dir. 2011/83/UE, possono garantire un grado di protezione dei consumatori più elevato rispetto a quello previsto dalle direttive, estendendo la tutela consumeristica alle persone giuridiche o fisiche che non siano consumatori in base alla definizione contenuta nelle direttive europee.
Corollario di tutto ciò è (tra l'altro) che il condominio può essere annoverato tra i consumatori cui è rivolta la tutela dell'articolo 33 cit. con la conseguenza che, se un amministratore di condominio conclude un contratto con un professionista, è applicabile la tutela prevista dal Codice del Consumo in favore del condominio.
Tribunale di Torino, sezione IV, sentenza 1 settembre 2022, n. 3508

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