Penale

Abuso d’ufficio soft, la riforma è retroattiva

Prima pronuncia della Cassazione (n. 32174): ridotta l'area penale

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di Giovanni Negri

La riforma dell’abuso d'ufficio ha ridotto l’area del penalmente rilevante. Con effetti retroattivi. La Corte di cassazione interviene per la prima volta sulla riforma introdotta quest’estate e lo fa con la sentenza n. 32174 depositata il 17 novembre . La Corte esamina l’intervento che ha condotto a una riscrittura dell’articolo 323 del Codice penale per effetto del decreto n. 76 dello scorso 16 luglio. Per effetto delle novità, sottolinea la sentenza, ora l’abuso d’ufficio nell’opzione che disciplina la violazione di norme di legge che disciplina lo svolgimento delle funzioni o del servizio, può essere integrato solo dall’infrazione di «regole di condotta previste dalla legge o da atti aventi forza di legge». Cioè, chiarisce la cassazione, «da fonti primarie, con esclusione dei regolamenti attuativi e che abbiano inoltre un contenuto vincolante precettivo da cui non residua alcuna discrezionalità amministrativa».

Un netto cambiamento rispetto alla versione precedente che faceva solo riferimento alla violazione di norme di legge e di regolamento. L’effetto, ammette la sentenza è «di grande impatto», con effetti assai significativi di riduzione dell’area del penalmente rilevante, conducendo a misure di maggiore favore che, per effetto dell’articolo 2 del Codice penale, sono suscettibili di un’applicazione retroattiva.

Nel caso in esame, tuttavia, la Cassazione arriva alla conclusione che la riforma non si applica al caso della mancata osservanza dell’obbligo di astensione. Nella vicenda affrontata dalla Corte, infatti, il sindaco di un Comune, alla presidenza della seduta del consiglio comunale che aveva all’ordine del giorno la mozione presentata dai consiglieri di minoranza per la costituzione di parte civile in un procedimento contro lo stesso sindaco, non si era astenuto in presenza di un interesse proprio e aveva invece sospeso e poi sciolto la seduta.

Per la Cassazione la condotta continua a essere sanzionabile sul piano penale. In questo caso, osserva la Cassazione, ad assumere rilevanza è anche la violazione dell’articolo 78 comma 2 del Testo unico degli enti locali che impone agli amministratori, nozione che comprende anche il presidente del consiglio comunale e il sindaco, di astenersi dal prendere parte alla discussione e alla votazione di delibere su interessi propri o di parenti

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