Penale

Abusi edilizi, la demolizione a 4 anni dalla condanna non viola in sé il diritto abitativo

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di Paola Rossi

Non ci si può opporre validamente all’ordine di demolizione del manufatto abusivo semplicemente adducendo che è destinato ad abitazione familiare dell’autore del reato. Infatti, l’interesse pubblico alla tutela del territorio e alla repressione di condotte illecite può sì recedere di fronte al diritto garantito alla tutela del domicilio, ma solo a seguito di un concreto giudizio di proporzionalità. Quest’ultimo parametro relativo alla misura esecutiva di demolizione va comunque valutato solo nel caso, appunto, che l’immobile abusivo sia effettivamente utilizzato come dimora abituale. Ma la valutazione può propendere per la legittimità della demolizione anche in base al considerevole lasso di tempo intercorso tra la definitività della decisione che impone la demolizione e la concreta esecuzione della stessa. Dato temporale che può ben essere valutato come congruo se consente alla persona dimorante nel manufatto di reperire una nuova e alternativa soluzione abitativa.

L’ordine di demolizione e il criterio di proporzionalità

Nel caso concreto la Cassazione penale - con la sentenza n. 9907/2024 - ha respinto il ricorso del privato che riteneva sproporzionata e quindi illegittima l’ingiunzione di demolizione assunta dalla Corte di appello ben 4 anni dopo la condanna per l’abuso. Secondo il ricorrente la Corte di appello in funzione di giudice dell’esecuzione non avrebbe tenuto conto del proprio diritto alla “casa” incidendolo illegittimamente con una misura del tutto sproporzionata. La violazione lamentata sarebbe stata - secondo il ricorso - quella dell’articolo 8 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, che garantisce il diritto al rispetto della «vita privata e familiare» e al domicilio.

L’importante precisazione della Suprema Corte

La Cassazione nel rigettare il ricorso fa il punto al fine di delineare il perimetro del giudizio di proporzionalità che il giudice è tenuto a svolgere ed esplicitare nell’assumere la propria decisione. E precisa che, appunto, non è sufficiente che l’imputato asserisca che l’immobile abusivo colpito dall’ordine di demolizione sia destinato a propria dimora abituale, ciò non arresta di per sé l’azione esecutiva, ma obbliga il giudice a verificarne la proporzionalità ossia l’assenza di violazione di diritti fondamentali della persona e, in particolare, della garanzia offerta dalla norma convenzionale Cedu.

Infine, la Suprema corte chiarisce che il giudice nel procedere al raffronto degli interessi contrapposti non può applicare un giudizio puramente discrezionale, ma deve attenersi al dare rilevanza ad alcuni specifici elementi:

  • l’età del ricorrente;
  • lo stato di salute e
  • le risorse economiche di chi vive in una casa abusiva.

E, ripercorrendo la propria giurisprudenza e quella della Corte Edu, afferma che ha anche rilevanza - al fine di affermare la proporzionalità della misura, cioè il rispetto della garanzia del domicilio - anche il tempo intercorso tra l’accertamento dell’abuso e l’esecuzione della demolizione dello stesso. Un tempo che garantisce il rispetto del diritto “abitativo” - e non proprietario - della persona. Infatti la tutela del diritto di proprietà - afferma la giurisprudenza di legittimità - non è spendibile in sè per affermare la sproporzione dell’ingiunzione di demolizione.

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