Famiglia

Assegno di mantenimento parametrato al «tenore di vita»

Non rileva, ai fini dell’addebito, che la moglie abbia lasciato la casa familiare, se l’allontanamento è la conseguenza di una convivenza divenuta oramai intollerabile

di Selene Pascasi

Per attribuire e quantificare l’assegno di mantenimento occorre valutare l’adeguatezza dei redditi a disposizione del coniuge più debole economicamente, prendendo a riferimento il tenore di vita goduto durante il matrimonio. E non rileva, ai fini dell’addebito, che il coniuge abbia lasciato la casa familiare insieme alle figlie, se l’allontanamento non è stato la causa della separazione ma piuttosto la conseguenza di una convivenza divenuta oramai intollerabile. Lo ha affermato la Corte di cassazione che, con l’ordinanza 20228 del 23 giugno 2022, ha rimarcato la diversità dell’assegno di mantenimento, stabilito in fase di separazione, rispetto a quello divorzile.

Sull’assegno di separazione, permanendo il vincolo matrimoniale, pesano infatti l’adeguatezza dei redditi e il tenore di vita pregresso, mentre su quello di divorzio, che è stabilito quando il rapporto viene reciso definitivamente, influiscono, vista la natura assistenziale, compensativa e perequativa, anche il ruolo e l’apporto del beneficiario alla formazione del patrimonio familiare e personale degli ex.

A sollecitare l’intervento dei giudici della Suprema corte è stata la separazione tra due coniugi. Il marito aveva chiesto l’addebito della separazione alla moglie, accusandola di aver lasciato casa ma – come ha scritto il Tribunale bocciando la domanda – la convivenza era già intollerabile, quindi l’allontanamento era la conseguenza e non la causa della rottura. Inoltre, il Tribunale ha posto a carico del marito il mantenimento delle figlie e della moglie.

L’uomo ha impugnato la decisione di primo grado ma la Corte d’appello l’ha bocciato. Il suo reddito, come emerso dalle indagini tributarie, era molto più alto del dichiarato e delle entrate della moglie, quindi la quantificazione dell’assegno operata dal Tribunale è stata ritenuta congrua.

Il caso è arrivato in Cassazione, che ha respinto il ricorso del marito. Secondo le figlie della coppia – scrivono i giudici – già prima dell’allontanamento della madre tra i genitori si respirava un forte clima di tensione dovuto al riavvicinarsi del padre a un’altra donna. L’abbandono della casa familiare, quindi, era conseguenza e non causa della separazione.

Corretto, poi, anche il riferimento al tenore di vita sul quale è stato parametrato l’assegno. Nel marcarlo, i giudici ricordano che – se l’aumento dell’assegno divorzile rispetto a quanto sancito in separazione è permesso solo quando mutano le condizioni patrimoniali delle parti – è proprio perché i due assegni si basano su criteri totalmente distinti. Quello di separazione presume che il vincolo coniugale sia ancora in essere e quindi la correlazione tra adeguatezza dei redditi e tenore di vita abituale. Tenore di vita che non rileva, invece, per la determinazione dell’assegno di divorzio (legge 898/1970, articolo 5, comma 6) avente natura assistenziale, compensativa e perequativa e perciò teso non a ristabilire il tenore vissuto durante il matrimonio, scioltosi irreversibilmente (Cassazione 13408/2022), ma a dare un valore anche al ruolo e al contributo fornito dal beneficiario alla formazione del patrimonio comune e personale degli ex (Cassazione 17098/2019).

Così, se con la separazione si accerti una disparità economica tra le parti, i redditi adeguati cui proporzionare l’assegno in favore della più debole cui non sia addebitato il fallimento dell’unione (come nella vicenda) saranno quelli necessari a garantirle un tenore di vita analogo a quello fruito in precedenza. Queste le motivazioni per le quali la Corte di cassazione respinge il ricorso, condannando il marito alle spese di lite.

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