Penale

La riforma della liberazione anticipata va alla Consulta

Sollevata dall’Ufficio di sorveglianza di Napoli la questione di legittimità costituzionale sulle modifiche introdotte all’istituto dal decreto legge «Carceri» del 2024

di Fabio Fiorentin

Vanno alla Corte costituzionale i nuovi limiti alla domanda di liberazione anticipata fissati dal decreto legge «Carceri» (92/2024). A sollevare la questione di legittimità è stato l’Ufficio di sorveglianza di Napoli (magistrato Cairo), con ordinanza pronunciata il 7 marzo scorso.

In particolare, il magistrato dubita della costituzionalità delle novità procedimentali che restringono i tempi per presentare la domanda di liberazione anticipata da parte del detenuto. La disciplina della liberazione anticipata che, in base all’articolo 54 della legge sull’Ordinamento penitenziario (354/1975), consente ai condannati distintisi per partecipazione all’opera rieducativa una riduzione della pena pari a 45 giorni per ogni semestre effettivamente espiato, è stata infatti modificata dal decreto legge 92/2024 nell’intento – almeno nelle intenzioni del legislatore – di razionalizzare le procedure applicative, rendendo temporalmente certa la decisione del giudice di sorveglianza sullo “sconto di pena”. Ora infatti la decisione deve intervenire in corrispondenza di alcune situazioni esecutive tassativamente stabilite dall’articolo 69-bis della legge 354/1975: quando il detenuto presenta istanza di accesso alle misure alternative alla detenzione o ad altri benefici analoghi; o quando sopraggiunge il termine di 90 giorni prima del fine pena. All’infuori di tali ipotesi, è lasciato uno spazio molto limitato all’iniziativa di parte, ammessa nei soli casi in cui il soggetto indichi nell’istanza – a pena di inammissibilità - lo «specifico interesse», diverso da quelli sopra indicati, che sostiene la domanda.

Si può immaginare che tali eccezionali casi riguardino i detenuti sottoposti al regime previsto dall’articolo 41-bis dell’Ordinamento penitenziario, ai quali sono preclusi i benefici esterni, i condannati intenzionati ad accedere ai permessi premio o al lavoro all’esterno e che devono preventivamente espiare un determinato quantum di pena o i condannati anche per reati ostativi alla concessione dei benefici penitenziari che abbiano interesse allo “scioglimento del cumulo” di pene concorrenti.

Resta dubbia la posizione del condannato che non abbia intenzione (o, più frequentemente, non abbia la possibilità) di richiedere alcun beneficio esterno perché, ad esempio, privo di domicilio o di riferimenti familiari esterni. È questa - per inciso - la situazione di migliaia di detenuti stranieri ospitati nelle carceri italiane.

Un tale assetto è dubitato di incostituzionalità dal magistrato di sorveglianza di Napoli che ha chiesto alla Consulta di valutare la compatibilità del nuovo articolo 69-bis dell’Ordinamento penitenziario con i principi costituzionali, anzitutto con quello iscritto nell’articolo 27, comma 3, della Costituzione, che impone alle pene l’obiettivo della rieducazione del condannato.

Ad avviso del rimettente, infatti, la nuova disciplina, modificando i principi in materia di valutazione della liberazione anticipata, in precedenza ancorata al criterio principale della “semestralizzazione” (una valutazione, cioè, operata con riguardo a ogni singolo semestre di pena scontata), favorirebbe un criterio di valutazione complessiva dell’intero periodo detentivo, con la conseguenza che, allontanandosi nel tempo la prospettiva premiale connessa alla fattiva partecipazione al trattamento rieducativo, agli occhi della persona ristretta l’istituto perderebbe quella funzione di potente stimolo all’adesione trattamentale che è tanto più forte quanto più è ravvicinato il riconoscimento della connessa premialità.

La liberazione anticipata ne risulterebbe del tutto snaturata, riducendosi a mero meccanismo di natura “algebrica” funzionale al raggiungimento dei limiti di pena per accedere ai benefici esterni al carcere o avvicinando il termine finale dell’esecuzione.

Risulterebbe inoltre violato il canone sancito dall’articolo 3 della Costituzione, poiché il diritto alla valutazione della liberazione anticipata sarebbe irragionevolmente limitato alle situazioni indicate dalla disposizione penitenziaria censurata, evidenziandosi anche sotto tale profilo lo snaturamento dell’istituto, ridotto a funzione servente alle misure alternative e svuotato della sua propria autonoma funzione di impulso alla rieducazione.

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