Famiglia

La posizione del minore nel processo

Nota a Cass. Civ., Sez. VI-I, Ord. 9 febbraio 2021, n. 3159

di Francesca Ferrandi*

Il caso. Con l'ordinanza n. 3159, resa lo scorso 9 febbraio 2021, la Cassazione ha ribadito il principio secondo il quale in generale i minori, nei procedimenti giudiziari che li riguardano, non possono essere considerati parti formali del giudizio.

In particolare, nel caso di specie il ricorrente aveva adito la Suprema Corte per la cassazione del decreto con cui, in parziale accoglimento del reclamo proposto dalla controricorrente avverso il provvedimento del Tribunale di Treviso, reso in materia di affidamento e collocamento della figlia minore, la Corte di Appello di Venezia ha disposto il collocamento della piccola presso la madre, disponendone inoltre l'affidamento ai servizi sociali al fine di favorire gli incontri tra lui e la figlia.

Il ricorrente ha lamentato ben sei motivi di impugnazione: con il primo ha denunciato la violazione e la falsa applicazione degli artt. 27 Cost., 337-ter c.c., e dell'art. 116 c.p.c., in quanto, a suo dire, la corte di merito aveva disposto il collocamento presso la madre della minore, all'esito di dichiarazioni insufficienti ed univoche della stessa su "presunte condotte abusanti paterne", rese "in un contesto di conclamato condizionamento grave della bambina". Con il secondo motivo, ha denunciato l'omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti (inattendibilità delle dichiarazioni della minore in quanto afflitta da sindrome di '"Alienazione Parentale"), mentre con il terzo lamentava la violazione e falsa applicazione degli artt. 118 c.p.c. e 2909 c.c. per aver la Corte di appello disposto che potesse tenere con sé la figlia minore la madre sino ad allora ritenuta inidonea, giudizio che non poteva ritenersi come tale, e senza altra motivazione, superato da quello formulato sul padre. Con il quarto motivo, poi, censurava la violazione e falsa applicazione dell'art. 116 c.p.c., in ragione del fatto che la Corte di merito aveva deciso solo in base all'ultima relazione dei Servizi Sociali e non considerando gli altri documenti richiesti con ordinanza del 18 ottobre 2018, mentre con la quinta censura rilevava la nullità della sentenza per grave vizio di motivazione (travisamento del presupposto giuridico/fattuale, contraddittorietà ed illogicità), in quanto la Corte non aveva inteso le critiche mosse dal ricorrente alla relazione dei Servizi Sociali su cui aveva fondato la propria decisione e di cui costui aveva lamentato la parzialità per avere rifiutato ogni contatto con la famiglia paterna.
Infine, con l'ultimo motivo di impugnazione sosteneva la violazione e falsa applicazione degli artt. 337-octies e 315-bis comma 3, c.c., dell'art. 336-bis c.p.c., dell'art. 38 disp. att. c.c., nonché della normativa internazionale in materia di audizione dei minori, in quanto la Corte territoriale aveva collocato la minore presso la madre in ragione della relazione dei Servizi Sociali, senza che, però, si fosse provveduto ad ascoltare la figlia; un adempimento, quest'ultimo, ritenuto dal ricorrente necessario a pena di nullità, secondo quanto disposto dalla normativa nazionale ed internazionale.

Il minore quale parte sostanziale. Nell'esaminare il ricorso, la Suprema Corte si è dapprima soffermata proprio su quest'ultimo motivo, affermandone la manifesta fondatezza e ricordando come, nei procedimenti giudiziari che riguardano i minori, essi non possono essere considerati parti formali del giudizio, dal momento che la legittimazione processuale non risulta attribuita loro da alcuna disposizione di legge; essi sono, tuttavia, parti sostanziali, in quanto portatori di interessi comunque diversi, quando non contrapposti, rispetto ai loro genitori. Al riguardo, infatti, occorre qui ricordare come i procedimenti in materia familiare che riguardano il minore, possano essere di due tipi: da una parte, quelli volti ad accertare o a negare l'esistenza della titolarità di status, nei quali il minore è parte necessaria, e dall'altra, quelli attinenti alla crisi familiare, con incidenza sui diritti personali o patrimoniali di cui il minore è titolare e, in ogni caso, destinatario della pronuncia e, quindi, dei suoi effetti. E proprio riguardo a questa seconda categoria di procedimenti si pone la vexata questio circa la sua qualità di parte formale (qualità, questa, che ricorre quando il soggetto può beneficiare delle prerogative e garanzie del giusto processo), oltre che sostanziale (ovvero il giudicato materiale si esprimerà anche sulle situazioni di cui è titolare), in considerazione del fatto che nonostante egli non possa essere soggetto di atti processuali subisce gli effetti del risultato del processo (per un approfondimento di questi aspetti v. C. CECCHELLA, Diritto e processo nelle controversie familiari e minorili, Bologna, 2018, 33 ss.).

Tuttavia, sebbene la qualità di parte sostanziale del processo sia collegata alla capacità giuridica e sia sempre stato abbastanza agevole riconoscerla anche in capo ai minori, avuto riguardo ai loro diritti patrimoniali nei confronti dei terzi, non poche difficoltà si riscontrano, ancora oggi, in relazione alla tutela di simili diritti del minore, laddove coinvolti nella crisi familiare (cfr. B. BOTTECCHIA, Il ruolo del minore nel processo, in Autodeterminazione e minore di età. Itinerari di diritto minorile, a cura di R. Senigallia, Pisa, 2019). Infatti, nonostante la qualità di parte del minore sia stata riconosciuta dalla Consulta, con la nota pronuncia dei primissimi anni duemila (cfr. Corte Cost., 30 gennaio 2002, n. 1), la quale, attraverso il richiamo alla Convenzione di New York sui diritti del fanciullo del 1989, ha affermato che in qualsiasi procedimento in cui il minore è coinvolto necessita della nomina di un curatore e di un difensore, nella prassi si riscontra, in realtà, ancora una difficoltà di tutela effettiva, a cui si è cercato di supplire attraverso l'ascolto.

L'ascolto del minore. Quest'ultimo strumento, avente la funzione di far sentire la voce dei minori nei procedimenti che li vendono direttamente coinvolti e già riconosciuto dall'art. 12 della Convenzione di New York sui diritti del fanciullo del 1989, nonché dall'art. 6 della Convenzione di Strasburgo del 25 gennaio 1996, è stato previsto nel nostro ordinamento a seguito della riforma complessiva della filiazione, ad opera della L. n. 219 del 2012 (Disposizioni in materia di riconoscimento dei figli naturali, in G.U. n. 293 del 17-12-2012) e del D.Lgs. n. 154 del 2013 (Revisione delle disposizioni vigenti in materia di filiazione, a norme dell'art. 2 della legge 10 dicembre 2012, n. 219, in G.U. n. 5 dell'8-1-2014), la quale ha portato al riconoscimento diritti sostanziali e processuali del minore.

In particolare, oggi, la disposizione di cui all'art. 315- bis c.c., dispone il diritto del minore ad essere ascoltato, in tutti i procedimenti che lo riguardano, quando egli abbia compiuto gli anni dodici e quando, anche di età inferiore, sia capace di discernere, mentre quella di cui all'art. 316 c.c. prevede che il figlio sia ascoltato dal giudice di merito, anche in presenza di contrasto da parte dei genitori, su questioni che lo coinvolgono direttamente. Quanto, poi, alla disciplina generale, essa è racchiusa nell'art. 336-bis c.c., dove si prevede l'ascolto del minore che abbia compiuto dodici anni, o che, se minore di tale limite di età, abbia la capacità di discernimento, disponendone l'obbligatorietà del suo ascolto, in tutti i procedimenti, nei quali debbono essere adottate decisioni che lo riguardano; obbligo, quest'ultimo, che può essere escluso, solo nell'ipotesi in cui il giudice, esclusivamente con provvedimento motivato, lo reputi inutile o manifestamente contrario all'interesse del minore. Riguardo, poi, alle modalità di esecuzione, lo stesso dovrà essere condotto dal giudice, anche attraverso esperti ed ausiliari, mentre i genitori, i difensori delle parti, il curatore speciale (art. 78 c.p.c.), se del caso, all'uopo nominato, il Pubblico Ministero, debbono assistere, solo se autorizzati dal Giudice, previa redazione di processo verbale e registrazione audio video. Inoltre, all'art. 38-bis disp. att. c.c., si prevede che, nell'ipotesi in cui la salvaguardia di un minore sia assicurata con mezzi idonei, quali l'uso di un vetro specchio, unitamente ad un impianto citofonico, i difensori delle parti, il curatore speciale del minore, il Pubblico Ministero, possano seguirne l'ascolto, anche in luogo diverso da quello in cui il minore si trova effettivamente, senza dover richiede alcuna autorizzazione al giudice, dovendo in ogni caso il minore, prima di procedere all'escussione, essere informato della natura del procedimento e degli effetti dell'ascolto (previsione, quest'ultima, contenuta anche nell'art. 3 della Conv. di Strasburgo del 25 gennaio 2006 sull'esercizio dei diritti del minore, in cui si precisa che il fanciullo, deve ricevere ogni informazione pertinente, ed essere informato delle eventuali conseguenze che tale opinione potrebbe comportare nella pratica e della sua incidenza sulle decisioni da prendersi).

Da quanto seppur brevemente ricordato, ne discende che il minore, oltre ad essere oggetto di protezione, è anche soggetto di diritto e in quanto tale titolare di diritti soggettivi da portare nel processo, attraverso la disciplina dell'ascolto, strumento ormai essenziale per la realizzazione delle sue aspettative nel giudizio,, a pena di nullità della sentenza, a meno che l'organo giudicante non decida di motivarne l'esclusione, in ragione dell'età, delle condizioni e dei disagi, magari manifestati dal fanciullo. Costituisce, pertanto, violazione del principio del contraddittorio e dei diritti del minore il suo mancato ascolto, quando non sia sorretto da un'espressa motivazione sull'assenza di discernimento, tale da giustificarne l'omissione (conf. ex multis Cass. civ., 30 luglio 2020, n. 16410; Cass. civ., 24 maggio 2018, n. 12957 e Cass. civ., 29 settembre 2015, n. 19327).

Conclusioni. Nel caso di specie, secondo gli Ermellini, il giudice di secondo grado ha mancato di fare applicazione dei principi sopra ricordati non motivando sulla capacità di discernimento della minore nata nell'aprile del 2009, al fine di giustificarne l'omesso ascolto e non provvedendo neppure a precisare la natura della "nota allegata alla relazione" dei Servizi Sociali, in cui sono riportate le dichiarazioni della prima, e tanto al fine di verificare in quale contesto la minore sia stata ascoltata e, segnatamente, se gli indicati Servizi abbiano operato su mandato del giudice (sul punto cfr. Cass. civ., 29 settembre 2015, n. 19327); certo essendo poi, prosegue la S.C., che: "l'audizione del minore ultradodicenne o di età inferiore L. n. 184 del 1983, ex art. 15, come modificato dalla L. n. 149 del 2001, è un atto processuale del giudice, il quale può stabilire, nell'interesse del minore stesso, modalità particolari per il suo espletamento, comprendenti anche la delega specifica ad esperti, ma allo stesso non è equiparabile l'assunzione del contributo dell'adottando in maniera "indiretta", tramite le relazioni che gli operatori dei servizi sociali svolgono nell'ambito della loro) ordinaria attività" (cfr. Cass. civ., 22 luglio 2015, n. 15365).

In accoglimento del sesto motivo di ricorso, assorbiti gli altri nella natura del vizio lamentato, la Suprema Corte ha, quindi, cassato il decreto impugnato con rinvio alla Corte di appello di Venezia, altra sezione, anche per le spese del giudizio di legittimità.

*di Francesca Ferrandi, Dottore di ricerca presso l'Università di Roma "Tor Vergata"

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