Esercizio di attività ricettiva e rapporto di locazione: il Tribunale di Roma conferma la natura commerciale
Con la pronuncia in esame il Tribunale conferma la natura commerciale dell’attività ricettiva extralberghiera, esercitata in forma imprenditoriale, ma ne esclude categoricamente l’equiparazione all’attività alberghiera
La crescente diffusione, negli ultimi anni, delle attività ricettive extralberghiere – quali case vacanza ed affittacamere – impone una riflessione sul tema della qualificazione giuridica dei contratti di locazione stipulati ai fini dell’esercizio di tali attività.
Dalla qualificazione del rapporto derivano, difatti, significative differenze in termini di durata minima del contratto, disciplina applicabile, tutela del conduttore e, in particolare, eventuale diritto all’indennità per perdita di avviamento.
Con la sentenza n. 10670/2025, il Tribunale di Roma si è nuovamente pronunciato sul tema, consolidando l’orientamento che si era già affermato dal 2021: la destinazione catastale o residenziale dell’immobile non è sufficiente, essa sola, ai fini della qualificazione della locazione come abitativa e soggetta, dunque, alla disciplina della L. 431/1998.
A parere della Sesta Sezione del Tribunale, ciò che rileva ai fini della qualificazione del rapporto, è l’uso effettivo dell’immobile e, dunque, l’attività concretamente esercitata dal conduttore.
Qualora, difatti, l’immobile dovesse essere adibito allo svolgimento di un’attività ricettiva extralberghiera in forma imprenditoriale e professionale, la locazione dovrà essere qualificata come locazione ad uso diverso da quello abitativo.
Da tale interpretazione, discende l’applicazione ai rapporti in parola della disciplina di cui agli artt. 27 e ss. della Legge n. 392/1978 con conseguente durata legale minima di sei anni, rinnovabili di ulteriori sei ad ogni scadenza contrattuale e possibilità per il conduttore di accedere alla tutela prevista dall’art. 34 della medesima Legge, che prevede l’obbligo per il locatore di corrispondere, alla cessazione del rapporto, un’indennità per perdita di avviamento commerciale nella misura di diciotto mensilità.
Di particolare interesse, tuttavia, è la parte della motivazione del provvedimento in parola in cui il Tribunale capitolino nega la riconduzione della locazione alla disciplina delle locazioni alberghiere, che prevedono la durata novennale del rapporto.
La pronuncia si pone, difatti, in consapevole contrasto con la pur recente sentenza n. 475/2024 del Tribunale di Verbania, che aveva ricondotto l’attività di affittacamere nell’alveo dell’attività alberghiera, con conseguente durata novennale della locazione ai sensi dell’art. 27, comma 3 L. Equo Canone, configurandosi tuttavia, come un unicum nel panorama giuridico nazionale.
Il Tribunale di Roma, al contrario, scinde radicalmente le due fattispecie valorizzando il diverso impatto economico delle attività di volta in volta considerate.
Secondo il Giudice capitolino, la disciplina che prevede la durata novennale, è finalizzata a tutelare investimenti economici e strutturali significativi, tipici delle strutture alberghiere propriamente intese e estraneo, invece, alle attività ricettive quali casa vacanze ed affittacamere.
Queste ultime, difatti, pur potendosi qualificare come imprenditoriali al ricorrere dei presupposti richiesti, comportano, per dimensioni ed organizzazione, investimenti maggiormente contenuti e, dunque, non tali da giustificare l’applicazione dell’art. 27, comma 3 L. 392/1978 con riferimento alla durata novennale.
La differenziazione della disciplina applicabile si fonda, pertanto, su un criterio sostanziale legato all’entità degli investimenti ed alla stabilità organizzativa dell’impresa e, non ultimo, ai maggiori oneri connessi all’esercizio dell’attività di alberghiera.
Sulla scorta di tali considerazioni, la pronuncia in esame conferma la natura commerciale dell’attività ricettiva extralberghiera esercitata in forma imprenditoriale, ma ne esclude categoricamente l’equiparazione all’attività alberghiera, affermando l’applicazione del primo comma dell’art. 27 e la conseguente durata sessennale del rapporto.
Nell’acceso dibattito sulla natura delle locazioni finalizzate all’esercizio di attività ricettive, la sentenza n. 10670/2025 del Tribunale di Roma rappresenta, dunque, un fondamentale contributo interpretativo per la definizione dell’inquadramento giuridico dei rapporti di locazione destinati allo svolgimento di tali attività, ad oggi sempre più diffuse – specialmente nei grandi centri urbani.
Essa conferma che la corretta qualificazione del contratto di locazione, deve aversi riguardo all’attività concretamente esercitata all’interno dell’immobile, non rilevando invece la destinazione abitativa del medesimo.
In conclusione, l’esercizio di attività ricettiva in forma imprenditoriale, avendo natura di attività commerciale – che si differenzia da quella alberghiera per dimensioni ed organizzazione – determina la necessaria identificazione del rapporto come locazione ad uso diverso, nonché la possibilità di ottenere, alla cessazione del rapporto, le indennità per perdita di avviamento previste dall’art. 34 della medesima Legge Equo Canone.
Per gli operatori del settore risulta essenziale, pertanto, avere particolare riguardo alla causa concreta sottesa al contratto di locazione, così da scongiurare incertezze interpretative ed applicative e prevenire il rischio di contenzioso al momento della cessazione del rapporto.
_______
*A cura dell’Avv. Federico Bocchini, Studio Legale Bocchini Giglioni e Avv. Matteo Di Battista







