Penale

Abuso d'ufficio all'infermiera che ottiene illegalmente esami gratuiti facendoli rientrare in un falso ricovero

La novella del Dl 76/2020 sul perimetro della fattispecie penale non rende illegittima la contestazione che non indica la norma

di Paola Rossi

L'infermiere che - presso l'ospedale in cui lavora - ottiene una prestazione non dovuta commette il reato di abuso d'ufficio e non quello di indebita percezione di erogazioni pubbliche, data la sua qualità di incaricato di pubblico servizio.
La sentenza n. 34527/2021 della Corte di cassazione ha risolto la vicenda di un'infermiera condannata per abuso d'ufficio perché aveva fatto risultare come ricoverato il proprio figlio al fine di fargli effettuare esami clinici in forma gratuita e senza prenotazione.

La questione della configurabilità del reato non è ammissibile in Cassazione non essendo stata sollevata nella fase di merito, non tanto con i motivi di appello, ma anche solo in fase di discussione finale.
Riteneva, invece, la difesa che il giudice avrebbe dovuto argomentare la scelta tra le due fattispecie di reato e che avrebbe dovuto propendere per l'indebita percezione di erogazioni pubbliche mandando assolta l'infermiera perché la condotta non aveva superato il valore soglia di tale reato.

Inoltre, la ricorrente contestava la legittimità della condanna per la mancata indicazione della specifica norma di legge violata nel capo d'imputazione, che faceva generico riferimento a "violazione della legislazione sul servizio sanitario pubblico e sul pagamento del ticket". Faceva rilevare la ricorrente come -nelle more del giudizio - l'intervenuta norma dell'articolo 23 del Dl 76/2020 avesse circoscritto il reato di abuso d'ufficio a violazioni di norme di legge o di atti aventi forza di legge. Ma la mancata specificazione nel capo d'imputazione, della singola disposizione di legge, non è rilevante se non comporta per la sua aspecificità un vulnus nell'esercizio del diritto di difesa.

La ricorrente lamentava inoltre il mancato riconoscimento della causa di non punibilità per la tenuità del fatto. Ma anche tale profilo del ricorso è stato respinto - oltre perché non risultava mai invocata in sede di merito - anche in quanto erano due gli episodi di cui era imputata la ricorrente e a nulla valeva, ai fini del riconoscimento del beneficio, che una delle due condotte risultasse prescritta. Come prescritto è risultato poi, in Cassazione, anche il reato oggetto di ricorso.
La Cassazione conferma però, contestualmente all'annullamento senza rinvio della condanna, la validità delle statuizioni civili relative al risarcimento della parte offesa, ossia l'azienda sanitaria costituitasi nel processo.

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