Penale

Abuso d'ufficio e sequestro di persona se il fotosegnalamento è "ritorsivo"

Lo ha stabilito la Corte di cassazione, con la sentenza n. 34390 depositata oggi, sottolineando che la vittima aveva regolarmente presentato i propri documenti

di Francesco Machina Grifeo

Abuso d'ufficio e sequestro di persona per l'agente della Polfer che nonostante la presentazione dei documenti da parte del ‘fermato' ne disponga comunque l'accompagnamento coatto per il fotosegnalamento, anche trattandosi di un dipendente ‘conosciuto' dello scalo ferroviario. Lo ha stabilito la Corte di cassazione, con la sentenza n. 34390 depositata oggi, giudicando inammissibile il ricorso dell'agente contro la decisione della Corte di appello di Roma del gennaio 2022, che aveva confermato quella del tribunale capitolino del marzo 2021.

La vicenda riguarda la sottoposizione a fotosegnalamento del responsabile amministrativo-gestionale di una società del gruppo Ferrovie dello Stato, assegnato alla stazione di Roma Ostiense, in seguito alla denuncia per oltraggio, in relazione a una serie di espressioni reputate offensive, sporta dagli operanti della Polizia ferroviaria in servizio presso il medesimo scalo. In quello stesso giorno, il responsabile della Polfer aveva ordinato che il funzionario – il quale aveva esibito nell'immediatezza i documenti d'identità, ed era personalmente conosciuto "per condividere, da anni, il medesimo contesto lavorativo" - venisse accompagnato, con un'auto di servizio e senza poter comunicare con il proprio cellulare, presso la Stazione di Roma Termini "per essere sottoposto alla predetta procedura, trattenendolo per oltre due ore".

I giudici di merito e la Sezione feriale penale della Suprema corte di oggi hanno confermato questa lettura la "generalizzata disapplicazione delle prescrizioni di cui all'art. 349 cod. proc, pen.", che regola l'identificazione delle persone, e cioè il fatto che venisse praticata "persino nei confronti di persone in possesso dei documenti d'identità", "non era comunque idonea ad escludere l'elemento soggettivo dei reati contestati", così come la scriminante putativa dell'adempimento del dovere.

La Cassazione ricorda che l'imputato si era "determinato, autonomamente e nella piena consapevolezza dell'abusività della procedura" a procedere al fotosegnalamento nonostante il suo superiore gerarchico lo avesse invitato a considerare la posizione del soggetto: "già noto e personalmente conosciuto" nonché "reperibile nel medesimo contesto ambientale".

"Quanto al dolo – prosegue la Corte - è proprio la stretta connessione con la denuncia presentata, nella stessa mattina, dagli operanti a giustificare l'intenzionalità della condotta abusiva del ricorrente e a confutare l'esclusivo perseguimento di un interesse pubblicistico".

Mentre l'errore scusabile, rilevante ai fini dell'applicazione delle cause di giustificazione putative, spiega la Corte, "deve trovare adeguata giustificazione in qualche fatto che, sebbene malamente rappresentato o compreso, abbia la possibilità di determinare nell'agente la giustificata persuasione di trovarsi di fronte ad un adempimento dovuto". Al contrario, il ricorrente "si limita a valorizzare, ancora una volta, la prassi in atto, senza confrontarsi con il determinismo causale della condotta, che trascura in toto l'antefatto e la specifica posizione della parte offesa, rispetto al quale la necessità del fotosegnalamento si rivela esclusa, del tutto ragionevolmente, anche sul piano putativo".

In definitiva, conclude la Cassazione, la decisione di sottoporre a fotosegnalamento il funzionario fu assunta, nell'immediatezza di una mera annotazione di servizio, in assoluta carenza dei presupposti di legge e fuori dei casi che avevano legittimato la prassi; elementi che, lungi dal giustificare l'erronea convinzione di doversi conformare a un adempimento dovuto, hanno costituito segnali, inequivocabili e certi, della cosciente rappresentazione del carattere palesemente arbitrario della restrizione.

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